di Gabriele Vecchioni
Una delle sette porte di accesso alla città di Ascoli Piceno (quella verso l’area montagnosa, a occidente dell’abitato) era Porta Cartara. Il nome le deriva dalla presenza dell’opificio conosciuto come Cartiera Papale, che sorgeva lungo le rive del principale affluente del Tronto, il Castellano.
Questa via d’accesso alla città si è chiamata anche Porta Santo Spirito e, prima ancora, San Nicolò in Ponticello, denominazione che riprendeva quella del vicino convento; più tardi “diventò” Porta Molinara perché lì erano ubicati i mulini idraulici della città che sfruttavano la massa d’acqua del Castellano, l’affluente principale del Tronto. Giuseppe Cesari, nel 2004, scrisse che «[…] la Cartiera antica era sorta adiacente ad un antichissimo mulino ivi sorto in luogo adatto a sfruttare la corrente del fiume, come i tanti altri mulini, sorti lungo la Valle Castellana, quasi tutti di proprietà delle “reverende contesse” benedettine di Sant’Angelo Magno, oppure delle rigide monache “Damianite” di S. Spirito».
I mulini devono il nome al latino molinum, derivato dal verbo molere, triturare. Le strutture erano allocate sulle rive di torrenti ricchi d’acqua (e qui e nella vicina Laga ce ne sono), nei punti in cui esisteva un certo dislivello; producevano lavoro meccanico grazie al flusso della corrente, permettendo la macinazione soprattutto dei cereali, per la produzione della farina. Il mulino ad acqua, già noto ai Romani ma poco usato, venne perfezionato, dal punto di vista tecnologico, nell’alto Medioevo, diventando più comune ed efficiente. Uno stretto canale artificiale indirizzava, velocizzandolo, il flusso dell’acqua sulla ruota idraulica; a volte, come nel nostro caso, un bacino di raccolta dell’acqua permetteva di sfruttare meglio il dislivello dell’acqua, “regolarizzando” il flusso.
I mulini hanno macinato regolarmente fino al termine della Prima Guerra Mondiale; esistevano già nell’Alto Medioevo (1104) e, ancora nel secolo XIII, facevano parte del patrimonio delle potenti monache di Sant’Angelo Magno che li davano in affitto mediante una gara d’appalto. La proprietà fu poi del Libero Comune di Ascoli Piceno e quindi, nel 1312, essi divennero possedimento della ricca famiglia ascolana dei Guiderocchi. Nel Quattrocento, accanto ai Mulini sorse la Cartiera papale, proprietà della Camera Apostolica (Governo Pontificio), restaurata nel 1512, sotto Papa Giulio II: la vicina porta d’accesso alla città divenne Porta Cartara.
Il complesso della Cartiera papale era, in realtà, un opificio polifunzionale, costituito da quattro edifici, costruiti in tempi diversi fino ad arrivare alla figura attuale, restaurata in tempi recenti (2002). Il primo edificio fu la struttura molitoria, alla quale si aggiunse una gualchiera (o valcherìa, sec. XV), un frantoio (pistrinum aquaticum), una ferriera (e ramiera). L’ultimo step fu la realizzazione della cartiera.
Come anticipato, la ristrutturazione fu voluta da Papa Giulio II Della Rovere, eminente figura di pontefice rinascimentale, passato alla storia come “papa guerriero” (ironia della sorte: era francescano!) per la sua ininterrotta attività di riaffermazione del potere temporale della Chiesa romana; fu però anche il papa mecenate che permise l’estrinsecazione del genio artistico di Michelangelo, Raffaello e Bramante. Sotto il suo pontificato i diversi elementi dell’opificio furono riuniti in un unico corpo. L’opera fu affidata (1504) ad Alberto da Piacenza, aiutante di Bramante e autore di altre, importanti opere di committenza papale e, in seguito (nel 1525, da parte di Papa Clemente VII), a Nicola Filotesio. Quest’ultimo, più noto come Cola dell’Amatrice, ha lasciato ad Ascoli, sua città d’elezione, importanti opere, sia pittoriche sia architettoniche. Per quanto riguarda le testimonianze artistiche, ricordiamo la splendida lunetta della Salita al Calvario (1519) nell’ex-refettorio del convento dell’Annunziata (ora sede della Facoltà di Architettura) e l’interessante soluzione adottata per l’ingresso monumentale del Duomo di Ascoli, con due mezze colonne murate “al contrario”, originale eccentricità manieristica.
