di Gabriele Vecchioni
(foto di Umberto De Pasqualis, Carlo Perugini e Gabriele Vecchioni)
La città di Ascoli è dominata, a sud, dalla sagoma imponente ma rassicurante della Montagna dei Fiori. Vicino alla cima (area di Colle San Giacomo) passa il confine tra le regioni Marche e Abruzzo; il rilievo e le aree vicine sono un concentrato di eccellenze storiche, paesaggistiche e naturalistiche, tanto da essere comprese nei limiti del Parco Nazionale Gran Sasso-Monti della Laga. In questo articolo sarà esaminata una porzione del rilievo, quella appartenente al cosiddetto “Distretto dei Due Regni”. Il nome è stato scelto dalla dirigenza del Parco per identificare l’affascinante territorio a cavallo dell’antico confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli (leggi l’articolo) che, oltre ad essere geografico e storico, è anche culturale: nell’immaginario collettivo, segnava (e forse segna ancora) la “frontiera” tra l’Italia Centrale e quella Meridionale.
L’area è ricca di emergenze naturalistiche e storiche, ognuna delle quali meritevole di essere analizzata; qui la esamineremo in maniera rapida, dando solo brevi cenni delle sue peculiarità.
Il Parco Nazionale Gran Sasso-Monti della Laga è stato istituito nel 1991, racchiude tre gruppi montuosi, la catena del Gran Sasso d’Italia, il massiccio della Laga e i Monti Gemelli, e si caratterizza per la presenza della vetta più alta dell’intero Appennino («… a mezzo del roccioso dorso il nevato sasso più gigante leva Apennino», Giulio Salvadori, 1885). Il Distretto ingloba i Monti Gemelli, avamposto orientale del Parco, di straordinario interesse naturalistico, storico e antropologico, e parte della Valle Castellana, un’area quasi intatta, sospesa tra storia e natura. Nel mezzo, il Castello di Macchia, baluardo svevo contro le armate angioine, teatro di scontri sanguinosi e storie leggendarie.
Il soprannome “Montagne Gemelle” deriva dalla loro somiglianza morfologica e strutturale ma, soprattutto, dal fatto che esse appaiono della stessa altezza, per il fenomeno della parallasse, in modo particolare se viste dal territorio teramano. Parallasse è la parola difficile che indica lo spostamento angolare apparente di un oggetto, quando viene osservato da due punti di vista diversi. In altre parole, il fenomeno per cui un oggetto (in questo caso, una montagna) sembra “spostarsi” rispetto allo sfondo se guardato da un diverso punto di osservazione.
Una storia antica lega gli uomini a questo territorio, da millenni. Vincenzo D’Ercole, lo scopritore della necropoli di Campovalano, scrisse (1995) che «Sicuramente le due montagne gemelle dei Fiori e di Campli hanno svolto una costante funzione di riferimento territoriale, apprezzabile da grande distanza, sia marcando un confine “fisico” fra due ambienti ecologicamente diversi (pianura e montagna) sia rivestendosi di forti significati simbolici (riti dell’origine della vita, semine rituali)».
L’area è stata frequentata fin dalla preistoria (tracce di riti della fecondità e ceramiche neolitiche nella Grotta di Sant’Angelo a Ripe). All’epoca romana risale la “via del sale” (la Via Metella) dove, forse, è passato Annibale con il suo esercito. Il Medioevo ha visto la nascita, sulle strapiombanti pareti delle Gole del Salinello, di numerosi eremi e la costruzione del castrum Macclae, il castello del re svevo Manfredi. Nell’Ottocento, le varie cavità e i borghi hanno costituito il rifugio degli Insorgenti (i cosiddetti “briganti”). Durante la Seconda Guerra Mondiale, tra i boschi della Laga si sono rifugiati i combattenti della lotta di Liberazione. Infine, negli anni del boom economico, molti dei borghi, soprattutto quelli più isolati, hanno subìto il fenomeno dello spopolamento.
