di Gabriele Vecchioni
(foto di Amerigo Chiodi, Carlo Perugini e Gabriele Vecchioni)
Le vie che, ai tempi di Roma antica, mettevano in comunicazione il Mar Tirreno e l’Adriatico erano tre: da nord a sud, la Via Flaminia, la Salaria e la Tiburtina Valeria. La Flaminia, realizzata nel secolo II Avanti Cristo utilizzando preesistenti percorsi etruschi, collegava Roma con Ariminium, l’odierna Rimini, dopo aver toccato Fano (l’antica Fanum Fortunae) e Pesaro. Il nome le derivava da quello di Caio Flaminio, console che cadde nella sfortunata (per i Romani) battaglia del Trasimeno (217 AC).
«La Via Salaria usciva da Roma a Porta Collina e, percorrendo il corso del Velino e del Tronto, raggiungeva Asculum, a 120 miglia da Roma, e giunta al lido dell’Adriatico a Castrum Truentinum (foce del Tronto), proseguiva poi lungo la costa» (La Provincia di Ascoli Piceno, 1898). Via antichissima, ricalcava antichi percorsi utilizzati per il trasporto del sale dalle saline di Ostia (alla foce del Tevere) fino alla Sabina (grosso modo, l’area di Rieti); più tardi si fuse con il percorso che, sfruttando la valle del Tronto, penetrava nel Piceno e valicava le alture appenniniche.
La Tiburtina Valeria arrivava a Tibur (Tivoli) e poi, per Alba Fucens (vicino al Lago Fucino) giungeva sulla costa adriatica, alla foce del fiume Aterno (Ostia Aterni, l’attuale Pescara). Il nome Valeria deriva da quello del console (Marco Valerio, 286 AC) che ne dispose la pavimentazione in pietra. Un ulteriore intervento (sec. I DC) da parte dell’imperatore Claudio fece attribuire il nome di Claudia Valeria all’ultimo tratto. Anche questa era una via molto antica, che ricalcava vecchi percorsi pastorali della transumanza.
Delle tre, la più “vecchia” era sicuramente la Salaria.
Il nome e la storia. Le vie consolari romane prendevano il nome dal console che ne aveva favorito la costruzione o la sistemazione (p. e., Cassia, Appia, Aurelia, Flaminia). Quello della Salaria, invece, deriva dal suo principale utilizzo: «[…] la via Salaria è così chiamata perché attraverso questa i Sabini trasportavano il sale dal mare» (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, sec. I DC). La via serviva quindi a trasportare una merce preziosa (il sale era necessario, oltre che per insaporire e conservare le vivande, anche per conciare le pelli animali). Memoria dell’importanza del sale nella storia antica è rimasta nel termine “salario”, che indica la retribuzione del lavoratore subordinato ma deriva dalla quantità di sale che spettava ai soldati.
Nel volume Marche (TCI, 1953) si legge: «La Via Salaria, percorsa dai Sabini allorché dalla conca reatina si mossero a popolare con i Piceni la regione a sud del Conero, è la “via breve” ricordata da Strabone, lungo la quale si esercitava il traffico del sale dall’Adriatico col Lazio e l’Urbe, traffico che durò fino al ‘500». L’attributo “breve” le deriva dal fatto che «[…] tra le strade consolari era la più corta; essa difatti non estendevasi oltre le 166 miglia antiche stando all’Itinerario Antonino. Era ed è la via più naturale e diretta, che da Roma potesse aprirsi traverso la media Italia» (Alighiero Castelli, 1886).
Nel 290 AC i Romani sconfissero i Sanniti e iniziarono la conquista dell’attuale Abruzzo; dal 289 al 283 AC furono dedotte le colonie di Hatria (Atri) e Castrum Novum (Giulianova); lo sbocco al mare orientale fu garantito con il completamento dell’importante via esistente, la Salaria che fu la prima via romana a unire i due mari, il Tirreno e l’Adriatico.
La Via Salaria entrava ad Ascoli passando per Porta Romana, così chiamata perché posta in direzione della Città Eterna. In questo articolo seguiremo il tragitto inverso, partendo da Ascoli e dirigendoci verso l’area montana.
Per un lungo tratto, la via costeggia, con andamento sinuoso, il corso del fiume Tronto, incuneandosi tra dorsali coperte di boschi. Subito dopo il bivio per Rosara, si incontra, a destra, il maestoso platano conosciuto come l’albero di Piccioni (qui il precedente articolo).
Il recente terremoto ha danneggiato diversi paesi, distruggendone, letteralmente, altri: viaggiare lungo la Salaria e attraversare le zone di Acquasanta, Arquata e l’Amatriciano è un autentico “viaggio del dolore”, vedendo le devastazioni e rendendosi conto di come gli eventi sismici abbiano sconvolto, oltre al tessuto insediativo, anche quello socio-economico. Superata Accumoli (o, meglio, quello che rimane del borgo) si devia per Torrita e si entra nel Reatino, dove i danni materiali sono minori ma pur sempre evidenti.
