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Emergenza rifiuti nell’alto Bretta
Ipgi: «Non siamo noi gli “untori”»

ASCOLI - Parla l'amministratore unico della società che fino al 1992 ha tenuto aperta la discarica, una delle prima a nascere sul suolo nazionale: «Abbiamo lavorato ben 19 anni oltre il dovuto per limitare i danni prodotti dal silenzio completo degli enti pubblici, svenandoci a livello economico: è ora che i cittadini conoscano la verità»
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L’amministratore unica della Ipgi Marinelli e l’avvocato Sforza

di Luca Capponi 

«Ci hanno detto ed accusato di tutto, trattandoci da “untori”, definendoci sporcaccioni senza rispetto per l’ambiente quando in realtà la nostra società non ha fatto altro che lavorare ben 19 anni oltre il dovuto per limitare i danni prodotti dal silenzio completo degli enti pubblici: è ora che i cittadini conoscano la verità».
A parlare è Sante Marinelli, amministratore unico della Ipgi, società che dal 1984 al 1992 ha gestito la discarica di 17 ettari situata nella valle del Bretta, una delle prime a nascere in Italia in un periodo che sembra lontano anni luce. Il sito, più volte al centro delle cronache anche per le fuoriuscite di percolato (e non solo) che si riversano nei torrenti e nei terreni vicini, è attualmente chiuso ma viene mantenuto a livello ordinario e straordinario dalla stessa Ipgi. Il cui impegno dopo la chiusura (il cosiddetto “post mortem”) sarebbe però dovuto durare 3 anni, poi allungati a 7 da un decreto regionale del ’92. E infine, ciliegina, gli anni sono diventati ben 30.

L’ingresso della discarica

«Già il primo aumento del servizio di gestione post mortem ha prodotto enormi danni e maggiori costi certamente non remunerati in quanto non previsti dalle originarie tariffe contrattuali. La Ipgi ha comunque ottemperato a quanto disposto dalla Regione e nel 2000, dopo aver comunicato agli enti preposti di aver adempiuto agli obblighi, ha ottenuto anche la restituzione della polizza fidejussoria posta a garanzia. -continua Marinelli- Ad aggravare la situazione, una direttiva della Unione Europea del 1999, che prevedeva una gestione post operativa di 30 anni, subordinandola però alla previsione del suo costo nella tariffa praticata per lo smaltimento dei rifiuti, ovviamente a tutela del soggetto gestore, che altrimenti dovrebbe sopportarne ingiustamente tutti i costi. Invece noi ci siamo trovati da soli ad affrontare tutto questo in maniera retroattiva, vedendo i tempi decuplicati rispetto all’inizio: una situazione ingestibile, che ci ha svenato economicamente con milioni di euro di perdite, in una zona particolare la cui situazione è divenuta via via più difficile: le ultime forti piogge, ad esempio, hanno prodotto situazioni emergenziali impossibili da affrontare per noi. Tutto ciò, ribadisco, nel silenzio completo delle Istituzioni».
«Come stabiliscono le norme, infatti, i rifiuti non appartengono al gestore della discarica, che offre un servizio, ma a chi li ha prodotti. Non siamo noi ad essere nel torto, ma chi dei servizi ha usufruito per tanti anni, vale a dire dei ben 33 comuni che hanno smaltito alla Ipgi nel corso del tempo. -va avanti l’amministratore unico- E pensare che nel 2006, insieme alla Picenambiente, era stato presentato un progetto per lo sfruttamento di 460.000 metri cubi dell’invaso esistente per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi, progetto poi modificato su richiesta di Regione, Provincia e Comune. Il progetto presentato prevedeva un intervento globale di risanamento dell’intero sito con accollo da parte della Picenambiente di tutti i relativi costi ed oneri; ha ottenuto la Valutazione di impatto ambientale ma, a seguito dell’opposizione del Comune  e della stessa Provincia di Ascoli, non ha ottenuto l’Autorizzazione integrata ambientale; questo diniego è ancora oggetto di contenzioso davanti al Consiglio di Stato, ma la discarica continua ad essere oggetto di post mortem e di conseguenti interventi di gestione anche per effetto di procedimenti di infrazione ambientale che hanno avuto notevoli e pesanti risvolti giudiziari».

Il percolato che fuoriesce dal sito

Insomma, una situazione molto difficile ed intricata, in cui a perdere al solito sono i cittadini, l’ambiente e un territorio in perenne emergenza rifiuti. «Tra i motivi del diniego di Comune e Provincia ci sono due punti non più in essere. -spiega l’avvocato Carlo Nunzio Sforza– Il primo riguardava presunti problemi relativi alla viabilità, ma ad oggi risulta che decine di camion al giorno percorrano lo stesso tragitto per raggiungere la vicina discarica Geta. Il secondo, invece, riguardava la presenza sul territorio di altri siti simili tra cui Relluce, che però attualmente non abbanca rifiuti».
«La Ipgi ha svolto fino al 1992 una concreta funzione pubblica e di igiene urbana, permettendo alla quasi totalità dei comuni della Vallata del Tronto e a diversi comuni della Val Vibrata di conferire rifiuti ad una tariffa agevolata, ma oggi si trova a dover accollarsi, nonostante una tariffa non comprensiva della gestione post operativa trentennale, tutti gli enormi costi per la gestione ordinaria e straordinaria del sito, comprese le chiamate in responsabilità penali, e a dover anche attendere le pronunce delle autorità giudiziarie, adite dalla Picenambiente (affittuaria del ramo d’azienda), per il progetto di risanamento ed utilizzazione del sito, a causa del diniego dell’ultima autorizzazione, che, per di più, ha reso impossibile una sua definitiva sistemazione. -conclude Marinelli- E’ ora che qualcuno faccia qualcosa, invitiamo anche i comitati di cittadini a contattarci, in mancanza di riscontri agiremo giudizialmente per il risarcimento di tutti i danni connessi e conseguenti, con ulteriore riserva di trasmettere tutti gli atti alla competente Procura della Corte dei Conti, e per l’ipotesi che si ravvisassero anche estremi di condotte penalmente rilevanti, alla competente Procura della Repubblica».


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