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La storia millenaria dell’abbazia
dei Ss. Benedetto e Mauro al Tronto

MONUMENTO dalle origini antiche (secolo VIII) ma poco noto, si trova in posizione sopraelevata sulla sponda sinistra del fiume che attraverso il Piceno, a Stella di Monsampolo. Fino ai primi del Novecento era rag­giunto dai fedeli abruzzesi guadando il fiume con un ponte costituito da carri agricoli ac­costati e legati da corde
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Le alte monofore prospettavano sul chiostro dell’edi­ficio conventuale, addossato al fianco meridionale della chiesa, per evitare di restare in ombra durante l’inverno

di Gabriele Vecchioni

(Foto di Giovanni Fazzini, Gabriele Vecchioni e d’epoca)

L’abbazia dedicata ai Santi Benedetto e Mauro è situata in posizione sopraelevata, sulla sponda sinistra (orografica) del Tronto, nel territorio di competenza della parrocchia della popolosa frazione di Stella di Monsampolo del Tronto. Attualmente è posizionata sotto il livello della superstrada Ascoli-Mare e questo non favorisce la fruizione visiva del com­plesso, come meriterebbe, per la sua storia millenaria.

La lapide che attesta le concessioni enfiteutiche dei terreni dell’abbazia

Costruita in un sito strategico per­ché lì arrivava il livello del­l’acqua del fiume durante le piene rovinose e da quell’altura poteva controllare agevolmente il guado del corso d’ac­qua, era situata vicino al luogo della probabile deviazione della Via Salaria dal lato sinistro a quello destro del Tronto (Furio Cappelli, 2004). Antico hospitale per pellegrini, l’abbazia aveva il “diritto d’asilo” che garantiva, come altre strutture “di confine”, condizioni mi­nime di sicurezza ai perseguitati (Umberto Picciafuoco, 1995). Fino ai primi decenni del Novecento era rag­giunta dai fedeli abruzzesi guadando il fiume con un ponte costituito da carri agricoli ac­costati e legati da corde, come documentano fotografie d’epoca.

Nella foto d’epoca (anni ‘50 del Novecento), il ponte costituito da passerelle lignee sostenute da carri agri­coli (Archi­vio Fazzini)

Prima di occuparci dell’abbazia, alcune notizie agiografiche relative al contitolare San Mauro (secolo VI), anche se sono forti le perplessità sulla reale dedicazione dell’edificio a questo santo. Seguace prediletto del futuro San Benedetto, ebbe una condotta “santa”, premiata dal dono di poter compiere mira­coli (restituzione della pa­rola a un bimbo muto e salva­taggio di un monaco caduto da un’im­palcatura) e prodigi (avrebbe cammi­nato sulle acque per soccorrere il compagno Placido in procinto di anne­gare). Nel 543 fondò, nel nord della Francia, un’importante ab­bazia (Saint-Maur-sur-Loire), dove morì nel 584, invo­cato dai fe­deli afflitti da malattie reumatiche e dall’e­pi­lessia.
Il nome e le origini. L’abbazia (molto antica, forse risalente al secolo VIII) nacque, probabil­mente, dall’ampliamento di un tempietto sorto sul luogo del martirio di San Marone, evangelizzatore del Piceno all’epoca degli imperatori Nerva e Traiano, a cavallo tra i secoli I e II. Paolo Schiavi, ha scritto (2012) che «In luogo del sacello venne edificata una chiesa dalle forme imperfette ma veramente sugge­stionanti nella loro primitiva bellezza».

