di Gabriele Vecchioni
(Foto di Antonio Palermi, Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni)
Lo studio del paesaggio vegetale costituisce la piattaforma conoscitiva dalla quale partire per ogni progetto di gestione corretta del territorio; in questo articolo viene analizzato, in maniera necessariamente schematica, quello del nostro territorio. Prima di iniziare un ideale “viaggio” dalla costa verso l’interno, ricordiamo che «[…]il concetto di paesaggio risiede essenzialmente nell’integrazione tra natura e cultura di chi lo vive, tra costruito e non costruito […] (Stefano Gizzi, 2014)». Ogni analisi del paesaggio parte, invariabilmente, dalla conoscenza del patrimonio vegetale perché, come scrisse Charles Darwin, «L’esploratore deve essere prima di tutto un botanico poiché le piante costituiscono l’ornamento del paesaggio».
Nella valle del Tronto la varietà del paesaggio vegetale rispetta la successione naturale dei piani altitudinali: è possibile leggerne lo sviluppo dal piano costiero fino a quello montano in maniera abbastanza lineare.
Vegetazione del litorale. Il litorale, basso e sabbioso, ha un’ampiezza variabile tra i 50 e i 100 metri ed è limitato da un cordone di basse dune; quelle originarie sono state spianate per esigenze economiche (creazione di stabilimenti balneari, case e strutture ricettive). La conseguenza è stata la sparizione quasi totale della vegetazione caratteristica, limitata a pochi spazi ridotti, in prossimità della foce del fiume (come l’area della Sentina, di cui abbiamo parlato in questo articolo). Sottoposta a opere di bonifica fondiaria e utilizzata per produzioni agricole, essa è stata parzialmente recuperata alla sua naturalità, con il ripristino dei laghetti salmastri. La flora della zona è povera di specie ma altamente specializzata, per adattarsi alla criticità dell’ambiente.
Ricordiamone solo alcune, facilmente riconoscibili: la gramigna delle spiagge che fissa la sabbia incoerente (non compatta) con i suoi lunghi stoloni e permette l’innalzamento della duna; alla sommità del dosso si insedia lo sparto pungente, una graminacea di grosse dimensioni che compatta il terreno con le radici affastellate e permette l’insediamento di specie più esigenti. Qui vegetano le tamerici (che D’Annunzio definì «salmastre e arse», per sottolineare la loro adattabilità in ambienti aridi).
Il paesaggio agrario. I paesaggi di questo tipo sono spesso percepiti dall’osservatore “ambientalista” in maniera negativa perché, soprattutto nel secondo dopoguerra, i processi di modificazione hanno subito un’accelerazione che ha portato a una forte erosione dei paesaggi. Essi hanno però valore culturale: lo storico Emilio Sereni ha scritto che sono «testimonianza materiale avente valore di civiltà».
Il fondovalle truentino è fortemente segnato dal punto di vista agricolo, con appezzamenti poco estesi, residuo di pratiche secolari («[…] l’appoderamento minuto di tipo mezzadrile che segna il paesaggio con la regolarità geometrica data dai confini fondiari (Bruno Egidi, 1994)», serviti da strade vicinali e con abitazioni sparse, e da quello economico, con aree di sviluppo artigianale e industriale ancora in essere, nonostante la crisi economica che ormai si prolunga da tempo. Il paesaggio è caratterizzato da colture orticole specializzate nelle aree pianeggianti e sui declivi collinari, e da colture cerealicole e tradizionali (soprattutto l’olivo e la vite) sui pendii meno acclivi. L’appartenenza alla zona fitoclimatica del Lauretum (secondo lo schema di classificazione di Mayr-Pavari) si evidenzia per la presenza, in giardini e parchi privati e nelle alberature stradali, di specie tipicamente mediterranee (leccio, pino domestico, alloro).
Nelle zone alto-collinari e montane l’agricoltura è legata allo sfruttamento del bosco e del sottobosco e dei pascoli (allevamento ovino) e alle particolari condizioni climatiche: sono diffusi i castagneti, che hanno avuto un ruolo fondamentale per l’economia delle popolazioni rurali montane. Il notevole, continuato esodo subìto dai nuclei abitati e dalle case sparse ha lasciato vasti spazi che la natura sta (ri)colonizzando.
