di Marzia e Gabriele Vecchioni
Spinetoli è un borgo antico che sorge, come altri centri consimili, su un’altura che domina la bassa valle del Tronto. Il toponimo deriva, probabilmente, dalla voce latina spinetum, che indicava una macchia spinosa, con il suffisso diminutivo -ulus. Il centro storico risale al secolo XIII e custodisce la Torre civica e il cinquecentesco Palazzo comunale, ha una pianta esagonale ed è cinto da robuste mura, con una grande scarpatura. Gli edifici sacri principali sono la Madonna delle Grazie (1759), frequentato santuario che conserva diversi preziosi ex-voto, e la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, il nucleo originario della quale risale al secolo XIV. Nel territorio comunale si trovano, inoltre, diverse ville patrizie di grande pregio, costruite tra il ‘600 e l’800, interessanti per l’architettura, le decorazioni e i parchi annessi.
Sul lato che guarda la costa adriatica, un po’ discosta dall’abitato, è ubicata la chiesa-oratorio di San Rocco, una bella costruzione della fine del secolo XVII, dalla semplice pianta rettangolare ma ricca, all’interno, di affreschi, decorazioni in stucco e arazzi. Le prime testimonianze che attestano la presenza dell’oratorio sono del ‘500, quando, dopo un’epidemia di peste, furono dedicati al santo taumaturgo diversi edifici religiosi, in Abruzzo e in zone confinarie delle Marche. In un documento del 1573 essa viene definita oratorium S. Rocchi, eretto dalla comunità spinetolese a oriente del paese, a poche centinaia di metri dallo stesso. Completata nel secolo XVII, ha subìto recenti interventi di restauro nelle parti esterne. L’interno è ancora da sistemare, ma lascia intuire la passata eccellenza.
Sull’altare principale, una pala in stucco raffigurante il volo della Santa Casa di Loreto. Nell’oratorio erano conservate diverse opere d’arte, due delle quali sono ora nella parrocchiale di S. Maria Assunta di Spinetoli. La prima è una statua processionale in legno di fico raffigurante San Rocco (sec. XVII), raffigurato secondo la rappresentazione iconografica classica (tunica corta verde, conchiglia del pellegrino sul petto, cane con il pane in bocca). Il “verde pellegrino” sorregge, con la mano sinistra, un modellino del borgo fortificato, a testimonianza della protezione accordata. La seconda opera, sistemata sulla parete destra della chiesa, è una grande pala d’altare raffigurante, anch’essa, il Santo.
Recentemente, nella chiesa-oratorio si è tenuto un concerto del violoncellista Michael Flaskman, nel corso di una manifestazione dell’Ascoli Piceno Festival di musica da camera.
La figura del santo dedicatario. San Rocco è uno dei santi più popolari, venerato dalla chiesa cattolica e da quelle ortodossa e anglicana; in Italia, a lui sono intitolate circa tremila chiese e cappelle. Nella nostra zona sono diverse le chiese dedicate al Santo, situate principalmente nell’area montana dei Sibillini ma anche nel comprensorio dell’Ascensione.
San Rocco in una raffigurazione settecentesca
Dove non è presente l’edificio a lui consacrato, San Rocco è raffigurato negli affreschi murari, immancabilmente insieme a San Sebastiano.
Il santo nacque nel 1345 a Montpellier, nel sud della Francia, nella ricca famiglia dei Delacroix, da madre lombarda. Dopo la morte dei genitori, divenne terziario francescano, cedette tutti i suoi averi e si mise in cammino per Roma (è ricordato come “il santo pellegrino”). In Italia infuriava il flagello della peste nera (il punto culminante si ebbe nel 1363, con la “peste dei fanciulli”); Rocco si mise a disposizione dei malati, guarendoli con la semplice segnatura della croce sulla fronte. Ammalatosi egli stesso, si isolò in un bosco vicino Piacenza, dove venne sfamato dal cane del nobile Gottardo Pallastrelli che gli portava, ogni giorno, un pane sottratto alla mensa del padrone. Sarà proprio quest’ultimo a curare il futuro santo e a diventarne l’agiografo. Una volta guarito, Rocco proseguì la sua missione caritatevole ma venne arrestato per vagabondaggio e sospettato di spionaggio. Imprigionato perché si era rifiutato di dare le proprie generalità, morì il 16 agosto 1377, dopo cinque anni di prigionia; la sua identità fu riconosciuta per la presenza, sul petto, di un angioma dalla caratteristica forma di croce.
Diffusione del culto. Dopo la consacrazione (1584), il suo culto su diffuse con rapidità perché fu considerato un santo taumaturgo; il suo potere si estese anche sugli animali: San Rocco diventò così un “santo rurale”. I fedeli erano convinti che il Santo proteggesse contro la peste, il terribile morbo che tanti lutti aveva provocato nell’Italia del Medioevo, fino al secolo XVII; alla figura di San Rocco veniva associata quella di San Sebastiano, sempre per la sua azione protettiva (ovviamente legata alla pratica devozionale).
Le chiese e le cappelle dedicate al Santo sono isolate dai centri abitati: il motivo è legato, oltre al fatto già esposto che il santo dedicatario era una figura cara al mondo rurale, per “tenere lontano” dalle case gli appestati che erano i principali frequentatori dei luoghi sacri a lui dedicati.
Il verde pellegrino. Dall’analisi dell’iconografia del santo (vestito con una corta tunica di colore verde e una mantellina – il sanrocchino, con in mano il bordone – il bastone del pellegrino) e della data della festività (il dies natalis è il 16 agosto, più o meno le “idi di agosto”, mese delle Feriae Augusti), diversi studiosi hanno costruito un parallelo con una figura devozionale arcaica, quella di Vertumno. Quest’ultimo era una divinità etrusca, cooptata dai Romani, che incarnava il mutamento delle stagioni e presiedeva alla maturazione dei frutti; era il dio delle metamorfosi e poteva trasformarsi in tutto ciò che voleva. Insieme a Pomona, dea romana della frutta, anch’essa molto venerata nelle aree rurali, proteggeva giardini e orti. Come San Rocco più tardi, Vertumno vestiva di verde ed era una divinità agraria: diversi studiosi mettono in relazione la somiglianza dell’abbigliamento e la diffusione del culto di San Rocco tra la popolazione contadina con la figura di Vortumno.
La devozione popolare verso il Santo pellegrino è quindi sincretica, legata alla convergenza di dottrine religiose inconciliabili, ma ha trovato terreno fertile tra la gente bisognosa di un patrono taumaturgico che la aiutasse nella difficile quotidianità. La nascita di un culto si origina molte volte per spinta popolare e non sempre è supportata da fatti storici: nella maggior parte dei casi, si avvolge di un alone leggendario. È riduttivo, però, cercare solo la verifica dei fatti e l’origine di un culto fortemente radicato; è interessante, piuttosto, considerare l’ininterrotta devozione popolare nel soprannaturale e la ricerca continua di un mediatore che interceda con il divino.
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