di Luca Capponi
(foto di Andrea Vagnoni)
Arrivi a Colle e resti subito colpito. Lo spettacolare paesino abbarbicato alla roccia che conservi nei ricordi è rimasto lo stesso. Almeno da lontano, arrivando lungo la strada che dalla Salaria sale toccando prima Faete e poi Spelonga. L’ombra nera del sisma la senti, la percepisci inevitabilmente, e la vedi in quelle case puntellate, la ritrovi nelle parole della gente. Ma qui c’è qualcosa di incredibilmente diverso, nonostante questa frazione di Arquata si trovi a pochissimi metri dall’epicentro del terremoto, soprattutto da quello del 24 agosto 2016, posta proprio sul confine tra Marche e Lazio, a due passi dal comune di Accumoli.
Già, perchè ciò che è accaduto a Colle sembra quasi un miracolo: lo sciame sismico e la grande nevicata del gennaio 2017 che hanno devastato l’intorno hanno prodotto solo inagibilità. Nessun crollo, giusto qualche stalla obsoleta, nessun danno impossibile da affrontare, tanto che oggi le persone che ci vivono sono una sessantina, più o meno la metà di prima. C’è vita, c’è fermento, ci sono auto parcheggiate e voglia di fare. Anche le chiese hanno retto; quella di Santa Maria della Rocca (detta di Sant’Amico) è probabilmente l’unica che non ha riportato un graffio di tutto il comprensorio, mentre l’altra di San Sebastiano (dove il regista Pietro Germi girò alcuni interni del film “Serafino” con Adriano Celentano) è riaperta da poco. All’appello manca solo la chiesa di San Silvestro, ad oggi in attesa di interventi.
«Quello che è accaduto a Colle andrebbe studiato e trattato a livello nazionale come “caso simbolo”, eppure nessuno ne parla» spiegano alcuni abitanti confermando quanto si palesa al visitatore. «Il paese poggia sulla roccia, e questo ha attenuato l’onda sismica. Certo, parte del merito è anche di case su cui si è intervenuto, in passato, in maniera virtuosa. Le scosse sono arrivate attutite, e di molto rispetto ad altre zone» è la conferma dei residenti. Che però, durante il racconto di quanto vissuto, non possono fare a meno di abbassare gli occhi a terra, quasi a sentirsi in colpa per avere avuto un destino migliore di tanti altri amici, parenti e conoscenti. E’ uno dei tanti effetti, tra i peggiori, che l’immane tragedia ha provocato sulla psiche.
«La burocrazia ha provato comunque a peggiorare una situazione non grave come la nostra. Il pensiero è per agli anziani condotti a forza lungo la costa, sradicati da luoghi dove hanno trascorso tutta la vita, alcuni di loro non ce l’hanno fatta e sono morti per le ferite dell’anima». Dopo una pausa di silenzio, che molto dice a livello emotivo, il racconto può andare avanti. «Certo, il presente non è tutto rose e fiori, ma tant’è: c’è chi ha affrontato anche nove traslochi, chi è rientrato da poco e chi ancora non può farlo. E poi il bar del paese, che non ha potuto riaprire a causa di un edificio vicino già pericolante prima del sisma. Per non parlare dell’ottusa burocrazia che esige tasse per case non abitate e non prevede elasticità laddove invece servirebbe. C’è chi si era offerto di rimettere in sesto o agire sui danni lievissimi, alcuni rimediabili in un paio di settimane, e ancora si trova al punto di partenza. Abbiamo segnalato diverse volte anche la pericolosità dei cavi elettrici sospesi tra una casa e l’altra, i quali si tendono ma non si spezzano creando così problemi alle pareti delle abitazioni: anche in questo caso, nessuno ci ha ascoltato».
Il prossimo 24 agosto saranno passati tre anni dal momento in cui tutto cambiò. Cronache Picene continuerà a tornare su questi luoghi all’infinito, qualora ce ne sarà bisogno. E (ri)cominciare da Colle rappresenta una scelta doverosa, atta a tenere viva quella speranza che in tanti stanno perdendo.
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