Altri ambienti interessanti. La forte antropizzazione del fondovalle (si parla, a ragione, di “città lineare della Valle del Tronto”) ha causato la scomparsa quasi totale della macchia mediterranea e dei boschi ripariali, con la creazione di un paesaggio uniforme e poco interessante, almeno dal punto di vista naturalistico. È possibile rintracciare presenze arboree significative nelle aree golenali del fiume: sono filari di pioppi, eliminati appena l’albero arriva a dimensioni commerciali. Nei campi, vicino alle abitazioni padronali, qualche esemplare isolato di quercia (sono le querce camporili, retaggio di una passata, maggiore diffusione).
Vegetazione boschiva. Nella zona del basso corso del fiume le aree boscate sono ridotte; diventano abbastanza estese nel corso medio-alto, dove la pressione antropica è minore.
Boschi di sclerofille sempreverdi. Le associazioni di questo tipo sono le leccete, ormai quasi scomparse a causa dell’intervento umano. Sulle colline marnoso-arenacee, il leccio (una quercia sempreverde, elemento-base della macchia mediterranea) è stato “sostituito” da specie caducifoglie (altre querce, come la roverella). Per incontrare una presenza significativa di lecci si deve arrivare al Colle San Marco, poderosa balconata di travertino a sud della città di Ascoli, dove la lecceta si trova sopra al castagneto, per il fenomeno dell’inversione termica. Un’altra lecceta consistente è a Ponte d’Arli, frazione di Acquasanta Terme, nella media valle del Tronto.
Boschi di caducifoglie. I diversi tipi di questo bosco appartengono, dal punto di vista fitosociologico, a diverse unità.
Boschi di querce (i querceti in generale) sono presenti nella fascia collinare; nelle Marche, le querce sono specie protette ma è difficile trovare macchie estese, per il taglio subìto in passato per creare spazio alle colture. Per inciso, il riconoscimento delle diverse specie di querce non è sempre agevole, per l’alta frequenza di incroci fecondi.
Il bosco misto di latifoglie (il cosiddetto bosco misto appenninico) è l’orno-ostrieto, dal nome dei suoi due componenti più significativi, l’orniello e il càrpino. È molto difficile incontrare macchie pure a càrpino; esso si rintraccia nelle aree interne, dove occupa la stessa zona del querceto: l’elemento mesofilo (il càrpino) tende a occupare la parte bassa (più fresca) del rilievo mentre quello xerico (la quercia) si trova nella parte superiore.
Il bosco misto occupava la quasi totalità della bassa valle del Tronto, un dato suffragato da notizie storiche; attualmente, è molto ridotto per il pesante intervento dell’uomo vòlto a conquistare terreni per l’agricoltura e le infrastrutture.
I castagneti sono boschi “artificiali”, favoriti, nel loro sviluppo, dall’azione antropica; la loro estensione (nella Penisola) è tale che il termine Castanetum indica l’intera zona fitoclimatica. Il bosco di castagno forma una fascia discontinua che si posiziona tra i querceti e i boschi di faggio. Nel bacino del Tronto, si trovano a partire dai 600 metri di altitudine (zona alto-collinare a sud di Ascoli Piceno) fino ai 1000 m del Monte dell’Ascensione e ad altitudini maggiori sui Monti della Laga e i Sibillini. Un castagneto “storico” è in località Piagge, sul versante settentrionale della Montagna dei Fiori; altri sono sulle pendici dell’Ascensione. Bellissimi ed estesi quelli dell’Acquasantano e dell’Arquatano.
I rimboschimenti sono soprattutto boschi di conifere (in particolare, di pino nero, una frugale specie pioniera), presenti nella media e nell’alta valle del Tronto, anche vicino alla città di Ascoli Piceno (articolo precedente).
Vegetazione d’alta quota. Nella valle del Tronto troviamo rilievi abbastanza elevati (per l’Appennino) con estesi boschi che “chiudono” la zonazione altitudinale della vegetazione forestale. È il Fagetum, la zona della faggeta, bosco monospecifico che arriva fin quasi i 2000 m slm; magnifiche le faggete dei Monti della Laga e le “macchie” dei Sibillini.
Le formazioni erbacee che si sono sviluppate sopra il limite dei boschi sono i pascoli d’altitudine. Sono di origine primaria, originatisi sopra il limite altimetrico del bosco; sono pascoli secondari se “creati” dall’uomo con il disboscamento, per favorire il pascolo ovino. I prati e le radure forestali sono molto interessanti per le fioriture policrome: la Montagna dei Fiori deve il suo nome proprio alle sue magnifiche fioriture primaverili.
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