Uno degli in­gressi primi­tivi da dove entravano i fedeli per i riti cultuali: fino agli anni ’60, era manifestazione di de­vozione effettuare il giro nella cripta per tre volte, toccando le pietre dei muri

Lo storico abruzzese Niccola Palma (il territorio di Monsampolo del Tronto è appartenuto, fino a qualche decennio fa, alla diocesi di Te­ramo) scrive che il nome del santo (San Ma­rone), ormai tra­sformato in Mauro, sarebbe stato poi accomunato a quello di Benedetto. La tradizione vuole la presenza del santo umbro nella nostra zona ne­gli anni 540-542 , quando avrebbe fondato la non lontana abbazia abruzzese di Montesanto: l’assunto è stato però smentito dalla storiografia re­cente (Monte­santo risalirebbe al sec. XI, 500 anni dopo la presunta data di costi­tu­zione). San Bene­detto da Norcia, fonda­tore del movi­mento mona­stico, è stato nominato patrono d’Eu­ropa per l’o­pera di conser­vazione della cultura clas­sica e civile rea­lizzata dalla fitta rete di presìdi territoriali creata («Nel 1300 contavano circa 36000 tra abbazie e prio­rie», U. Picciafuoco).

L’abbazia dall’area di sosta della superstrada. In primo piano, la stazione del gasdotto, parzialmente occul­tata da una siepe

La fondazione dell’abbazia di San Mauro ricalca lo schema benedettino: i monaci pianifi­cavano non solamente la vita religiosa delle masse ma anche quella sociale, in un periodo di abbandono delle stesse da parte dell’autorità centrale, se­gnato dalle frequenti invasioni barbariche. I monasteri erano vivaci centri organizzativi del la­voro agricolo e di tutte le attività inerenti la vita quotidiana della popolazione, dalla viabi­lità fino alle opere di difesa dalle scorrerie, spesso provenienti dal mare. Nel nostro caso, si possono presumere inter­venti sul territorio della bassa valle che, sicuramente, si impaludava dopo le piene del fiume.

Ambiente laterale a pianta quadrata della cripta (ala del capocroce). Le volte deformi costituite da ciottoli di fiume, scaglie e materiale di riporto danno alla cripta un aspetto rustico e “forte”.

La storia. I documenti più antichi in cui si rinviene il nome dell’abbazia risalgono agli ul­timi decenni del secolo X (all’epoca di Papa Giovanni XV), quando è compresa in un elenco di mo­nasteri messi sotto la protezione del pontefice, e ai primi del sec. XI, quando un di­ploma dell’Imperatore Corrado II (1038) confermava la sua dipendenza da quella di Monte Cas­sino. Sulla porta bronzea della basilica cassinate (secc. XI-XII), voluta dagli abati Desiderio (futuro Papa Vittore III) e Oderisio II e riposizionata dopo es­sersi salvata, nel corso della Seconda Guerra Mon­diale, dal terribile bombarda­mento alleato del 1944, nella formella XIII si attesta che l’abbazia di San Be­nedetto in Trunto e la cella di S. Mar­gherita erano tra i beni accessori del monastero. Il termine cella, nel linguaggio monastico, indi­cava un mona­stero minore o abitazioni contigue all’edificio più importante.
Successi­vamente (sec. XIV), il complesso passò sotto la giurisdizione dell’abbazia di Farfa e poi sotto quella di San Liberatore a Majella. Nel 1046, il conte aprutino Corbone, con ca­stello in località Fano, nella Bassa Marca, donò a Racherio, abate del monastero di San Mauro un terreno di 3000 moggi (poco meno di 400 ettari), con tutte le pertinenze.
Le vicende sto­riche del monastero sono state indagate da diversi studiosi; non è questa la sede per ana­lizzarle in dettaglio: chi fosse interessato può trovare le notizie in letteratura.

Nell’area sopraelevata, una statua moderna del santo dedicatario. Ai lati, un piccolo repertorio di ex-voto dei fedeli

Fedeli alla Regola benedettina (ora et labora), i monaci di San Mauro si dedicarono anche ad attività amanuensi, contribuendo al già citato “salvataggio” della cul­tura antica e dell’e­poca. La tradizione vuole che qui sia transitato anche il futuro San Giacomo della Marca (1393-1476) che, giovane pastore, avrebbe portato, dalla natìa Monteprandone, le greggi del padre a pascolare nei dintorni dell’abbazia.
Nel 1484 furono effettuati consistenti lavori di restauro della primitiva chiesa abbaziale. Le belle volte a crociera in laterizio (liberate dall’intonaco con il restauro del 1990) poggiano su sei pilastri addossati alle pareti e mantengono intatto il fascino dell’an­tica architettura, dovuta all’opera di maestri lombardi. Nel Cinquecento la chiesa era definita «grotta fatta a croce di una bella antichità», in rife­rimento alla cripta, con le volte irregolari dall’aspetto «rude e arcaico», dovuto all’uso di pietre di fiume e materiale di reimpiego di origine ro­mana, testimonianza diretta dell’antico edificio altomedievale.

