di Gabriele Vecchioni
(foto di Antonio Palermi, Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni)
Recentemente uno dei luoghi più belli e frequentati (dal punto di vista escursionistico) dei Monti Sibillini è stato teatro di eventi drammatici, per una serie di incidenti avvenuti sui sentieri che ad esso conducono, dovuti a imperizia o fatalità. Si tratta del Lago di Pilato, posto “magico” per eccellenza. In questo breve articolo ripercorriamo le sue vicende, naturalistiche e storiche.
Il Lago di Pilato è un lago di origine glaciale, unico lago naturale delle Marche, situato a 1.941 metri di quota, nell’area del Monte Vettore, all’interno del massiccio calcareo dei Sibillini, nel parco nazionale omonimo. Lo specchio d’acqua è un rarissimo esempio appenninico di lago glaciale di tipo alpino, compreso in una ridotta valle glaciale, a settentrione della vetta dei Monti Sibillini. Il bacino è stato creato dallo sbarramento della valletta da parte della morena (accumulo di detriti) glaciale, avvenuto nel Tardo Pleistocene (un periodo geologico “recente”, compreso tra 125.000 e 10.000 anni fa – l’epoca dell’Homo sapiens). È conosciuto anche come “lago ad occhiali” per la forma caratteristica dei suoi invasi gemelli, intercomunicanti nei periodi in cui c’è una maggiore quantità d’acqua.
Il lago occupa il fondo di una conca glaciale, ai piedi di un imponente cono detritico ed è un’autentica, inaspettata epifania “dolomitica”. Gli fanno corona alcune tra le alture principali dei Monti Sibillini: è circondato, infatti, dal Monte Vettore (”tetto” delle Marche, 2.476 metri), dalla Cima del Lago, dalla Cima del Redentore e dal Pizzo del Diavolo.
Una piccola digressione sui pittoreschi oronimi. L’ultimo è stato dato, sicuramente, in contrapposizione al precedente; un esempio, ben noto agli ascolani, è proprio vicino alla città: sul Colle San Marco c’è il Dito del Diavolo, che “bilanciava” la presenza dell’antistante “luogo santo”, il convento di San Lorenzo in Carpineto.
Le dimensioni del lago sono strettamente legate alle precipitazioni atmosferiche (pioggia e neve) e allo scioglimento delle nevi; piccole lingue di neve rimangono fino a estate inoltrata. Nella sua massima estensione (fine primavera – inizio estate), il lago è lungo circa 300 metri e largo poco meno di 150; ha un perimetro di quasi 1 chilometro e una profondità tra gli 8 e i 9 metri.
Il nome. La voce popolare vuole che il nome derivi da quello di Quinto Ponzio Pilato, procuratore romano della Giudea ai tempi della crocifissione di Gesù e suo giudice (è il personaggio che “se ne lava le mani”). Secondo la tradizione, Pilato fu poi condannato a morte da Tiberio; il corpo fu abbandonato su un carro trainato da bufali che, dopo una corsa sfrenata durata diversi giorni, lo avrebbero fatto cadere nel lago da allora denominato “di Pilato”. La storia è obiettivamente poco credibile, anche in virtù della poca profondità dell’invaso, ma è stata tenacemente tramandata nel corso dei secoli, contribuendo ad accrescere la fama del bacino come “lago maledetto”.
In realtà, sembra che il nome del lago derivi dal termine latino pila, che indicava un oggetto circolare; Niccolò Peranzoni (XVII secolo) scrisse «pro pilari lacus dictus est Pilatus». Nel tempo, fu scelto il nome più evocativo di lacus Pilati, anche per il fatto che, già da tempo, quello era un luogo dove si recavano i negromanti per effettuare il complesso rito di consacrazione del cosiddetto “libro del comando” («Hic lacus; ille suas extendit frigidus undas/ Quem Necromantes nocte dieque petunt», Francesco Panfilo da San Severino, sec. XVI).
A Villa Curi di Montemonaco, al Museo della Grotta della Sibilla, è conservata la Gran Pietra (una roccia piatta con incise misteriose lettere), ritrovata nella striscia di terra che separa i due bacini del Lago, nel punto in cui si presume che i negromanti effettuassero i loro riti di legittimazione satanica: questo la rende un interessante reperto antropologico e sociologico.
Nelle limpide acque del lago, poi, vive il chirocefalo del Marchesoni, minuscolo crostaceo di colore rossastro: forse l’animaletto è stato “interpretato” come presenza diabolica e ha contribuito alla demonizzazione del luogo (nel ‘600, i cronisti scrivevano di «demoni guizzanti nelle livide acque»). Nella sua Descrittione di tutta Italia (1551), il domenicano Leandro degli Alberti lo menzionò come «il stretto Lago intorniato da alte ruppi». Scrisse poi che «Essendo volgata la fama di detto lago che quivi soggiornano i diavoli e danno risposta a che li interroga si mossero già alquanto tempo alcuni uomini di lontano paese et vennero a questi luoghi per consacrare libri scellerati e malvagi al diavolo, per poter ottenere alcuni suoi biasimevoli desideri, cioè di ricchezze, di onori, di arenosi piaceri et simili cose».
Come si arriva al Lago. Il Lago di Pilato è raggiungibile solo per via escursionistica, con percorsi non difficili ma abbastanza lunghi, da percorrere con cautela.
Si arriva all’invaso per tre vie. La prima è quella che parte dal versante arquatano: da Forca di Presta si segue il sentiero usato per raggiungere la cima del Monte Vettore; arrivati al Rifugio Tito Zilioli (quota 2.250, attualmente inagibile per i danni dei terremoto del 2016), in località Sella delle Ciaule, si devia a sinistra, in discesa, verso la valle del lago. Le vedute sono magnifiche ma il percorso va seguito con attenzione.
A proposito del Rifugio, storico punto di riferimento degli escursionisti dell’Italia centrale, la sezione ascolana del Cai, proprietaria del fabbricato, sta pensando al lancio di un crowdfunding (raccolta online) per reperire i fondi necessari alla sistemazione dell’opera, magari in una versione più “moderna” (il vecchio edificio risale agli anni ’60, anche se ha avuto miglioramenti – l’ultimo nel 2014).
La seconda via risale la valle dell’Aso, partendo da Foce, frazione di Montemonaco che ha subìto, anch’essa, danneggiamenti dal terremoto. Si segue la sterrata che risale il Piano della Gardosa, in ambiente maestoso, fino a un’area boschiva che si supera con un sentiero ripido (conosciuto come “le Svolte”, per gli stretti tornanti) e, dopo un canalone, si arriva alla valle del Lago di Pilato. Il terzo sentiero parte dal versante umbro, davanti al borgo di Castelluccio, uno dei luoghi-simbolo dei recenti eventi sismici; la lunga (e faticosa) via passa per i prati di Forca Viola, attraversa un maestoso ghiaione e arriva al Lago.
Tutti e tre (in particolar modo il primo) sono itinerari adatti per collezionisti di vedute perché offrono continue variazioni di scenari, con punti dai quali godere panorami mozzafiato e colpi d’occhio sempre interessanti.
Avvertenza. Come già evidenziato, per arrivare al Lago di Pilato è opportuno essere allenati e accompagnati da personale esperto del percorso. È assolutamente vietato bagnarsi nelle sue acque; occorre mantenersi a una distanza di sicurezza (5 metri) dalle sue rive, per non danneggiare, calpestandole, le uova (in realtà sono cisti, all’interno delle quali l’embrione può rimanere vitale per anni, anche in assenza di acqua) che il chirocefalo depone sulle rive, tra le rocce asciutte.
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