di Luca Capponi
Molti si sono tuffati in polemiche più o meno motivate, soprattutto sul web. Probabilmente in pochi, però, hanno provato ad approfondire il discorso sulla “Cracking art” dopo che, nei giorni scorsi, gli 80 animali realizzati in plastica rigenerata hanno fatto la loro apparizione in centro storico. L’inaugurazione ufficiale della mostra a cielo aperto intitolata “Zona Rossa”, che terrà in loco queste creazioni fino al 17 febbraio, è stata anche l’occasione per parlare con uno dei membri di questo collettivo artistico nato a Biella nel 1993, vale a dire Kicco, che ne fa parte insieme a Marco Veronese, Renzo Nucara, Alex Angi e William Sweetlove.
«L’idea nasce dal voler realizzare arte mettendo in collegamento l’uomo, le sue origini e la natura. -racconta- Il filo conduttore di tutto ciò è rappresentato proprio dalla plastica, un materiale moderno ma che deriva dal petrolio. La scelta di realizzare solo animali è dettata proprio da voler immediatamente entrare in empatia sia con la natura e l’ambiente che con il mondo dei bambini, senza dimenticare che proprio le pitture rupestri, tra le prime manifestazioni dell’arte umana, avevano spesso come protagonisti gli animali. Da sottolineare, poi, come la “Cracking art” utilizzi solo plastica rigenerata (per realizzare un’opera il tempo medio è di 4-5 mesi), tenendo fede al principio dell’economia circolare, che non crea rifiuti». Vero, anche perché, come noto, le plastiche in generale, laddove mal smaltite come spesso accade, sono tra i primi nemici del pianeta e tra le cause principali di inquinamento. Arte che non muore mai, quindi, perché dopo un numero definito di esposizioni le opere vengono triturate e riutilizzate per crearne altre, in una propagazione spazio-temporale davvero significativa.
Dal canto loro, i ragazzi del movimento “Cracking art” (il nome deriva dal “cracking catalitico”, processo tecnologico che trasforma la sostanza organica in sintetica ma che simboleggia anche una “rottura” simbolica degli schemi) sembrano non essere toccati per nulla dalle polemiche di chi manifesta contrarietà al posizionamento delle opere in contesti storici come quelli del centro ascolano. Come potrebbe essere altrimenti, visto che il collettivo ha esposto praticamente ovunque, persino sul Duomo di Milano (nel 2012, con la famose chiocciole celesti) o alla Biennale di Venezia. «Siamo sempre felici che se ne parli, in un modo o nell’altro – continua Kicco- di solito qualche polemica si crea quando arriviamo, poi però c’è sempre dispiacere quando le opere vengono disinstallate. Per noi è importante è che tutto ciò serva anche a fare in modo che risulti comprensibile il senso di ciò che facciamo. Ascoli, per esempio, col suo bianco travertino rappresenta uno sfondo unico con cui confrontarsi».
Come ha fatto notare il direttore dei Musei Civici Stefano Papetti, grazie a la “Zona Rossa” le cento torri in questo periodo posso ben essere definite come la capitale dell’arte contemporanea, vista la presenza anche della mostra del Premio Marche al Forte Malatesta e de “L’arte che protegge”, curata da Camillo Langone al primo piano di Palazzo dei Capitani.
La “Cracking art” illumina gli animali Il salotto buono fa avanguardia pensando alla “Zona Rossa”
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