Le Gole del Salinello sono state scavate nei calcari dei Monti Gemelli, nel corso dei millenni, dal torrente Salinello che raccoglie, nell’alta valle, le acque superficiali che scendono a occidente della struttura del massiccio; lo stretto passaggio mette in comunicazione il tratto alto con quello medio-basso del corso d’acqua e separa la Montagna dei Fiori dal Monte Foltrone. Alle Gole, straordinario ambiente di acqua e rocce, area protetta dalla Regione Abruzzo per i suoi valori storici, paesaggistici e naturalistici, sarà dedicato un prossimo articolo. Qui un breve approfondimento relativo a uno dei suoi aspetti storici.
Le Gole del Salinello erano una via di comunicazione. All’epoca romana risale la tradizione della Via Metella, un’antica “via del sale” utilizzata per il trasporto e il commercio di questo importante minerale. L’importanza del sale nell’antichità è testimoniata dall’esistenza della “vicina” Via Salaria (precedente articolo).
L’esistenza della Via Metella fu proposta dallo storico camplese Niccolò Palma nel secolo XIX, sulla base di speculazioni fondate su lavori antecedenti e sul ritrovamento (nel 1823) del cosiddetto “cippo di Vallorino”, un miliario romano sul quale era incisa la scritta CAECILIUS METELLUS/ CXIX/ ROMA. Il nome fu associato a quello del console che avrebbe ordinato la sistemazione della strada e il numero CXIX (119) attribuito alla distanza del luogo di ritrovamento da Roma. Il computo chilometrico, effettuato dallo stesso Palma, avrebbe confermato il valore inciso e fu interpretato come prova delle sue affermazioni.
Lungo la Metella sarebbero scesi verso l’Adriatico, nel 217 AC, i cartaginesi di Annibale, respinti nell’assedio di Spoleto, dopo lo scontro sul Trasimeno e prima della disastrosa (per i Romani) battaglia di Canne. L’ipotesi è stata oggetto di studio da parte di numerosi studiosi e molte pagine sono state scritte sul percorso, insistente su tracciati risalenti all’Età del Ferro, che avrebbe attraversato l’angusta valle del Salinello; nessuno, però, è riuscito a portare la prova conclusiva dell’effettiva esistenza della via.
Gli eremi rupestri. Lungo il corso del Salinello si trovano i resti di numerosi eremi: la Montagna dei Fiori (e in misura minore, quella di Campli) era considerata una “montagna sacra”, per l’alto numero (ben 35) di luoghi deputati a eremitaggi e cenobi.
A ricordare la storia dei personaggi della Montagna dei Fiori (o Monte Polo, come allora si chiamava) sono rimaste le cavità che li ospitavano; di alcuni si sono perse le tracce, resta solo il ricordo. Uno di questi era San Benedetto de Flaviano, un cenobio situato vicino alle Canavine, sulla strada che da Macchia sale verso San Vito; il monastero fu distrutto da una slavina di neve e sassi.
Il tema è affascinante e meriterebbe di essere trattato a parte. Ricordiamo soltanto che il territorio di Ascoli, come altri dell’Italia centrale (la Toscana e l’Umbria), fu investito da forme di misticismo e di religiosità ingenua, prolungate nel tempo e delle quali sono presenti ancora le tracce: oltre al fenomeno eremitico della Montagna dei Fiori, sul Monte dell’Ascensione predicò Meco del Sacco, sui Monti Sibillini e nell’Arquatano, lo fecero i Clareni (fraticelli de pauperae vitae), seguaci di Angelo Clareno da Cingoli.
La Macchia del Conte. Le Gole del Salinello terminano (o meglio, “iniziano”) con il Castello di Macchia, costruito su un costone roccioso che sovrasta il paese di Macchia da Sole, tra il torrente Salinello, proveniente dall’area del Monte della Farina, e il Fosso del Lago (o Rivolta), che scende dalle Cannavine, alla base della Montagna dei Fiori. Nel 1447 la zona di Macchia diventò possedimento del Conte di Montorio: in un documento del 1468, essa viene citata come Macchia de lo conte de Montorio. A questo periodo risale il cosiddetto “Palazzo Spagnolo” (o De Marcis) che oggi ha l’aspetto di casa fortificata ma nasce come torre di difesa e residenza del conte di Montorio, alta 10 metri e con quattro piani di abitazione.
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