di Gabriele Vecchioni
È notizia recente l’assegnazione dei lavori per la messa in sicurezza, la pulizia e la sistemazione di ampi tratti delle mura cittadine, opera attesa da tempo e che sicuramente valorizzerà una ricchezza cittadina (qui l’articolo). Questa è l’occasione per focalizzare l’attenzione sulle mura della città, le sue porte e le opere di difesa.
Le origini della città di Ascoli sono preromane ma l’impianto urbano del centro storico è di origine romana, con il caratteristico incrocio di strade ad angolo retto, a partire dal decumano e dal cardo, che si incontravano all’altezza del Foro. L’impressione che dà al visitatore è però quella di una città rinascimentale (per le piazze e i palazzi del vasto centro storico – circa 1,5 chilometri quadrati – costruito con la pietra locale, il travertino) o medievale (per le porte, le chiese e le mura urbiche, ampi tratti delle quali sono ancora rintracciabili con una facile passeggiata).
Proprio delle mura cittadine si occuperà l’articolo: in particolare, saranno esaminate le opere di difesa del lato occidentale della città, quello che aveva maggior bisogno di essere protetto, a differenza di altre zone che potevano sfruttare la difesa “naturale” dei due corsi d’acqua, il Tronto e il Castellano, che scorrevano in alvei abbastanza profondi e difficili da superare. Gustavo Strafforello scrisse (La Patria. Geografia dell’Italia, 1895): «La città trovasi situata alla confluenza del Tronto col Castellano che stringono Ascoli in tal modo che le mura di cinta sorgono in parte sul ciglio estremo delle dirupate rive di quei fiumi stessi».
Tra le opere di difesa urbana, oltre alla cinta muraria vera e propria e alle opere di protezione delle porte di accesso, figurava l’imponente Forte Malatesta, sulle rive del Castellano, a guardia del ponte che lo attraversava e del lato orientale della città. Il castello deve il suo nome a Galeotto Malatesta, che aveva guidato le milizie ascolane contro Fermo e nel 1349 aveva fatto sistemare un’opera già esistente. La conformazione attuale della costruzione, con la caratteristica pianta a stella, si deve a Antonio Sangallo il Giovane che la realizzò nel 1543, per ordine di Papa Paolo III Farnese.
In un articolo del 1897 (Le cento città d’Italia, Milano) si leggeva: «La Fortezza Malatesta si trovava dove ora è quel torrione di forma ottagonale, che apparisce fra gli alberi del giardino, torrione che conserva il nome della fortezza fatta erigere dal signore di Rimini […]».
Un’altra opera di difesa passiva, presente fin dal 1069, era situata su un’ansa del fiume Tronto: era il «castellum de isola», munito di una torre di difesa. Sul posto sorse la chiesa romanica di San Pietro in Castello che, nel nome, portava il ricordo dell’antico bastione difensivo.
Per chi entra in città percorrendo la Via Salaria, la porta d’ingresso occidentale della città è Porta Gemina (sec. I A.C.), più conosciuta come Porta Romana, perché situata sul lato della città verso la Capitale (qui l’articolo). La porta manca della parte superiore ma è, per il resto, perfettamente conservata; è costituita da due fòrnici, archi a tutto sesto “gemelli” (ecco spiegato il nome attribuitole), e permetteva l’ingresso sul decumanus maximus (l’attuale Corso Mazzini). A sinistra della porta e al di là della strada, sono visibili i resti delle imponenti mura preromane (secc. IV-III AC), di pietra arenaria; sopra, il “rinforzo” di epoca romana in opus quasi reticulatum. A destra della porta, le alte mura medievali che, nell’Età di Mezzo, difendevano la città dal lato occidentale. Durante il Medioevo, infatti, oltre alla porta romana, ce n’era un’altra, collegata alle mura citate. In un lavoro del 2004, Giuseppe Cesari riportava le parole della Guida Rossa del Touring Club Italiano dedicata alle Marche (1962): «[…] Oltre ai resti romani vi è un’altra porta medievale da cui si stacca, a sinistra, un lungo tratto di mura costituito in parte da conci di travertino tolti da edifici romani e terminante con un torrione cilindrico merlato; al di là, è un altro importante tratto di cortina».
