di Gabriele Vecchioni
(foto di Marco Aubert, Nazzareno Cesari, Alfredo Mozzoni, Lucio Piunti, Claudio Ricci, Pietro Tarli e Gabriele Vecchioni)
«Il monte dell’Ascensione, poco più di mille metri, è uno dei colli più belli che circondano Ascoli. […] sembra una piramide quasi perfetta con una vetta tricuspidale incisa da profondi burroni». Così, vent’anni fa, Secondo Balena presentava il Monte dell’Ascensione, straordinario sito storico e naturalistico, legato in modo indissociabile alla città di Ascoli Piceno.
Nel paesaggio di colline («li dolci colli» di Cecco d’Ascoli) che cingono le cento torri si innalza la sagoma bizzarra dell’Ascensione, fondale della città verso settentrione, un sipario che ne ha accompagnato la storia nel corso dei secoli. Il rilievo ha un’altitudine modesta ma è ben visibile da ogni parte del territorio e presenta paesaggi affascinanti: l’uomo è intervenuto sul territorio creando un paesaggio dinamico, dove il “costruito” si fonde straordinariamente con il “naturale”.
Il Monte dell’Ascensione (ma per gli ascolani è solo l’Ascensione) è un’altura isolata, un balcone panoramico eccezionale sulle colline picene e le catene più vicine dell’Appennino, la città di Ascoli e la vallata del Tronto, fino alla distesa azzurra del mare Adriatico. È una montagna che riesce a essere diversa da tutte le altre e diversa da se stessa: a seconda di dove lo si osservi, il monte offre sempre un’immagine altra di sé; in più, c’è il territorio dei calanchi, splendido laboratorio naturale dove si può riconoscere la forza primordiale della natura. È sicuramente una realtà esclusiva nel contesto dell’Appennino (e dell’Italia centrale in generale), un posto fuori dell’ordinario: la popolazione deve avere coscienza di ciò e sentire l’orgoglio di vivere in un territorio unico.
I geositi. Con il termine “geosito” si indica una specificità geologica o geomorfologica del patrimonio paesaggistico di un territorio, di particolare pregio scientifico-ambientale, costituita da singolarità naturali che testimoniano i processi di formazione e di modellamento della superficie del pianeta. La parola manifesta in forma abbreviata un “sito di interesse geologico” (nel territorio dell’Ascensione, sono considerati geositi gli affioramenti di conglomerati, le aree calanchive, la Fossa del Lupo…). Il geosito offre un aiuto importante alla comprensione della storia geologica di un territorio ma è interessante anche in riferimento al paesaggio e all’economia, perché può fornire nuove opportunità di lavoro, specie per i giovani (la sua valorizzazione e la sua fruizione richiedono la creazione di infrastrutture e un’adeguata ricezione turistica).
I calanchi. Sono forme di erosione diffuse in diverse zone del nostro paese, in aree collinari della catena appenninica, impostate sulle formazioni argillose di terreni che hanno avuto origine dall’Eocene al Pliocene, in un arco di tempo iniziato circa 50 milioni di anni.
La parola “calanco” deriva, probabilmente, dalla voce indoeuropea cal, che indica uno scoscendimento del terreno; altri la fanno derivare dalla voce latina calare (scavare in profondità): quest’ultima ipotesi sembra confermata dall’aspetto tormentato del territorio.
I calanchi sono dovuti all’erosione idrica che colpisce i terreni argillosi; costituiscono il retaggio di fasi climatiche passate, più piovose dell’attuale, probabilmente risalenti al Pleistocene (poco meno di un milione di anni fa). La formazione dei calanchi parte da una lacerazione, una “ferita” sul versante, dovuta, per esempio, a una frana che asporta la vegetazione che protegge il terreno. Il “lavoro” è completato dalle acque meteoriche che, cadendo sui pendii, dilavano le formazioni argillose e, scorrendo in superficie, scavano ed erodono rapidamente il terreno, approfondendo i solchi e abbassando il rilievo.
