di Luca Capponi
(foto di Andrea Vagnoni)
L’inizio è un vortice da urlo: parte “Eniglishman in New York” e lo stare seduti dura poco, pochissimo. Eccitazione, tanta, e salotto buono tutto in piedi. Ci vogliono una ventina di minuti, e un’altra manciata di brani, per riportare un po’ di “ordine”. Poi ecco un altro pezzo da novanta, “Every little thing she does is magic”, e piazza del Popolo ricomincia a ballare più di prima. Atmosfera giusta, pubblico gasato e musica di livello assoluto. Tutto ben comprensibile, perché sul palco ci sono Sting, il genio dei Police, e il buon Shaggy con foulard giamaicano in bella vista.
Musicalmente parlando, erano anni che la città non viveva una serata così. Piazza piena, per i numeri ci sarà il tempo giusto (ma erano in migliaia: buona l’organizzazione sinergica, non semplice per eventi di tale levatura, tra Sold Out e Comune), e due ore pulite di live che filano via come un treno, per un 3 agosto che rimarrà sicuramente impresso. Apoteosi, soprattutto quando partono canzoni immortali come “Message in a bottle” o “Fields of gold”, classici del repertorio del mito Gordon Matthew Thomas Sumner, ma non solo; Shaggy si fa apprezzare con le sue “Angel” ed “Hey sexy lady” ad indicare una sinergia che evidentemente funziona. Non a caso i pezzi del disco “44/876”, il primo registrato insieme ed uscito lo scorso aprile, vengono ben apprezzati dalla platea, soprattutto il singolo “Don’t make me wait”
Tra i due, è Shaggy quello che balla, si scatena, arringa la folla urlando più volte «Ascoli», parla: «Io vengo dalla Giamaica, lui dall’Inghilterra, voi dall’Italia, ma siamo tutti fratelli», dice in pieno stile Bob Marley. Non a caso, poco dopo, le note di “Walking on the moon” si intrecciano con l’immortale “Get up, stand up”.
Sting, dal canto suo, inseparabile basso in spalla, canta e suona da veterano quale è, senza però sbottonarsi troppo. Bastano le perle, ci mancherebbe, e qui è un profluvio: “So lonely”, “Roxanne” (proposta in un medley sui generis con “Boombastic” di Shaggy), “Desert rose” fino all’estasi emotiva di “Every breath you take” e al finalone con “Fragile”, anticipata dall’omaggio “Jamaica farewell”, cover di Harry Belafonte.
Alla fine, come sempre in questi casi, la musica non basta mai. Ma alle 23,30 circa, è tempo di andare. Altre date, altri luoghi aspettano il duo. Che, c’è da dirlo, nella due giorni (sono arrivati in loco il 2 agosto) hanno ben vissuto la città delle cento torri. Soprattutto Mr. Boombastic, che non ha lesinato selfie, post sul suo profilo Facebook e aperitivi. Più blindato Sting, che ha comunque alloggiato in centro storico e non si è risparmiato una ghiotta cena con olive all’ascolana, ravioli alle mele rosa e spigola al vapore con crema di nocciola, diventando per l’occasione anche “consigliere” gastronomico per i musicisti al seguito.
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