di Andrea Ferretti
Martedì 9 ottobre 2018 ricorre il 30° anniversario dell’aggressione subìta da Reno Filippini, il tifoso dell’Ascoli Calcio picchiato selvaggiamente sul ponte dello stadio (oggi intitolato a Costantino Rozzi), a pochi metri dalla curva sud, dove una lapide ricorda quella tragedia. Erano tempi in cui parole come tornelli e daspo non esistevano e gli steward erano solo gli assistenti di volo all’interno degli aerei. Le forze dell’ordine c’erano anche trent’anni fa, ma potevano fare ben poco quando si scontravano i tifosi di opposte fazioni.
Quel giorno, però, non andò così. Domenica 9 ottobre 1988 al “Del Duca” si affrontavano Ascoli e Inter. Doveva essere una giornata di festa, l’ennesima prima di campionato di quella Serie A che i tifosi bianconeri di oggi, per seguirla, hanno bisogno di tv, cellulari e album della Panini. Una domenica che si trasformò in dramma, perché Reno Filippini dopo la partita venne aggredito e ridotto in fin di vita. Il suo cuore cessò di battere il 17 ottobre, dopo otto giorni di coma all’ospedale di Ancona. Ma erano tempi in cui, ad esempio, l’eliambulanza – che oggi sorvola il Piceno anche più volte al giorno – potevi vederla solo nei telefilm americani. Il dramma di Nazzareno (per tutti Reno fin da bambino, in famiglia e nelle squadre di calcio in cui aveva giocato) da trent’anni viene tirato in ballo ogni volta che si parla di violenza negli stadi. In quel periodo c’erano episodi paragonabili ad autentiche azioni di guerra.
Oggi, con stadi sempre più vuoti, ma bar e divani di casa sempre più affollati, certe dinamiche sono impossibili anche se la violenza negli stadi è perennemente in agguato come dimostra quel razzo che, a distanza di 17 anni dalla morte di Reno, il 18 ottobre 2005 venne sparato dalla vecchia curva sud e per poco non uccise una tranquilla tifosa della Sampdoria seduta in curva nord. Nel 1988 furono invece calci, pugni, bastonate e colpi di pietra a rivelarsi letali per Reno. Il coma, la morte, il funerale, un dolore straziante e indescrivibile. Dopo lunghe indagini vennero arrestati cinque ultras interisti del gruppo “Viking”: quattro milanesi e uno di Reggio Emilia, 20 anni il più giovane, 31 il più vecchio. Nel 1989 furono rimessi in libertà per mancanza di indizi. Si aprirono nuove indagini ma, dopo trent’anni e con un secolo e addirittura un millennio alle spalle, siamo al punto di partenza. Quel maledetto 9 ottobre la partita finì 3-1 per l’Inter di Trapattoni che a fine stagione vinse lo scudetto con 11 punti di vantaggio sul Napoli di Maradona e anche la Supercoppa italiana battendo la Sampdoria. Una delle reti nerazzurre la segnò Mandorlini, attuale allenatore della Cremonese, che l’Inter aveva acquistato proprio dall’Ascoli del presidente Rozzi. Per l’Ascoli pareggiò momentaneamente Giovannelli su rigore, poi ne segnò due Serena che a fine stagione vinse la classifica cannonieri con 22 reti. L’Ascoli chiuse al 12° posto alla pari con Lazio, Verona, Cesena e Bologna e in B scesero Torino, Pescara, Pisa e Como. Quell’anno il Milan vinse Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale, Van Basten il pallone d’oro. Ma Reno non c’era più. Aveva appena 30 anni, si sarebbe sposato dopo una settimana. Oggi di anni ne avrebbe 60, e probabilmente seguirebbe ancora la squadra del cuore allo stadio, magari con figli e nipotini al seguito. Una gioia che non ha potuto vivere perché la vita gli è stata sottratta nella maniera più brutale e inconcepibile.
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