Dall’imponente torrione le mura risalivano verso la Fortezza Pia, alla quale si ricongiungevano, per proseguire, poi, verso un’altra porta di Ascoli, Porta Cartara, al di là del Castellano. Le mura urbiche occidentali sono costeggiate da un sentiero percorribile dai pedoni, attualmente in fase di recupero. Alla fine della salita c’era la Porta summa, così definita perché era la più “in alto” della città. A metà strada era situata Porta Corbara, ora murata, difesa da una struttura per la difesa piombante.
Si arriva così alla Fortezza Pia, parte integrante della difesa cittadina. Già fortificazione preromana, subì diverse vicissitudini, fino ad essere abbandonata. Deve il nome a Papa Pio IV Medici che volle (seconda metà del sec. XVI) la ristrutturazione e il potenziamento dell’edificio già esistente; per poter meglio controllare possibili disordini popolari, nel progetto iniziale era prevista anche una fascia disboscata del colle, per poter “vedere” eventuali assembramenti nella principale piazza cittadina.
In precedenza, la Fortezza era stata restaurata nel 1349. Nelle Cronache Ascolane (1349) si legge che «[…] nel medesimo anno il signore Galiocto (è Galeotto Malatesta) fe fare in nascoli la quale è quella dal casare a monte (l’attuale Fortezza Pia) et l’aldra da quella del casaro a ponte Magiore (l’attuale Forte Malatesta)». Successivamente, la struttura che, come abbiamo visto, era collegata ai bastioni di Porta Romana da un camminamento, fu munita di cannoni ed ebbe un castellano e un mastro bombardiere per «curare et mantenere in ordine et accavallata la dicta artigliaria».
Dalla Fortezza la cinta muraria scendeva poi fino al Colle dell’Annunziata. Alle mura era “appoggiata” la chiesa di San Pietro ad Cryptas (alle Grotte), ormai scomparsa ma della quale rimane la torre campanaria (l’attuale Torre del Cucco o del Cucùlo). Il curioso nome del manufatto, ancora in essere alla fine del sec. XIX, deriva dalla denominazione della chiesa in alcuni documenti: «ecclesia Sancti Petri de Monte Cucullo (= piccolo colle)».
La zona del Colle dell’Annunziata (articolo precedente) è situata nel settore meridionale della città, a monte della confluenza tra il fiume Tronto e il torrente Castellano. Sul pendio posto a sud del rilievo sul quale sono localizzate le emergenze storico-architettoniche, è visibile una peculiarità geologica, un’ampia piega ad asse sub-orizzontale (coricata), al contatto delle arenarie con i livelli marnosi.
L’area interessata è quella più alta della città (260 metri sul livello del mare), l’antico Colle Pelasgico. In questo sito, strategico per la sua panoramicità, si trovavano le fortificazioni preromane, appartenenti all’antico càssero dei Piceni, distrutto da Gneo Pompeo Strabone nell’89 AC. Più tardi e più in basso, sfruttando l’appoggio di imponenti sostruzioni (le Grotte), fu costruito, in posizione scenografica, il pretorio, l’edificio che ospitava il rappresentante di Roma, sostituito, in epoca medievale, dalla struttura conventuale francescana.
Le cosiddette Grotte dell’Annunziata sono una delle più originali singolarità monumentali della città picena. Si trovano addossate su tre lati della rupe del Colle dell’Annunziata e la circondano interamente sul lato orientale. La loro costruzione risale all’epoca della deduzione della colonia (secc. II-I A.C.): l’ipotesi si fonda sulla tecnica realizzativa dei corpi di fabbrica, in uso nell’età triumvirale e augustea, e la consuetudine, tipicamente romana, di rinforzare i rilievi collinari che circondavano le città. Le sostruzioni dovevano stabilizzare il terreno, consolidando la superficie superiore ed evitare lo scivolamento del colle.
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