di Luca Capponi
«E’ stata un’esperienza bruttissima, che non auguro a nessuno. Abbiamo trascorso 6 ore chiusi in un ascensore impazzito all’interno di un cimitero, di notte. Mio figlio autistico è andato in crisi arrivando a compiere atti di autolesionismo e per calmarlo ho cominciato a cantare, nonostante avessi il cuore a mille. Quando siamo rientrati, a casa piangevano tutti». Già, perché domenica pomeriggio Giovanni Orsini aveva detto alla moglie (tra l’altro costretta a letto da una malattia) che sarebbe uscito per andare a fare una passeggiata col figlio Davide. Una cosa veloce, come sempre. Poi, l’idea di recarsi al cimitero. Senza telefono cellulare, rimasto a casa. Da lì l’inizio di una disavventura che il 70enne ascolano avrebbe evitato volentieri.
«Siamo arrivati lì intorno alle 17,45, e siccome Davide ultimamente ha problemi al ginocchio e non riesce a fare bene i gradini, abbiamo deciso di prendere l’ascensore – racconta Orsini – giunti al primo piano, mi sono accorto che la porta non si apriva. Allora ho provato a farlo tornare giù, ma da quel momento l’ascensore ha cominciato a salire e scendere senza fermarsi mai, emettendo un forte rumore».
Un vero incubo per genitore e figlio. Il primo, impressionato, che cerca di calmare il secondo, in preda al panico. «Le ho provate tutte ma la porta non ne voleva sapere, ho tentato anche con l’allarme vocale ma niente -continua – passavano le ore e non sapevo cosa fare. Nessuno pareva sentirci e nessuno sapeva dove fossimo. Alla fine, più per disperazione che per altro, ho ricordato di avere una chiave abbastanza grande e l’ho infilata tra le fessure del portellone. Si intravedeva solo un muro, così ho atteso che l’ascensore arrivasse al piano, ci ho riprovato e sono riuscito a creare un pertugio di pochissimi centimetri che mi ha comunque consentito di fare forza ed aprire finalmente la porta. Intorno a mezzanotte eravamo fuori dal cimitero».
Nel frattempo i familiari, allertati dalla moglie disperata che piangeva pensando al peggio, avevano chiamato sia l’ospedale che i Carabinieri, tutti preoccupati dall’inusuale mancato ritorno a casa per cena di Giovanni e Davide. «Dopo tutte quelle ore erano molto più che spaventati, hanno temuto il peggio ma per fortuna tutto si è risolto – conclude Orsini finalmente nella quiete del suo appartamento di via Donizetti a Porta Cappuccina, a due passi dalla caserma dei Carabinieri – nei giorni seguenti sono tornato al cimitero a raccontare l’accaduto, spero veramente che a nessuno capiti più di trovarsi nella stessa situazione in cui ci siamo trovati noi».
Bloccati nell’ascensore del cimitero Terribile notte da incubo per un uomo e il figlio disabile
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