di Antonio Attorre*
Il primo aspetto è che si tratta, in fondo, di una “festa perduta”, quella dei riti propiziatori che avevano luogo e importanza nella società agraria. Tra l’antico calendario agrario e il nostro calendario attuale cadenzato sulle festività cattoliche (non dimentichiamo che l’etimo stesso della festività attuale richiama la tradizione cattolica con il suo “carnem levare”, ovvero il banchetto del martedì grasso prima dell’astinenza quaresimale), sono infatti rintracciabili sopravvivenze, prestiti, trasformazioni, tradimenti: nel carnevale offidano, ad esempio, si ritrovano chiare tracce dei Baccanali greci e dei Saturnali di origine agricola che si svolgevano in dicembre ed esigevano la sospensione totale di ogni attività pubblica per dare vita a banchetti, scambi di doni augurali, mascherate. Vino, vin cotto e mistrà la triade alcolica propedeutica alle celebrazioni carnaciaresche; svariati i dolci, per preparare i quali i meno giovani ricorderanno l’uso di miele e sapa (mosto cotto molto concentrato) in luogo dello zucchero o addirittura, quali dolcificanti ancor più economici, l’acquamelata o l’acquafficata, ricavate mettendo a bagno in acqua bollente fichi secchi a pezzettini o anche dell’uva passa: un’ennesima variazione sul tema del “fare le nozze coi fichi secchi”.
L’altro, e non secondario aspetto, è questo carattere di “mondo alla rovescia”, di capovolgimento momentaneo di valori e gerarchie che racchiude lo spirito carnevalesco e trova espressione nel detto “semel in anno licet insanire” (è lecito trasgredire, una volta l’anno) e, se vogliamo, nei carri allegorici di ispirazione locale o piuttosto nazional-politico-televisiva. Mondo rovesciato ma sotto controllo, naturalmente, tanto è vero che erano proprio le famiglie più abbienti a farsi carico della preparazione e distribuzione di pietanze e dolci carnevaleschi per tutti, evidentemente anche come ammortizzatore o esorcismo delle tensioni sociali.
Se vogliamo aggiungere un terzo aspetto, capovolgeremo quanto diceva W. H. Auden e cioè che “solo i bambini sanno ancora classificare le festività in base ai dolci che si preparano, appunto, solo in certe festività e non in altre”. Ormai questa prerogativa sembra più appannaggio degli anziani liberi dall’alzheimer che dei bambini, i quali di carnevali e dolci perdono mensilmente il conto, e difficilmente potrebbero conservare memoria, oltre tutto, di ravioli ripieni di ricotta e cannella fritti o, in versione dolce non dolce peculiare del Piceno, di ravioli di ricotta lessati e conditi con cannella, sapa e pecorino.
(4-continua)
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