di Gabriele Vecchioni
Ai piedi del Monte dell’Ascensione c’è una serie di piccoli borghi dove il tempo appare come sospeso. Uno di questi, distante dal capoluogo circa 3 chilometri, è Poggio Canoso, uno dei quattro castelli di Rotella, insieme a Castel di Croce, Rovetino e Capradosso.
Nel 1261 una bolla papale di Urbano IV conferì alle pertinenze benedettine il privilegio di diocesis nullius: esse non erano, pertanto, soggette all’autorità vescovile e dipendevano in modo esclusivo dall’abate di Farfa. Tra i beni del Presidato farfense, compresi tra i fiumi Tenna e Tronto, c’era Poggio Canoso.
Il nome del borgo è di origine latina: deriva dal termine podium, che indicava un villaggio arroccato su un poggio roccioso, e dall’aggettivo canose, forma neutra dell’arcaico canosis (poi diventato canus). L’attributo si riferisce alla vetustà dell’incasato: il borgo era stato fondato già nel secolo VI, dai cittadini in fuga dopo la conquista e il saccheggio di Ascoli da parte del duca longobardo Faroaldo. A testimonianza di questa sua “antichità” sta il fatto che esso è chiamato dai locali “Poggio Antico”.
La fondazione “ufficiale” del borgo si fa però risalire all’anno Mille (l’epoca dell’incastellamento), come castello a difesa della città di Ascoli, anche se sembra che sia stato abitato in maniera continuativa solo dal sec. XV.
Una breve digressione sul termine “incastellamento” e il suo significato. Esso indica la concentrazione della popolazione attorno a strutture difensive (i castelli, appunto; la parola “castello” è un diminutivo di castrum, che indicava l’accampamento militare). Il fenomeno, tipicamente alto-medievale (secc. X-XI), serviva a difendersi dalle continue invasioni di popolazioni aliene (saraceni, normanni, ecc.). Spesso i castelli erano frutto di edilizia abusiva, costruiti su terreni allodiali (di proprietà), cioè non dati in feudo, e servivano per acquistare potere da parte del proprietario (per esempio, poteva battere moneta e riscuotere tasse). Poco alla volta, queste concentrazioni divennero i centri d’altura che ancora vediamo nella nostra zona.
Tornando a Poggio Canoso, esso fu feudo delle famiglie Soderini e Massei. Fu comune indipendente fino al 1860, e aggregato, in seguito, a Rotella, insieme a Capradosso.
Anticamente, si entrava in paese da due porte: quella meridionale non è più rintracciabile; quella settentrionale ha un arco falcato (secc. XII-XIII) esterno e uno a sesto pieno più antico (sec. XI). Sulla parete esterna dell’entrata sono immurati uno stemma araldico, raffigurante un castello con due porte (come era anticamente Poggio Canoso), e una testina sporgente, probabilmente con valore apotropaico.
La cappella del castello diventò la chiesa parrocchiale di Santa Lucia, nella quale erano conservati quattro dipinti su tavola di Pietro Alemanno (XV sec.), raffiguranti Santa Lucia e altri santi, attualmente al Museo Diocesano di Ascoli. Nella chiesa, restaurata dopo il terremoto del 1962, sono esposte le copie dei dipinti.
A monte del borgo, il vasto castagneto della Capitània ricorda l’importanza della raccolta di castagne nell’economia locale.
Nel territorio di Poggio Canoso, sulle pendici boschive dell’Ascensione, c’è un piccolo convento, uno dei primi eremi francescani delle Marche. La tradizione vuole che sia stato proprio San Francesco a scegliere il luogo, utilizzando una preesistente struttura benedettina; ancora viene mostrata la stanzetta dove il Santo avrebbe pernottato nel 1215.
Alla fine del XIII sec., Papa Niccolò IV, ascolano e primo francescano eletto al soglio pontificio (1288), donò al convento una reliquia preziosa, un frammento della croce della Passione, incastonata in una croce d’argento dorato ornata di coralli (attualmente al Museo Diocesano della città picena). A testimonianza della propria benevolenza, aggiunse un prezioso calice d’argento, del quale si sono perse le tracce.
Del convento, situato nelle vicinanze del Poggio della Canosa, Padre Orazio Civalli, ministro provinciale dei Minori Conventuali, scrisse, alla fine del ‘500: «Conventino alla campagna preso dal P. S. Francesco: è di sito conveniente per essere fra monti; vi sono due fontane d’acqua molto buona, una nel Claustro, e l’altra vicino al Cimitero. A questo luoghetto Papa Nicola IV, non solo donò della Croce Santa, ma anche un calice tutto d’argento assai bello». Il calice al quale il religioso fa riferimento è quello citato prima.
Il convento fu soppresso nel 1650 da Innocenzo X perché ospitava meno di dodici frati e affidato a un sacerdote (il Retore). Il borgo era pittoresco ma in posizione disagiata, tanto che nel 1885 Don Agostini, nominato Rettore del Convento di San Francesco in Poggio Canoso, scrisse «Sono stato a Poggio Canoso e la località del Convento di San Francesco, ma il luogo è orrido, montuoso, circondato da gran fossi e senza strade […] ed il territorio parimenti incomodo per i fossi, i fiumi e strade fatte più per le capre che per gli uomini […] laonde intendo rinunciare al beneficio di San Francesco».
Con la morte dell’ultimo rettore (anni ‘50 del Novecento) iniziò un rovinoso abbandono; solo nel 1989 il convento rinacque a nuova vita, grazie alla presenza della Comunità Incontro di Don Gelmini, per il recupero di tossicodipendenti. Parzialmente restaurato, ospita oggi la comunità religiosa denominata “Il mandorlo”; la chiesa è stata “riaperta” nell’ottobre 2015 dal vescovo di Ascoli Piceno.
Interessante, poco prima di entrare al borgo per la porta a settentrione, è la chiesuola dedicata a San Rocco, uno dei santi più popolari, venerato come “santo rurale” dalla chiesa cattolica, oltre che da quella ortodossa e dalla chiesa anglicana. La vita e l’agiografia di questo santo sono state trattate diffusamente in un articolo precedente, al quale si rimanda. Al Santo sono intitolate, in Italia, circa tremila chiese e cappelle, a dimostrazione della devozione popolare; anche nella nostra zona sono diversi gli edifici religiosi dedicati al Santo: uno di questi è quello di Poggio Canoso, nel comprensorio dell’Ascensione.
La devozione popolare verso questo Santo pellegrino è sincretica (nata dalla convergenza di dottrine religiose inconciliabili), ma è entrata nel cuore della gente bisognosa di un patrono taumaturgico (San Rocco proteggeva da diversi mali, tra i quali la peste) che la aiutasse nella quotidianità, intercedendo con il divino.
Nel periodo natalizio, il borgo è lo scenario per un Presepe vivente, cerimonia che si ripete già da quattro anni. La rappresentazione attira numerosi turisti e costituisce, al di là della sua significanza religiosa, un volano economico per le produzioni locali, presentate in questa occasione nella affascinante location del borgo.
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