Le acque piovane disgregano le particelle d’argilla che successivamente sono trascinate dalla corrivazione dell’acqua che, inoltre, asporta i semi delle piante che tentano di attecchire sul versante denudato, rendendo impossibile l’insediamento dei vegetali e la colonizzazione dei versanti. Il paesaggio appare quindi particolarmente aspro a causa della scarsa copertura vegetale, provocata dalle severe condizioni ambientali: le argille sono impermeabili e questo provoca una forte aridità; la composizione del terreno non facilita lo sviluppo dei vegetali e gli strati superficiali sono asportati dal fenomeno erosivo che impedisce lo sviluppo delle radici delle piante e il loro attecchimento.
Di solito, l’erosione del calanco è un processo naturalmente inarrestabile; questo rende inutilizzabili grandi estensioni di terreno, sottraendole all’agricoltura. I calanchi costituiscono, però, un paesaggio di grande fascino per l’osservatore: in essi si evidenzia la forza primordiale della natura che rende il paesaggio mai uguale a se stesso, uno spettacolo grandioso che si ritrova in poche altre zone d’Italia. Nello scenario dei calanchi si possono apprezzare luci, ombre e la straordinaria capacità di adattamento del reticolo idrografico.
La rete idrografica delle aree calanchive è di tipo dendritico (da una parola greca che significa “albero”): a struttura ramificata, con un fosso principale “di avvio” che si divide in rami sempre più piccoli che formano piccole vallette, separate da sottili creste “a lama di coltello”. La larghezza di questi bacini varia da 50 a 100 metri, le incisioni sono dell’ordine di metri e decine di metri.
Il lago di Porchiano. Da qualche anno, il territorio si è arricchito di una nuova emergenza naturalistica. Nel dicembre 2013, a seguito di abbondanti precipitazioni meteoriche, si verificò lo smottamento di un corpo argilloso di grosse dimensioni. Il materiale detritico, accumulatosi alla base dell’area, ostruì l’alveo del torrente Chiaro Morto, tra i centri di Porchiano e Colonnata, causando la formazione di un lago di frana, abbastanza esteso e tuttora in essere, con una superficie di circa 5 ettari. Nell’ultimo periodo il lago è quasi “scomparso” prosciugato dalla siccità: per ora, è solo un’enorme area fangosa (il confronto è possibile nelle foto a corredo dell’articolo).
Le aree calanchive. La zona più estesa è quella del Monte dell’Ascensione, dove le “ferite” del territorio sono ben visibili, soprattutto nei comprensori di Castignano e di Appignano del Tronto (contrada Montecalvo) e in aree limitrofe, come Offida. Ci sono zone vaste di calanchi anche nell’Acquavivano e a Ripatransone, a San Savino e a San Rustico, dove le argille hanno un singolare colore latteo; zone interessate a questo fenomeno sono presenti anche nel comprensorio di Cossignano. Aree calanchive “vicine” si incontrano anche al di là del Tronto, il corso d’acqua che fa da confine con la Regione Abruzzo, nei territori prossimi di Colonnella e di Controguerra.
La pericolosità del fenomeno è chiara se si pensa che diversi centri storici rischiano di essere seriamente danneggiati per l’avanzare dei calanchi. L’abbassamento del rilievo spesso innesca movimenti franosi che minacciano l’abitato: per citare due paesi vicini, Castignano e Ripaberarda sono “puntellati” da robusti muraglioni di sostegno.
Conclusioni. Nel comprensorio dei calanchi la natura e la storia si fondono in un unicum straordinario: è auspicabile la protezione di un’area così interessante con la costituzione definitiva di un Parco dei Calanchi, sul modello di altri simili già nati in Italia: potrebbe essere il segnale di un modo diverso di vivere il territorio, valorizzando le emergenze naturali e paesaggistiche con prospettive con solo culturali ma anche occupazionali.
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