Il paesaggio aspro e montagnoso si addolcisce un po’, per tornare di nuovo accidentato vicino ad Antrodoco (l’antica Interocrium – tra i monti): qui, come già nella prima parte del tragitto descritto, la Via Salaria percorre un territorio dal grande valore paesaggistico, facendosi largo tra alte pareti rocciose.
Antrodoco, il borgo al centro dell’Italia. La cittadina aveva una posizione strategica importante, perché era una mansio della Salaria, che risaliva la valle del Velino, e da qui si staccava la deviazione che, attraverso una profonda gola, arrivava alla sabina Amiternum.
In epoca romana, il borgo vide la presenza degli imperatori della dinastia Flavia, Vespasiano, Tito e Domiziano. Nel 1231 fu assediata da Federico II per debellare l’opposizione dei signori delle terre al confine del suo regno; il conte dei Marsi, insieme con altri baroni, si fortificò nella rocca e resistette, con l’aiuto dei montanari locali, finché l’imperatore non fu costretto a levare l’assedio. Cinque anni dopo, Antrodoco fu distrutta dagli Aquilani e, successivamente dagli abitanti di Cittaducale (sec. XV); nel 1494 resistette ai Francesi di Carlo VIII: il re di Napoli le attribuì il titolo di urbs fidelissima, esentandola dalle imposte. Nel 1536, fu ceduta in signoria al capitano delle truppe pontificie Giambattista Savelli; passò poi al marchese fiorentino Giugni.
L’angusta Gola di Antrodoco, nel 1799, vide gli abitanti del borgo respingere una colonna di soldati francesi; lo scontro più noto, passato alla storia come il primo fatto d’armi del Risorgimento italiano, avvenne il 7 marzo 1821, immediatamente prima della battaglia di Tolentino. Le truppe austriache del generale Johann Frimont superarono la gola e occuparono la cittadina perché il generale Guglielmo Pepe, comandante dell’esercito napoletano, non attese il nemico protetto dalla fortissima posizione naturale ma lo affrontò nella valle del Velino. L’esercito austriaco, più ordinato ed efficiente, ebbe ragione facilmente delle poco organizzate schiere napoletane.
Santa Maria extra moenia e il battistero di San Giovanni. È una chiesa antichissima, legata all’insediamento precoce di una comunità cristiana, per la presenza di un nodo stradale importante. Lo ricorda Tersilio Leggio che scrive: «La “via del sale” fu poi un percorso lungo il quale il cristianesimo si diffuse capillarmente a corolla. L’avanzare della nuova religione è marcato dalla presenza di numerosi luoghi di culto lungo il suo tragitto e che divennero luoghi sacri, mèta di devozione popolare» (La Salaria cristiana, 2000). L’edificio, a tre navate, fu eretto nel sec. V a lato dell’antica Via Salaria, sui resti di un tempio preesistente di Diana. Il complesso romanico attuale, risalente all’anno Mille, fu sistemato nel sec. XIII e presenta, all’interno, affreschi dei secc. XIII, XIV e XV; l’alto campanile, opera di maestri lombardi, è del sec. XII. Alla base della semplice facciata a capanna, alleggerita dalla presenza di un oculo, un piccolo obelisco sormontato da una sfera metallica indica il centro geografico della penisola italiana. A onor del vero, anche le città di Rieti e di Narni rivendicano questo primato e, ad Aquae Cutiliae, luogo mitico di partenza delle migrazioni sabine, l’umbilicus era stato individuato da un oracolo dei Pelasgi, misterioso popolo arrivato dalla Grecia e passato per il Piceno.
All’interno del battistero (secc. XI e XV), isolato e a pianta esagonale, sono presenti diversi cicli pittorici e un magnifico affresco (il Giudizio Universale) che occupa l’intera controfacciata. Nella rappresentazione, in primo piano, una psicostasìa (pesatura delle anime) di San Michele Arcangelo preannunciata da angeli trombettieri. A sinistra, la Torre del Paradiso con i Beati e, a destra, una raffigurazione arcaica del Diavolo che “cattura” i dannati con i suoi tentacoli; nella rappresentazione “manca” il Purgatorio. Nella fascia superiore, Cristo in gloria tra gli apostoli e la Vergine, in una mandorla mistica appena abbozzata.
La Ferrovia dei Due Mari. Recentemente, Antrodoco è salita alla ribalta locale per l’interessamento di diversi soggetti (politici e non) per il progetto (o sogno) di una tratta ferroviaria Ascoli-Antrodoco. Dato il già esistente collegamento con Rieti (ramo della linea Terni-Sulmona, in essere fin dal 1883), il passo successivo sarebbe il prolungamento fino alla capitale: in altre parole, si tratta del completamento della Ferrovia dei Due Mari (o Ferrovia Salaria), progettata fin dal 1841 e non ancora completata.
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