di Marzia e Gabriele Vecchioni
(foto di Gabriele Vecchioni)
In un precedente articolo, relativo all’antica abbazia benedettina in Trunto, a Stella di Monsampolo, era stata citata più volte la struttura monastica di Montesanto, la badìa della quale ci occuperemo in questo pezzo. L’Abbazia di Santa Maria in Montesanto appare, a chi percorre la statale 81 (la Piceno-Aprutina) verso Teramo, dopo aver superato l’abitato di Villa Lempa, frazione di Civitella del Tronto, poco prima di arrivare a Villa Passo, antica sede della dogana tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, fino all’Unità d’Italia. È un complesso monastico, già benedettino, con la chiesa dedicata alla protettrice del cenobio, Santa Maria Assunta.
È sotto la giurisdizione della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto Marche: appartiene pertanto a una diocesi marchigiana pur essendo stata tra le abbazie più importanti dell’Abruzzo. L’anomala situazione giuridica deriva dalla costituzione del Presidato di Montalto Marche (1586) da parte di Papa Sisto V.
La struttura, situata a 500 metri circa di quota, poco dopo l’edifico cimiteriale di Villa Lempa, è circondata da un fitto bosco di resinose, attraversato dalla strada che conduce al complesso abbaziale. L’abbazia occupa la sommità del rilievo dal quale domina il territorio: il dosso di Montesanto e la dirimpettaia altura di Civitella spiccano nello spazio pianeggiante compreso tra i due corsi “paralleli” dei torrenti Vibrata e Salinello. In particolare, da Montesanto la vista spazia oltre le basse colline del Teramano, sui vicini Monti Gemelli, sull’ “ascolano” Monte dell’Ascensione e sui massicci del Gran Sasso e della Majella.
La storia. Poco si sa dell’anno di fondazione. La tradizione vuole che il primo nucleo del complesso sia stato voluto da San Benedetto da Norcia in persona, negli anni tra il 540 e i 542, autorizzato dal vescovo di Ascoli, Epifanio: Montesanto sarebbe quindi uno dei monasteri più antichi d’Italia (Montecassino fu fondato nel 529, appena una decina di anni prima). L’ipotesi è verosimile, tenuto conto che in zona sono numerosi i luoghi scelti, fin dall’epoca altomedievale, da monaci ed eremiti per la loro mission spirituale. Montesanto (nome legato alla sacralità del posto), rilievo isolato e impervio, aveva le caratteristiche giuste per essere un luogo di ascèsi.
Monsignor Mario Sensi ha però recentemente smentito questa ricostruzione della storia antica dell’abbazia, basandosi su fonti certe. Il primo insediamento del cenobio risalirebbe all’età feudale, al sistema politico-sociale nato con i carolingi (secolo IX) e sopravvissuto fino all’inizio del XIX (il feudalesimo fu abolito da Napoleone Bonaparte). Lo storico sostiene che la fondazione si deve, probabilmente a una non identificata famiglia comitale teramana di grandi proprietari terrieri. Era un centro di controllo territoriale, con l’aspetto di castrum et monasterium; la presenza di una doppia cinta muraria con torri potrebbe aver stimolato la costruzione, in contrapposizione, della Rocca di Civitella.
Ancora il Sensi ci informa che la sede monastica è sempre stata retta da un abate o da un priore (quindi in completa indipendenza), mentre la maggior parte dei monasteri del Teramano dipendeva dalle grandi abbazie nazionali. I benedettini della ricca abbazia di Montesanto avevano piena autonomia nella cura animarum esercitata sul territorio compreso fra Teramo e Ascoli Piceno. I monaci seguivano vita claustrale e spesso pagavano sacerdoti per l’assistenza spirituale ai fedeli nelle terre da loro dipendenti.
