di Gabriele Vecchioni
(foto di Stefano Farina, Giovanni Fazzini, Lucio Piunti e Gabriele Vecchioni)
Le Marche sono una regione senza pianure, e le aspre montagne dell’Appennino (più del 30% del territorio) arrivano alla stretta fascia costiera stemperandosi in «un’impetuosa distesa di colline» (poco meno del 70% del territorio), definite dallo storico acquavivano Amedeo Crivellucci «una vasta ondulante pianura simile a onde perdute da una tempesta». La isoipsa (curva di livello che unisce punti con uguale quota, rispetto a quella del mare, pari allo zero) di maggior sviluppo ha un valore alto (quasi 500 metri sul livello del mare), a testimonianza di un territorio accidentato.
Bruno Egidi, descrivendo il quadro biogeografico del Piceno, ha scritto che «Dalla fascia litoranea fino al piano montano si estendono le colline, rilievi morbidi, arrotondati dall’intervento umano. Occupano quasi i tre quarti del territorio e rappresentano il carattere dominante del territorio stesso». La caratteristica saliente della Regione è proprio quella del territorio collinare che, oltre ad avere rilievo economico, legato alle sue produzioni agricole, presenta valori storici e paesaggistici notevoli.
Il contesto ambientale. L’area geografica che dalla linea di costa si estende per circa trenta chilometri verso l’interno, comprende, oltre al territorio costiero propriamente detto (una stretta cimosa di spiagge sabbiose), una banda collinare continua che va dall’estremo limite settentrionale della regione fino al confine con l’Abruzzo, segnato dal corso del fiume Tronto. Nella fascia prevale un paesaggio che può essere considerato tipicamente marchigiano: le colline della regione hanno, infatti, natura geologica unitaria, data dai cicli sedimentari del Pliocene (5-2,5 milioni di anni fa) che hanno formato una coltre di terreni argillosi che arriva fino ai più antichi terreni miocenici e del Mesozoico (che caratterizzano le catene calcaree dell’Appennino) e, nel nostro caso, fino ai depositi conglomeratici dell’Ascensione. La morfologia collinare deriva dall’azione congiunta della tettonica plio-pleistocenica e dell’erosione esercitata dalle acque superficiali durante l’Olocene (l’epoca geologica più recente, quella attuale).
Qualità del territorio. Gli splendidi valori paesaggistici delle nostre colline sono stati poeticamente interpretati da Cesare Chiodi che, nel 1953, nella Prefazione a una pubblicazione del Touring Club relativa alle Marche, scrisse «Ma che incanto di mare e di terra e di cielo, che ricchezza e varietà di campi e di prati e di selve, che larga maestà di colli dolci e ondulati…». I rilievi collinari della nostra regione furono raccontati anche da Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia (1957) in una sintesi descrittiva che è valida ancor oggi. Il giornalista e scrittore vicentino scrisse che «la collina marchigiana […] È dolce, serena, patetica, lucida, priva di punte… I colli sono tondeggianti, con pendici prative lunghe, lente, disseminate a intervalli di grandi alberi; quasi preparate a ricevere le mandrie bianche e i pleniluni». Un ultimo commento. Quello di Leandro Alberti, frate domenicano e viaggiatore instancabile che, riferendosi proprio al Picenum costiero (nella sua pluricitata Descrittione di tutta l’Italia, 1596), scrive: «Egli è questo paese molto dilettevole, ornato di belle vigne, et di fruttiferi alberi, et massimamente d’aranci, et d’olivi, ch’è cosa molto vaga da vedere».
La costruzione del paesaggio. Il paesaggio dell’area nasce dalla millenaria interazione tra l’uomo e l’ambiente fisico: l’azione antropica si è innestata sulla realtà geografica e l’ha trasformata secondo le proprie esigenze, dando vita a un paesaggio affascinante.
I Sibillini, l’Ascensione e i Monti Gemelli costituiscono lo scenario naturale delle vicende storiche dei centri che punteggiano le pendici collinari, con valori culturali autonomi ma riuniti in un quadro ambientale reso omogeneo dalla presenza immutabile dei rilievi: la montagna è una presenza incombente, visibile da ogni lato. I borghi, i nuclei abitativi, i campi, i casolari sono tutti sparsi nell’area pedemontana che appare antropizzata e coperta da una fitta rete di strade e sterrate ma non tanto da farle perdere una certa caratteristica di “naturalità”: un connotato che appare evidente, per esempio, quando si percorre la maglia anastomizzata di vie e di sentieri che taglia i boschi e sovrasta le aree calanchive dell’Ascensione.