Nel 1512 fu terminato l’edificio che ospitava la fabbrica, insieme con la galleria scavata nella roccia, che serviva per convogliare le acque al sito di utilizzazione.
Sulla facciata dell’edificio si aprono due portali. Sull’architrave di quello di destra si legge la scritta Julius II Pont Max MDXII (1512). Sulla mensola del portone di sinistra sono presenti due grossi dadi di pietra con, in rilievo, ghiande e foglie di quercia, chiaro riferimento al Della Rovere. Anche qui c’è la data, scritta però in maniera poco corretta (MCCCCCXII).
La scelta del luogo era ottimale poiché poteva essere sfruttata la notevole potenza motrice del corso d’acqua che, in realtà, diverse volte era straripato, causando danneggiamenti all’edificio e ai macchinari. Per la produzione della pasta che sarebbe diventata carta erano necessarie macchine mosse dall’acqua (le già ricordate gualchiere). Secondo lo storico locale Giuseppe Marinelli, queste macchine preindustriali sarebbero state costruite dai monaci cistercensi del vicino convento.
La presenza ad Ascoli di una officina per la produzione della carta aveva attirato maestranze specializzate provenienti da Fabriano e da Piòraco (storici centri di produzione) ed era giustificata dal fatto che in città esisteva una delle più antiche tipografie italiane, dalla quale, già dal 1477, erano uscite opere importanti quali le Historie di Sant’Isidoro e gli Statuti cittadini.
La produzione della carta era collegata direttamente con l’attività di raccolta degli stracci che, per lungo tempo, rimase di pertinenza della comunità ebrea cittadina. Nonostante la Cartiera di Ascoli fornisse carta a tutto lo Stato Pontificio, l’attività dei produttori non era molto remunerativa e si ebbero frequenti cambi di gestione; la qualità del prodotto rimase però molto alta: ad una Esposizione tenuta nel 1888 le carte ascolane furono giudicate le migliori.
La produzione della carta raggiunse l’apice nel periodo a cavallo tra i secc. XVIII e XIX. L’abbandono dell’opifìcio risale all’epoca in cui essa terminò l’attività molitoria, alla fine della Prima Guerra Mondiale. In realtà l’edificio fu utilizzato per alloggi di fortuna fino a qualche decennio dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Dopo un’incuria durata di più di mezzo secolo, la Cartiera, diventata di proprietà dell’Amministrazione provinciale, è tornata a nuova vita con il restauro che ne ha ripristinato l’architettura. Attualmente viene utilizzata per ospitare mostre e convegni e, dal 2006, è sede un Polo scientifico-museale, con diverse sale utilizzate, oltre che per esposizioni temporanee (per le quali si utilizzano le antiche, ampie sale di essiccazione della carta), anche per ospitare strutture stabili.
Il Museo della carta espone la ricostruzione di macchinari per la produzione della carta e un percorso didattico per i visitatori. Il Museo di Storia naturale “Antonio Orsini” accoglie migliaia di reperti raccolti e catalogati dall’illustre scienziato ascolano dell’Ottocento.
In conclusione, la storia della Cartiera pontificia è lunga e interessante, anche perché ha visto il coinvolgimento di famiglie “storiche” ascolane (Guiderocchi, Merli, Galanti): chi fosse interessato ad approfondire questo aspetto, può trovare soddisfazione in uno dei lavori dedicati al complesso e al suo restauro.
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