di Gabriele Vecchioni
(foto di Umberto De Pasqualis, Cesare Perugini, Lorenzo Sgalippa e Gabriele Vecchioni)
«Le Marche sono la regione dell’incontro con l’Adriatico. Questo piccolo mare d’eccezione si spiega più intimo, più libero e silenzioso, con i suoi colori strani che lo fanno diverso da tutti i mari della terra. […] E la collina marchigiana, volgendosi verso l’interno, è un grande e naturale giardino all’italiana». Così Guido Piovene, nel suo Viaggio in Italia (1957), sintetizzava il paesaggio della regione, come se lo stesse osservando da uno dei borghi che si incontrano sui rilievi della costa, alti a dominarla.
Il litorale che dalla foce del Tronto si distende verso nord fino alle falesie del Conero è una lunga distesa di sabbia, dal cordone dunale della Sentina fino al promontorio del Monte Cònero. L’intervento dell’uomo, modificando il paesaggio iniziale, ha creato alcuni ambienti affascinanti: i borghi sul mare, autentiche terrazze panoramiche sul Mare Adriatico che Gabriel Fauré, grande musicista francese dell’Ottocento, attento viaggiatore e amante delle Marche, definì «una lastra di lapislazzuli».
Nei borghi costieri marchigiani (tutti con origini antiche) è possibile riconoscere un “paese alto”, un labirinto di stradine protetto dalle mura castellane, e la “marina”, stretto territorio pianeggiante vicino alla riva, poi urbanizzato: uno schema già utilizzato nei castra medievali delle Marche settentrionali. Più a sud, le marine erano semplici attracchi costieri, al servizio dei centri dell’interno; solo più tardi si espanderanno per diventare i paesi attuali. Sono fondamentalmente difensivi i motivi che facilitarono questo tipo di sviluppo urbanistico lungo la costa adriatica che, fin dal sec. VIII, era teatro delle incursioni di pirati turchi, saraceni e narentani (dalmati). La popolazione temeva molto l’arrivo dei pirati e, alla fine della recita quotidiana del rosario, chiedeva la protezione divina «dal male e dal moro che sbarca alla marina». Nel secolo XVIII il litorale fu provvisto di una sessantina di torri di vedetta, che dovevano dare l’allarme di giorno (con «le fumate») e di notte (con i fuochi). Le torri di avvistamento furono poi integrate o sostituite dai borghi stessi, da dove partiva l’allarme con il rintocco delle campane.
Nelle Marche meridionali, i borghi con queste caratteristiche sono diversi: senza nulla togliere all’affascinante “Paese alto”, l’incasato primitivo di San Benedetto del Tronto, raccolto attorno alla Torre dei Gualtieri (sec. XIV), simbolo dell’identità cittadina, i centri della costa picena che più attirano l’attenzione sono Grottammare, Cupra Marittima e, più a settentrione, Torre di Palme, siti d’altura nati come punti di avvistamento e difesa dai pericoli provenienti dal mare.
Il clima mite di Grottammare è “certificato” dallo scudo comunale che raffigura due aranci, come quelli che crescono lungo i viali cittadini. Di origine picena, il paese è citato in documenti del secolo X, quando fu costruito il castello (sistemato nel sec. XIV) che dominava l’incasato. La rocca difendeva il porto (ormai scomparso), assegnato a Fermo da Re Manfredi, nel 1259; la cinta muraria includeva il Torrione della Battaglia, sede del museo dedicato al famoso artista locale Pericle Fazzini (lo «scultore del vento» di Giuseppe Ungaretti).
Personaggi noti furono ospiti della cittadina. Villa Azzolino, costruita ai piedi del borgo alto su disegno del Bernini, ospitò, nel 1665, la regina Cristina di Svezia. Poco distante, la chiesa fortificata di S. Agostino (sec. XVI) con il campanile mozzato, come altri edifici sacri “colpevoli” di aver ospitato Martin Lutero, autore della Riforma protestante (1517) e visitatore del convento attiguo alla chiesa. A metà Ottocento, prima Giuseppe Garibaldi e poi il futuro Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, soggiornarono nella città grottese; a Villa Laureati, il 12 ottobre 1860, la Deputazione Partenopea offrì al Re di Sardegna la corona del Regno d’Italia. Nel 1868, qui soggiornò Franz Liszt; il pianista ungherese scrisse che «L’azzurro mare, gli ameni colli verdeggianti, la dolcezza del clima e il profumo dei fiori e degli aranci formano una poesia pari alla celeste armonia dei suoni».
