di Gabriele Vecchioni e Narciso Galiè
(foto di Nazzareno Cesari, Antonio Palermi, Pietro Tarli, Gabriele Vecchioni e d’epoca)
In una zona come quella di Ascoli, vicina a gruppi montuosi importanti come i Monti Sibillini, i Monti della Laga, il Gran Sasso d’Italia e i Monti Gemelli, “salire all’Ascensione” può sembrare un’eccentricità. In realtà, questa enorme collina presenta aspetti interessanti: alla fine dell’Ottocento, Giulio Gabrielli, nella sua Guida alla città di Ascoli e dintorni (1882), scrivendo dell’Ascensione, raccontava di ambienti interessanti e meritevoli di una visita (all’epoca, si partiva da Porta Cappuccina, con guide e «vetture a sella», ossia trainate da cavalli o muli). L’autore descriveva «un abisso spaventevole, una spaziosa ed amena prateria, un oratorio dedicato all’Ascensione» e concludeva che «è superfluo aggiungere che da lassù godesi la vista di uno splendido panorama». Quella che il Gabrielli definisce “abisso” è la voragine della “Fossa del Lupo”, una profonda spaccatura di origine tettonica, esplorata per circa 200 metri di profondità.
Il bizzarro profilo dell’Ascensione si alza dal paesaggio di colline che circonda la città di Ascoli, svelando un ambiente unico, profondamente segnato dall’azione dell’uomo ma dove è ancora possibile trovare il “respiro” della natura. Anche se la montagna “ascolana” per eccellenza è la Montagna dei Fiori (gli abruzzesi della Vibrata la chiamano la “montagna nostra” ma essa è la “Montagna d’Ascoli”), il Monte dell’Ascensione ha sempre esercitato un’attrazione quasi magnetica sugli abitanti della città picena, grazie alla sua grande ricchezza naturalistica e storico-culturale. È stato, inoltre, un punto di riferimento visivo per gran parte del territorio circostante, per la sua forma inconfondibile.
Il legame della gente con questa montagna è testimoniato dalla partecipazione massiccia alla festa dell’Ascensione che si tiene a maggio. Un’antica tradizione vuole che i fedeli raggiungano il monte a piedi, portando con sé una pietra raccolta sul greto del torrente Chiaro e abbandonata all’arrivo, ai piedi della Croce di ferro. Un’altra storia racconta che l’ascolano che non sia mai stato in cima all’Ascensione sia “condannato” a (ri)nascere ciammarica, cioè lumaca.
Percorrere i sentieri del Monte dell’Ascensione significa entrare in una dimensione insolita, muoversi lungo le vie della storia. L’elenco dei personaggi che hanno frequentato la nostra montagna è lunghissimo: per le sue strade sono passati piceni, romani, saraceni, templari, eremiti, lanzichenecchi, briganti; qui ha camminato uno dei personaggi più enigmatici del suo tempo, Domenico Savi (Meco del Sacco).
Il rilievo, nel corso del tempo, ha avuto diversi “nomi” ed è possibile ripercorrere parte della sua storia analizzando questi orònimi (il termine deriva dal greco óros, monte): è quello che faremo brevemente in questo articolo.
Il nome più antico è Monte Polesio. Sembra che il nome derivi dal fatto che le popolazioni umbre arrivate per assediare Ascoli, allora tenuta dai Pelasgi, avessero stabilito il loro quartier generale proprio sull’altura che dominava la città (un po’ lontana, in verità): la denominazione esatta sarebbe stata Pol Esu (Monte di Esu), in onore della loro divinità Esu. Il termine pol per indicare un monte è antichissimo; sembra però che l’origine del nome sia romana: esso deriverebbe dal paulus, il cippo di legno che veniva posto in cima alle montagne per onorare gli dèi, così come al giorno d’oggi si mettono le croci. Tante montagne dell’Italia Centrale hanno (o hanno avuto) la parola “polo” nel loro nome (una di queste è la Montagna dei Fiori, antico Monte Polo).
