di Andrea Braconi
Ha scelto il suo profilo Facebook per annunciare quello che in tanti auspicavano. «Visto che si parla sempre di cambiamenti radicali e trasparenza allora accetto pubblicamente l’invito di molti amici che vivono nei Sibillini a candidarmi come prossimo presidente del Parco»: queste le parole di Paolo Piacentini, classe 1959, fondatore e guida di Federtrek. Un grande camminatore, come ama definirsi, con un lungo curriculum che lo vede anche collaboratore del Ministero dei Beni Culturali.
Un uomo che vive l’escursionismo “come gesto di impegno civile” e che ai suoi compagni di sentieri (e non solo) ha spiegato così i motivi della sua decisione: “Lo so benissimo come funziona la selezione e quali sono le dinamiche politiche, ed invece di andare a chiedere sostegni mirati nelle stanze della politica mi metto a disposizione con serenità ed amore appenninico. Ho detto ai miei amici che non cadrà mai la scelta sul mio nome, ma io ci sono».
Mancano ancora diversi mesi prima che l’attuale presidente Oliviero Olivieri passi il testimone, ma intanto abbiamo ascoltato Piacentini per capire i motivi di un passo – è proprio il caso di dirlo – così significativo.
Cosa ti ha spinto a candidarti per un ruolo così importante e di grande responsabilità?
«Posso dire che la mia candidatura, espressa in modo un po’ originale tramite i social e oserei dire quasi provocatorio (di solito tutto accade “dentro il Palazzo”), nasce da una sollecitazione di alcuni cari amici che vivono con forte impegno il loro amore per i Monti Sibillini svolgendo attività produttive o di promozione che si sono rafforzate dopo il sisma. Sono anni che frequento queste meravigliose montagne come escursionista e fino ai primi anni del 2000 anche come accompagnatore volontario della Federtrek, di cui sono il presidente nazionale. Questa frequentazione ha avuto uno sviluppo successivo proprio negli ultimi due anni, ovvero da quando le ferite provocate da uno sciame sismico interminabile mi hanno spinto ad essere ancora più presente sul territorio per raccogliere quotidianamente le sofferenze e provare a narrare una nuova storia appenninica, in parte raccolta nelle pagine del mio libro ‘Appennino atto d’amore’ (che vede la prefazione dello scrittore Paolo Rumiz, ndr). Il bisogno quasi spasmodico d’ascolto mi ha fatto comprendere le attuali difficoltà dell’Ente Parco nell’affrontare una situazione d’emergenza e allo stesso tempo di quanto sia urgente provare a rafforzare il rapporto dei residenti con l’esistenza dell’Area Protetta».
Quali sono le priorità del Parco in questa fase storica scandita, come detto, anche dalle istanze del post sisma?
«Le priorità del Parco sono molte, ma sicuramente la sfida più impegnativa e strategica è quella di riuscire a coniugare le finalità di tutela e conservazione con le nuove esigenze di sburocratizzazione ed ascolto quotidian,o nate proprio dal contesto post- sisma. La sfida contro la complessità di questo nuovo scenario si può vincere solamente con il necessario impegno di ascoltare quotidianamente le esigenze di cittadini ed operatori economici impegnati nei vari settori, cercando con loro la soluzione più idonea, senza che ovviamente vengano meno le finalità di conservazione e tutela che sono alla base dell’esistenza stessa dell’Area Protetta. Quindi le priorità non cambiano, ma va rivisto profondamente l’approccio con le comunità locali togliendo qualche rigidità che spesso è più di tipo comunicativo / formale che di sostanza».
Che tipo di relazione sarà necessario instaurare con i Comuni, le associazioni e le comunità dell’area?
«Il rapporto con la comunità del Parco, nel suo insieme, forse ha subito una sorta di arretramento rispetto al difficile processo di sensibilizzazione sul valore fondamentale dell’Area Protetta, valore costruito nel corso degli ultimi 20 anni. Per certi versi, il sisma ha stretto l’Ente Parco in un angolo, costringendolo alla difensiva rispetto ad una fase emergenziale che chiede, non sempre in modo adeguato, la sburocratizzazione delle procedure su nulla osta e quant’altro. Davanti a questa continua pressione caratterizzata spesso da esigenze di deroghe agli strumenti pianificatori del Parco, bisogna confrontarsi continuamente con le istituzioni locali, le comunità dell’area e le associazioni. Il confronto deve essere caratterizzato in primis da un ascolto profondo delle esigenze, anche del singolo cittadino, per cercare di capire quale soluzione può essere attivata senza intaccare la tutela del territorio ed essere pronti, qualora quanto proposto sia in chiaro conflitto con le finalità del Parco, ad arrivare a dire un chiaro no, comunicato però con estrema chiarezza e trasparenza, rimanendo comunque a disposizione per continuare a trovare una soluzione praticabile. Il rapporto con le istituzioni locali ed in generale con tutti gli abitanti del Parco, non deve mai arrivare a creare un muro contro muro. Nella gestione dei conflitti, che ovviamente non sono eliminabili, è necessario mettere in campo tutti gli strumenti più innovativi, utilizzati su scala internazionale in molte aree protette, per fare in modo che il Parco non venga più visto come un limite fastidioso e scomodo, ma come un’istituzione di secondo livello che accompagni una crescita di consapevolezza. La consapevolezza di quanto il vivere in un’area che preserva la biodiversità vegetale ed animale ed i meravigliosi ed unici paesaggi appenninici rappresenti un effettivo valore aggiunto e strategico. Il Parco deve essere in rete con la comunità locale e, soprattutto in questa fase caratterizzata dal bisogno estremo di costruire un futuro inedito che tenga anche conto delle sempre più evidenti crisi ambientali, occorre un Ente molto forte e deciso, capace di comunicare in modo capillare il valore aggiunto, senza posizionarsi mai su un piedistallo. Ruolo molto difficile, ma sicuramente affascinante».
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