La mensa monolitica dell’altare della cripta è stata ricavata dal macigno che, secondo l’agiografia, do­veva schiac­ciare il corpo di San Marone (P. Schiavi, 2012). Nel riquadro, il masso erratico con una lavorazione a treccia poggiato, per devozione, sull’altare e proveniente, probabilmente, dalla costruzione primitiva. Il masso è sparito da tempo

Nei primi decenni dell’Ottocento la chiesa dei Santi Benedetto e Mauro era ancora aperta al culto ma il convento non esisteva più da tempo. Fin dal sec. XIV il monastero era in de­cadenza, per la scomodità del posto e per i danneggiamenti dovuti alle alluvioni del vicino fiume. La vita pericolosa di questo “monastero di con­fine”, soggetto alle scorrerie di mal­viventi, viene ricordata dal Picciafuoco che riporta le terribili invettive che chiudevano un inventario di beni del convento (1254): «Fiant vite illorum tenebre et angelus Domini affligant illos. […] Obscurentur oculi eorum ne videant […]Fiant filii eorum orphani et uxo­res vidue» (Sia la loro vita tenebrosa e l’angelo del Signore li affligga […] Possano diventare ciechi […] Che i loro figli siano orfani e le loro mogli vedove).
L’edificio. L’edificio religioso è orientato con l’abside a est, secondo i dettàmi antichi. Il primo impatto, di fuori, è proprio con l’abside piatto e le strutture esterne del capo­croce; il prospetto, in mattoni, appoggia sui due contrafforti della facciata originaria. La prima im­pressione non è positiva. La descrive efficace­mente Furio Cappelli che scrive: «Il primo impatto è deludente. L’edificio è spoglio, privo di particolarità architetto­niche e de­co­rati­ve. La facciata in laterizio coronata da cam­paniletti, umile e sgraziata, frutto di un amore­vole ma grossolano rifacimento del tutto ar­bitrario compiuto nel se­condo dopo­guerra, co­stituisce senz’altro un pessimo biglietto da visita».

Il presbiterio

All’in­terno, la sensazione cambia e, pur con gli interventi moderni, colpisce la sugge­stio­ne spaziale, con l’alta area presbiteriale raggiungibile con due rampe di scale laterali, che poggia sulla cripta antica, una struttura datata dal Cappelli a prima del Mille, una delle rare testimonianze dell’arte religiosa altomedioevale nel Piceno. Lo scivolo d’accesso all’ipo­geo “nasce” dalla sopraelevazione del pavimento della chiesa moderna: documenti fotografici del 1984 mostrano scale di 11 gradini (ora sono 9), con l’ingresso alla cripta allo stesso livello del pavimento della chiesa.
All’esterno, sul fronte dell’edificio (ovest) e sul lato che guarda verso il fiume (sud-ovest), sono in attua­zione scavi archeologici che hanno permesso di individuare i muri pe­rime­trali della chiesa più antica e alcune sepolture. Sono previsti altri scavi nella zona absidale e nelle adiacenze, nella speranza di una sistemazione definitiva dell’area, già parzialmente compromessa dalla costruzione della superstrada e dalla realizzazione della stazione del gasdotto proprio di fronte al mo­nu­mento.

Gli scavi archeologici (2015) hanno messo in luce la muratura dell’antica struttura conventuale

Dall’area rialzata del presbiterio si apprezzano le quattrocentesche belle volte a crociera della chiesa

Uno dei campaniletti a vela della facciata moderna

 


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