Il paesaggio è l’espressione di un sistema complesso che ha origine dall’influenza reciproca dei fattori ambientali (la geomorfologia, il clima) e di quelli antropici (la cultura del luogo, le tradizioni, gli eventi storici). Lo studio del paesaggio rurale è di straordinario interesse per le caratteristiche ambientali e di equilibrata bellezza, dovute alle sue variazioni esteriori e cromatiche. Quello marchigiano (e, con esso, quello piceno) è un paesaggio agrario armonioso, con le colline modellate dalle geometrie campestri, disegnate dal lavoro secolare dell’uomo, iniziato alla fine dell’alto Medioevo e proseguito nel tempo. Qualche anno fa (2003), Tullio Pericoli, noto artista contemporaneo legato al nostro territorio, nel corso di un intervista dichiarò che «Quando l’uomo interviene sulle colline da agricoltore non fa danni, se interviene da costruttore l’effetto à terribile».
L’aspetto attuale si è plasmato sulla maglia poderale della mezzadria e della policoltura. Nel contratto di mezzadrìa, il proprietario metteva il terreno a disposizione del locatario, dividendo “a metà” i frutti del lavoro. La mezzadrìa, introdotta dai monaci benedettini farfensi nei terreni di loro proprietà, si sviluppò largamente a partire dal Quattrocento. A metà del Novecento, più della metà delle terre del Paese erano coltivate “a mezzadrìa” e nelle Marche si arrivava all’80%; solo negli anni ‘70 del secolo scorso questo tipo di sfruttamento della terra fu sostituito dall’affitto.
Il geografo francese Henri Desplanques ha spiegato (1977) che la mezzadrìa «Era la soluzione migliore per interessare alla produzione i coloni come i proprietari e siccome questi erano in gran parte cittadini e non esisteva più la servitù della gleba, essa serviva a trattenere sulla terra gli uomini capaci di lavorarla: da qui gli abitati sparsi con le case coloniche sui fondi, le colture arbustive che richiedono una presenza, una sorveglianza e un lavoro continui; la posizione dominante della casa colonica rispetto al fondo […]. Questo sistema di policoltura dava lavoro tutto l’anno alla famiglia contadina e ad altra gente e impediva l’emigrazione temporanea».
Nelle aree che ospitano le formazioni calanchive (come i territori dell’Ascensione e quelli limitrofi) si evidenzia, poi, la capacità di adattamento dei contadini che con un duro lavoro hanno utilizzato ogni centimetro di terra, arrivando a coltivare fin dove era fisicamente possibile, in uno scenario singolare, con crinali a lama di coltello e guglie appuntite che si alternano a ondulate colline coltivate.
In un recente lavoro (2008) relativo all’emigrazione del secondo dopoguerra dalle zone dell’Ascolano verso la Romagna e la Toscana, Pietroneno Capitani riferisce che nei calanchi di Ripatransone (ma l’analisi è valida anche per quelli dell’area vicina all’Ascensione) «… ogni piccola zona viene lavorata, ogni piccolo centimetro, anche a pochissimo dal bordo. Insomma, un centimetro in più e va nel burrone».
Conclusioni. Il paesaggio rurale delle colline picene è caratterizzato da un susseguirsi di erbai e aree a seminativo, intervallati da modeste fasce boschive, localizzate soprattutto negli impluvi collinari. Nelle vicinanze dei nuclei abitati, piccoli orti e oliveti, piantumati a filari, in un equilibrato patchwork territoriale (ancora Bruno Egidi scrisse, nel 1994, che «il paesaggio, dall’alternarsi ritmico degli appezzamenti, conserva una notevole armonia»); è forse poco interessante dal punto di vista naturalistico ma espressivo e rilevante da quello storico (ed estetico). A quote maggiori, i versanti dei rilievi sono coperti dal bosco, spesso ceduato; importante la presenza di castagneti, da frutto e da palerìa.
Sulle colline della vallata del Tronto ( i “colli truentini”), le ordinate composizioni geometriche dei vigneti esposti a solatìo (a solagna) caratterizza il paesaggio, così come nell’area, più a settentrione, compresa tra la valle del Tesino e Ripatransone (i “colli ripani”).
È un paesaggio magnifico, con itinerari mai banali, interessanti e suggestivi. Ogni località ha una specificità da offrire, una memoria storica, una proposta eno-gastronomica, costruita con pazienza e sagacia dalle diverse generazioni che hanno costruito qui il loro percorso di vita. Non avrebbe nulla da invidiare ai più celebrati paesaggi collinari umbri e toscani, qualora fosse adeguatamente valorizzato.
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