Un’altra tenace tradizione vuole che il nome abbia origine da quello di Polisia, figlia di Polimio, governatore romano ai tempi di Diocleziano, l’ultimo grande imperatore pagano. La ragazza, convertita al cristianesimo e battezzata dal futuro Sant’Emidio, sarebbe fuggita all’ira del padre e morta cadendo in un burrone dalla cosiddetta Rupe di Polisia, dove, all’inizio del Novecento fu posizionata una grossa croce metallica. Una leggenda vuole che sia ancora viva nelle viscere della Montagna, dove lavorerebbe al telaio, con la compagnia di una chioccia e dei suoi pulcini d’oro (una storia di matrice longobarda, presente anche in altre zone d’Italia dove si erano insediati i barbari invasori). Secondo storici locali, il racconto non avrebbe fondamento perché, essendo figlia di Polimio, la martire Polisia avrebbe dovuto chiamarsi, secondo la tradizione romana, Polimia. Il nome del monte deriverebbe, invece, dall’ascolano Cintio Polesio, che edificò il castello omonimo alla falde della montagna (Monte del Castello di Polesio, diventato poi Monte Polesio).
Nel Medioevo, il monte era conosciuto come Monte Nero per il fatto che le pendici della montagna erano rivestite di boschi di leccio (una quercia sempreverde) e di castagni. Visto da lontano, sullo sfondo delle colline coltivate, il rilievo appariva scuro, quasi “nero”.
Secondo una differente versione, il nome deriverebbe da una parola greca, nerèin, che significa acqua. L’Ascensione è infatti una montagna ricca di sorgenti d’acqua: il torrente Tesìno nasce proprio dalle sue balze e dal versante settentrionale della montagna partivano le condutture che portavano acqua fino a Fermo.
Il nome attuale si deve a Domenico Savi (sec. XIV), fondatore dell’ordine religioso dei Pinzoccheri, che costruì un oratorio dedicato all’Ascensione in cielo di Gesù Cristo sull’area sommitale pianeggiante del monte. L’ascolano Domenico Savi, meglio conosciuto come Meco del Sacco perché vestiva un saio di “sacco”, cioè di tela grezza, è il personaggio storico che più degli altri ha caratterizzato la Montagna. Già cavaliere templare, sposato con figli, abbandonò la famiglia per dedicarsi alla predicazione. All’inizio del XIV secolo (700 anni fa) riuscì a radunare sul monte circa 7.000 seguaci, accampati vicino all’oratorio da lui costruito e dedicato all’Ascensione di Gesù Cristo e all’Assunzione in Cielo di Maria Vergine. A lui si deve la “creazione”, nel 1334, della Festa dell’Ascensione, subito fatta propria dalle gerarchie ecclesiastiche, anche perché la festa si sovrapponeva ad altre celebrazioni popolari, paganeggianti, già esistenti. La Festa dell’Ascensione (salita al Cielo di Gesù Cristo, dopo la sua risurrezione), una delle celebrazioni religiose più antiche d’Italia, è infatti dedicata alla Madonna, in onore della quale si tiene la processione dei fedeli: potrebbe essere la prosecuzione della tradizione antica dei festeggiamenti che si tenevano a maggio (in onore di Flora, dea della vegetazione), cooptata dalla “nuova” religione.
Il progetto spirituale di Domenico Savi terminò quando la sua notorietà (le gente gli attribuiva la resurrezione di ben sette morti!) cominciò a “dar fastidio”, anche per la sua elasticità interpretativa delle Scritture. Meco fu condannato ben due volte al rogo ma perdonato, addirittura da due papi (Benedetto XII e Clemente VI), a patto che smettesse di predicare. Morì in Francia, ad Avignone, quarant’anni dopo il secondo processo, avvenuto nel 1344 (Meco era stato condannato ad essere «abbruciato con tutti i suoi libracci»). Alla sua figura diversi storici locali hanno dedicato interessanti lavori ai quali rimandiamo chi volesse approfondire le tematiche relative al personaggio.n
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