Il borgo antico presenta l’incantevole Piazza dell’Arancio con il panoramico loggiato, resti di epoca romana e una magnifica vista sulla “marina”; la chiesa di San Giovanni Battista (decorata dal sambenedettese Giuseppe Pauri all’inizio del Novecento) e la Collegiata di S. Lucia (fine sec. XVI), voluta dalla sorella di Papa Sisto V sulla loro casa natale. Esterna all’incasato, vicino a importanti resti romani e alla restaurata Fonte del Latte, sorge l’antica abbazia di San Martino (secoli VIII-IX) che ospitò, nel 1177, Papa Alessandro III; l’arrivo fortunoso della nave papale nel porto, è ricordato dalla Sacra Giubilare.
A Cupra Marittima si rinvengono memorie non commiste della preistoria, della romanità e dell’epoca medievale. Il nome del borgo deriva da quello della dea picena Cupra, poi “adottata” dai Romani. Già municipio romano (Iulia Cuprensis), conserva diverse testimonianze dell’epoca (i ruderi del Foro, con due archi e il podio capitolino, e il ninfeo affrescato di una villa marittima). Qui sono passati Romani, Bizantini, Longobardi, Franchi e Mori che, nel sec. IX, distrussero la città. Nel Medioevo sorse Castrum Maranum (il toponimo deriva da marianum, a ricordare l’antica ubicazione del borgo) con una bella vista sulla costa e sulla retrostante Val Menocchia: a Marano e a Sant’Andrea (sec. XIII) si rifugiava la popolazione costiera per sfuggire alle invasioni dei pirati. Nel “Palazzo del vassello” (sec. XV) visse Francesco Sforza, legato pontificio e futuro signore di Milano, con la moglie Bianca Visconti.
Il legame affettivo dei cuprensi per Marano è ben espresso dal poeta Oreste Ciucci che ha scritto che «Tornare al castello di Marano per tutti è un lento viaggio verso le origini del nostro essere, come rondine sperduta, ad attingere, in larghi sorsi, l’acqua purissima di vivere in semplicità ed umiltà, con il ricordo dell’infanzia beata che più non torna».
Torre di Palme (secoli XII-XIII) è uno dei borghi storici più belli delle Marche, perfettamente conservato e con una grande omogeneità stilistica degli edifici. Era l’avamposto dell’antica Palma, fondata nel sec. VI AC dai Piceni e definita dal greco Strabone «approdo navale strategico» dell’Ager Palmensis (la zona costiera tra i fiumi Tesino e Chienti); la colonia romana di Fermo (264 AC) ne controllava i traffici. Intorno alla turris d’avvistamento si insediarono i monaci agostiniani e gli abitanti sopravvissuti di Palma, semidistrutta dalle ripetute incursioni piratesche: nacque così Turris Palmae.
Vicino al paese, su una franosa duna fossile del Pliocene, c’è il Bosco del Cugnòlo; “scavata” nei conglomerati, la “Grotta degli Amanti” vide, durante la Guerra di Libia, la tragica storia di un giovane soldato disertore e della sua fidanzata (i due si suicidarono per sfuggire ai Carabinieri che braccavano l’uomo). Il bosco, esteso circa 9 ettari, è uno dei pochissimi lembi di macchia mediterranea dell’area adriatica, insieme ai boschi del Cònero e a quelli del Gargàno: tra le specie botaniche presenti, la roverella, il corbezzolo, il leccio e l’alloro allo stato spontaneo. È una forma deteriorata di macchia primaria (foresta sempreverde), “area relitta” inclusa nell’elenco delle Aree Floristiche Protette della Regione.
Tra le case, si incontrano la chiesa di San Giovanni (sec. XI), il Palazzo dei Priori e la parrocchiale di Sant’Agostino (sec. XIV), in stile romanico con portali gotici, che custodisce un polittico di Vittore Crivelli, fratello del più famoso Carlo. Al termine della via, la romanica Santa Maria a Mare (secoli XI e XVIII) e l’Oratorio di San Rocco (sec. XII), sulla Piazza del Belvedere, chiudono lo spettacolare balcone panoramico sul mare e sui centri litoranei.
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