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Noi, gli immigrati e l’odio
nella società liquida senza “padri”

ASCOLI - Cosa c'è dietro la paura dello straniero e del diverso dopo il rogo di capodanno a Pagliare
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di Daniele Luciani*

In senso molto ampio potremmo sostenere che l’odio costituisce una delle passioni umane per eccellenza. Una passione “strutturale” che si declina fondamentalmente attraverso due manifestazioni. La prima consiste in un eccessivo investimento narcisistico sulla propria persona che tende ad escludere l’altro dalla propria esistenza. La seconda vede la proiezione “paranoica” sull’altro di tutto ciò che un individuo non ama di se stesso. Si potrebbe dire che odiando l’altro si riescono a padroneggiare quegli aspetti conflittuali o traumatici che hanno a che fare con la propria persona spostandoli “esternamente”. Sottolineo questo versante perché i movimenti razzisti, nazisti e fascisti si fondano in larga parte su questo assunto: tutto ciò che considero impuro internamente – che non riesco ad accettare e a simbolizzare come una parte del mio essere –, viene esteriorizzato e proiettato paranoicamente sullo “straniero” che è fuori di me. Straniero che finisce per coincidere con l’ostile e dunque con un oggetto che sono autorizzato a distruggere, piuttosto che come un simile dotato di un suo desiderio soggettivo con cui sono tenuto a confrontarmi.
Ebbene, in epoca moderna gli ideali, i valori e le narrazioni che governavano l’esistenza degli esseri umani e i loro legami sociali permettevano di raffrenare la spinta al narcisismo, all’edonismo e dunque anche all’odio per l’altro. Si trattava di ideali che cercavano di ancorare gli individui alla logica del sacrificio e che si fondavano sulla funzione simbolica del padre. Funzione in grado di accordare la legge (della rinuncia) con il desiderio (per la vita), offrendo ai giovani un esempio di come creare legami sociali e trovare soddisfazioni nel mondo senza escludere l’altro. Altro che strutturalmente è sempre qualcuno che possiede desideri, pensieri e valori diversi da quelli che mi appartengono. Nella nostra epoca postmoderna – caratterizzata dall’evaporazione del principio dell’autorità paterna e dunque dalla frammentazione di tutto il precedente sistema di valori ideali – l’odio rischia di emergere come una sorta di compensazione per l’assenza di ideali con cui dare senso all’esistenza, come un appello nostalgico al padre “forte”, che possiede la verità assoluta, che può permettersi di esercitare un potere illimitato, che non è soggetto alla castrazione – diremmo in termini psicoanalitici. Si tratta di un appello ad un padre che impone in maniera autoritaria ed arbitraria la sua legge, senza metterla in dialettica con gli altri – per esempio con le istituzioni, la politica e le regole del “buon” vivere civile. Proprio in un’epoca come la nostra contrassegnata da una liquidità di valori e di riferimenti simbolici con cui costruire un percorso di vita, sviluppare delle passioni, formulare progetti di vita rispettosi di sé e degli altri, il ritorno di ideologie che la storia ha condannato ci dice – almeno da un punto di vista psicoanalitico – che quando un essere umano non trova più il padre “giusto” che sa coniugare legge e desiderio se lo va cercare nel volto “feroce” di un padre che decide in maniera acritica – magari sulla base di riferimenti immaginari come il colore della pelle, lo status civile, la religione, ecc. – chi può far parte di una comunità e chi no, chi ha il diritto di parlare e chi no, chi è autorizzato ad esistere e chi no.
L’ultimo aspetto che sottolineo è che nel nostro tempo assistiamo ad un paradosso – nemmeno troppo velato – rispetto ai legami sociali. Ci muoviamo infatti all’interno di un campo sociale che non obbliga a mettersi in relazione con l’altro, eppure ci ritroviamo tutti più esposti alle conflittualità derivanti dai rapporti con i simili. Pur potendo coniugare al singolare i nostri comportamenti – senza obiezioni di ordine morale, religioso, ideologico – facciamo più fatica ad accettare le sfumature dei legami con il prossimo, a sostenere le contraddizioni della quotidianità, ad accettare che gli altri esprimano un desiderio che quasi mai risulta in accordo con il nostro. E quando il discorso sociale diventa “sregolato”, non solo appare più complicato costruire un desiderio compatibile con la presenza degli altri, ma gli altri stessi possono apparire in qualsiasi momento più imprevedibili, generando risposte difensive paranoiche. Modalità paranoiche che, quando non vengono riconosciute e simbolizzate, possono trasformarsi nell’odio per l’altro – tentativo disperato di tamponare l’imprevedibilità del suo desiderio –, prestando il fianco a dei “passaggi all’atto” come quelli cui abbiamo purtroppo assistito a Pagliare.

*Psicologo e psicoterapeuta


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