Montesanto appare in documenti del 1064 e del 1137 (diploma di Lotario III, Imperatore del Sacro Romano Impero); nel 1193, Enrico VI lo assegna alla chiesa ascolana. L’abbazia, posta in prossimità del confine tra lo Stato Pontificio e il regno borbonico di Napoli, era piuttosto importante (possedeva ben otto chiese e duemila moggi – più di 800 ettari – di terra nella valle del Pescara) e aveva giurisdizione su diversi monasteri. Nel 1259, il conte aprutino Rinaldo, già abate di Montesanto, diventò vescovo-conte di Ascoli e rivendicò lo jus patronatus sull’abbazia. Alla fine del ‘400 iniziò la decadenza del monastero: prima perse l’autonomia, poi i beni, fino alla soppressione, avvenuta nel 1797.
Il complesso ha subìto diversi interventi di restauro, nei secc. XIII-XIV e XVII; l’ultimo, negli anni Novanta del Novecento, ha restituito funzionalità al complesso. L’intervento più recente è stato effettuato dopo il sisma del 2016-17 che aveva arrecato gravi danni alla copertura, ora ripristinata. Nel corso dei lavori sono stati condotti scavi archeologici che hanno confermato i dati storici espressi in precedenza. I ritrovamenti coprono un lungo arco temporale, che parte dall’epoca romana (frammenti di ceramica) e arriva ad oggi, testimoniando una frequentazione continua fin da epoche remote.
La chiesa. L’edificio era, in origine, a tre navate, poi “accorciato” e ridotto a unica navata (secc. XIII-XIV), secondo l’austero ma elegante stile benedettino. Nel sec. XVII un ulteriore accorciamento arretrò la facciata nella forma attuale. L’aula era coperta da capriate (forse scandita da campate con grossi archi a sesto acuto che scaricavano su contrafforti, ancora visibili all’esterno) e termina con orientamento a est, con un coro rettangolare con volta a crociera; la luce penetrava da alte monofore a strombo. Fino a qualche decennio fa, il presbiterio era diviso dallo spazio riservato ai fedeli da una cancellata di ferro. Nella chiesa sono presenti due statue: una relativa alla figura dedicataria, la Vergine Maria Assunta in cielo, e l’altra con l’effigie di San Benedetto da Norcia, che ricorda l’antica appartenenza dell’edificio sacro.
All’interno della chiesa sono stati ritrovati ossari e tombe a inumazione; queste ultime sono relative al primo insediamento monastico altomedievale e del quale non rimangono resti murari perché, secondo Staffa, era «costruito in materiali deperibili, probabilmente in legno».
La bella torre campanaria romanica, a base quadrata e con doppio ordine di finestre (bifore le inferiori, monofore le superiori), era addossata all’edificio ma, rimasta isolata quando il volume della chiesa fu ridotto, venne inglobata nella struttura del monastero.
Sulla parete opposta all’altare, si trova un organo seicentesco di scuola bolognese. Lo strumento è stato seriamente danneggiato dal crollo del tetto per i danni dell’ultimo terremoto (in concomitanza con le forti precipitazioni nevose del gennaio 2017) ed è in attesa del difficile restauro. Nella vicina cappella sepolcrale è sepolto Monsignor Ettore Di Filippo, vescovo emerito che si impegnò a lungo per il restauro dell’abbazia.
Nella parete laterale sono visibili le due vecchie porte a sesto acuto (sec. XVII), di cui una murata); la presenza di due ingressi era legata alle esigenze rituali della Festa agostana dell’Assunta (uscita e rientro della processione religiosa).
Il parco. Per arrivare al complesso monastico si attraversa un vasto parco, percorso da sentieri pedonali. Sotto i rami degli alberi sono ospitate statue che rappresentano la ricerca del divino nel corso dei secoli e nei vari angoli del mondo. In un primo momento, il visitatore rimane sconcertato (c‘è la menorah ebraica ma anche il totem dei nativi americani) ma l’assunto si chiarisce con una citazione leggibile durante il percorso: «[…] dalle varie religioni le risposte ai reconditi enigmi della condizione umana che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo». Il “percorso” termina con il simulacro di un astronauta, simbolo della tensione dell’uomo verso la conoscenza.
In un altro settore del parco, aperto verso un ampio panorama e la prospiciente Rocca di Civitella, simboli cristiani, tra i quali un Cristo Risorto crucifero, bella statua bronzea di Alessandro Caetani.
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