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Un monumento da salvare
Il Monastero di San Giorgio ai Graniti

ASCOLI - Il convento situato tra i boschi di Monte di Rosara fu costruito nel 1382 con l’appoggio del vescovo Pietro III Torricella; prima c'era un lebbrosario. Storia, foto e curiosità di uno splendido sito, tanto interessante quanto ricco di spunti, la cui sopravvivenza è purtroppo a rischio
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Una veduta spettacolare del Monastero di San Giorgio

di Gabriele Vecchioni e Narciso Galiè 

(foto di Gabriele Vecchioni)

Qualche giorno fa un apprezzato articolo di Cronache Picene ha focalizzato l’attenzione su uno dei monumenti “ascolani” in pericolo: il convento di San Giorgio, sotto la rupe di Rosara. Il destino della storica struttura sembra ormai segnato, chiudendo in maniera ingloriosa una storia antica, che affonda le radici nel lontano Medioevo, e impoverendo ulteriormente il nostro territorio. Non possiamo che condividere la speranza di Luca Capponi «nell’illuminazione decisiva che ponga rimedio, in extremis, a un destino disgraziato». Intanto, ripercorriamo, in queste poche righe, la storia di questo bene storico-architettonico.

Il loggiato che si affaccia sulla valle del Castellano

Il monastero sorge di fronte a Castel Trosino, sulle pendici del Monte di Rosara, che scende acclive verso il Castellano: è un luogo solitario, quasi nascosto dalla vegetazione. È conosciuto come San Giorgio in Salmasio, nome che deriva dalle sottostanti “fonti salmacine”, o San Giorgio ad granitum o ai Graniti, per essere situato sotto la rupe di travertino. L’Amadio, nella “Toponomastica Marchigiana”, lo ricorda come Santo Iorio de Gravina, facendo derivare lo specificativo dalla parola celtica grava, col significato di “sasso”.
La scelta del luogo per la sua costruzione non è casuale poiché nei boschi del Monte di Rosara si tenevano, secondo la tradizione, i riti pagani legati alle festività del mese di maggio, dedicato alla dea-madre (per i sabini era la Bona Dea): in generale, la ritualità pagana si conservò per lungo tempo e la riconsacrazione dei luoghi di culto politeisti mediante l’edificazione di templi cristiani avvenne solo a partire dal secolo VIII-IX. La dedicazione dell’edificio alla venerazione di un santo-guerriero come San Giorgio, invece, era legata alla presenza di vapori sulfurei che risalivano dal corso d’acqua sottostante; nell’immaginario collettivo ciò era attribuito alla presenza di animali fantastici (da ricollegare alla leggenda di San Giorgio che affronta e sconfigge il drago, personificazione del Male). Secondo Balena, nel suo “Folklore piceno”, individuò la tana del drago nelle profondità della Terra, là dove emanava un odore fetido, l’alito della bestia (in realtà, era l’odore delle acque salmacine). Così, la festa piceno-romana in onore della Madre Terra si trasformò in quella per ricordare la figura di San Giorgio; la sua leggenda, di matrice nordica, trovò una location ideale nei declivi boscosi davanti a Castel Trosino.

L’aula della chiesa del convento di San Giorgio, ormai colonizzata dalla vegetazione, anche arborea

Era viva, nella nostra zona, la tradizione di festeggiare l’arrivo della bella stagione con riti antichi di sapore pagano. Erano manifestazioni che seguivano schemi naturalistici come quello del “piantar maggio” che consisteva nel conficcare nel terreno un albero simbolico, poco più di un palo, chiaro riferimento fallico. I luoghi deputati a queste feste popolari erano Colle San Marco, nei pressi del monolito di travertino del Dito del Diavolo, e San Giorgio, davanti a Castel Trosino, sotto la rupe di Rosara. In quest’ultima località, accorrevano grandi folle, anche dal vicino Abruzzo, per festeggiare; già in tempi antichi, le gerarchie ecclesiastiche si “appropriarono” di questo appuntamento, trasformandolo in festività cristiana. Una vivace descrizione degli eventi, in essere fino a pochi decenni fa, si deve a Riccardo Gabrielli, (nipote e successore di Giulio nella direzione della Pinacoteca ascolana), autore di un ampio resoconto sulla tradizionale festa popolare. L’articolista conclude poeticamente la sua cronaca, riferendo che «Le ombre avvolgono d’un mistico velo l’eremo solitario. La strada per Ascoli scende ripida e tortuosa. Nel silenzio dell’ora s’ode solo il fragore del fiume».
Il convento fu costruito nel 1382 dalla Comunità cittadina, con l’appoggio di Pietro III Torricella, vescovo di Ascoli dal 1375 al 1386, utilizzando rendite pubbliche per sistemare il lebbrosario ivi esistente dal 1343, una struttura voluta dalla nobildonna ascolana Livia Martelleschi e trasformata, nel 1382, in eremo dai seguaci di Fra’ Angelo Clareno da Cingoli, un francescano che ai suoi adepti chiedeva l’assoluta povertà. I frati che seguivano la sua Regola erano i “fraticelli de pauperae vitae” e avevano un regime di vita particolarmente austero: vestivano di stracci e vivevano di elemosine. Nella seconda metà del secolo XVI il convento passò ai Minori Osservanti e dopo l’Unità d’Italia, con la liquidazione degli ordini religiosi, diventò di proprietà privata: Nel 1889, fu acquistato dal francescano Sante Scaramucci, ex-padre guardiano del convento degli Osservanti dell’Annunziata, singolare figura di educatore che vi teneva una specie di collegio scolastico. Alla sua morte, nel 1907, la struttura fu venduta e la proprietà passò ad alcuni agricoltori che misero a coltura le terre adiacenti, utilizzando il convento come stalla e magazzino.

Padre Scaramucci il secondo da sinistra) riceve un gruppo di visitatori del monastero. Nell’immagine, ripresa dal tabellone esplicativo situato nei pressi del manufatto, è ancora visibile il campanile del convento

Il monastero ha un rilevante impatto scenografico sul fianco boscoso della rupe travertinosa di Rosara, con il bel portico a nove archi dal quale si gode un magnifico panorama. Sul lato d’accesso, l’edificio mostra un portico a tre archi con volte a crociera con resti di affreschi (nelle lunette sono raffigurati episodi della vita di San Francesco). Il campanile, gravemente lesionato dal sisma del 1972, è crollato due anni dopo.
Il Monastero di San Giorgio ai Graniti, bene di proprietà privata, è ormai pericolante e non è possibile accedere all’interno. La costruzione è in condizioni di abbandono totale; all’interno dell’aula della chiesa si sono sviluppati alberi che contribuiscono, con la crescita delle radici, a minare la statica dell’edificio. Dell’arredo sacro è rimasta soltanto la statua lignea di San Giorgio a cavallo che combatte con il drago. La statua processionale risalirebbe al XVIII secolo, ma Riccardo Gabrielli, in un articolo del 1947, la definì «mediocre lavoro d’arte tirolese, di recente acquisto». Il simulacro è conservato a Rosara, nella chiesa parrocchiale dei SS. Benedetto e Cristina (sec. XVIII).
Ancora Riccardo Gabrielli, nel maggio 1947, scrisse, sulla rivista “Le nostre Regioni”, un interessante articolo dedicato alla chiesa di San Giorgio.
«La chiesa del santo titolare ebbe a subire nel sec. XVII un radicale restauro che le fece perdere il suo primitivo carattere architettonico. La semplice facciata con campanile ha solo di notevole un portichetto a tre archi, adorno di rozze pitture. L’interno, non troppo spazioso ma con alta volta a vela, contiene tre altari barocchi. In quello maggiore, abbastanza ricco, si ammira la pala, raffigurante San Giorgio in atto di uccidere il drago. Dal disegno e dalla vivacità del colore, sembra un’opera di Lodovico Trasi, mentre il Paliotto e fine lavoro decorativo di Biagio Miniera, entrambi artisti ascolani».
L’edificio, già allora, versava in «miserevoli condizioni», tanto che l’autore, nel suo articolo, rivolgeva un accorato appello: «Da qualche anno la chiesa di S. Giorgio è in rovina e l’autorità ecclesiastica dorme malgrado i richiami della stampa locale. A quando l’attesa riparazione?». Sembra una storia di oggi.
La costruzione è da tempo in pessime condizioni di conservazione (tetti crollati, pavimenti divelti e affreschi caduti), nonostante abbia un certo interesse storico-artistico: sarebbe opportuno un tentativo di recupero di questo bene sia per il suo valore storico-architettonico sia per quello paesaggistico. In verità, associazioni ambientaliste ascolane da tempo si battono per il suo inserimento in liste di monumenti in pericolo di distruzione da prendere sotto la “protezione” della Soprintendenza Regionale; le condizioni di abbandono pluridecennale, però, fanno pensare a una più o meno prossima “sparizione” del manufatto. Un vero peccato, perché con San Giorgio se ne andrebbe un altro pezzo di storia del territorio piceno.

Affresco di San Giorgio a cavallo nei locali interni del monastero

Gli archi del portico d’ingresso

San Giorgio sotto la rupe di travertino rosa. Sullo sfondo, il profilo inconfondibile dell’Ascensione

«Poche scene offrono l’incantevole visione dei bruni monti lontani, i dolci colli degradanti fino alle acque del Castellano che nella cupa valle sembra un nastro lucente. Casteltrosino, dalla rotabile per Valle Castellana sollevato sull’enorme macigno, dal romitorio di S. Giorgio sembra sprofondarsi nel lago sotto¬stante della Centrale elettrica» (R. Gabrielli, 1947)

L’edificio ex-monastico di San Giorgio ai Graniti, ormai fatiscente, era strutturato su tre piani (al primo erano ubicate le celle dei monaci)

Un’immagine invernale del borgo di Castel Trosino con, sullo sfondo, San Giorgio ai Graniti, sotto la rupe di Rosara


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