di Luca Capponi
(foto di Andrea Vagnoni)
A terra un paio di sci. Colori e matite. Oggetti e giocattoli divenuti oblio. Capodacqua si è fermata. Ma non è più come prima. Il tempo e il terremoto ne hanno terribilmente trasformato i connotati. Per chi ci viveva, per chi ci tornava d’estate o nei fine settimana, per i visitatori da sempre attratti da quel suggestivo nugolo di case, viuzze e pietre che sul finire degli anni ’60 colpì anche l’immaginazione di Pietro Germi. Il quale, come noto, per il suo “Serafino” girò soprattutto qui e a Spelonga.
Ora delle case di zia Gesuina e di Asmara, dove Celentano bussava giorno e notte, resta ben poco. Quasi nulla. Un colpo al cuore, capace di lasciare confusa anche la memoria più vivida. Che a tre anni dal sisma rischia di cedere. Anch’essa. «Ci aggrappiamo alle piccole cose per andare avanti, perchè la speranza fa parte di noi. Sappiamo bene che si procede a lentezza geologica ma crediamo non sia il momento di abbandonarsi a pessimismi, negatività e polemiche» racconta chi non molla. Tra questi, i volontari dell’associazione “Capodacqua viva“, nata nel 1989 ed oggi più che mai impegnata per tenere viva la fiammella.
Una fiammella che si chiama centro di aggregazione. Qui infatti le casette non ci sono, ma si sogna un posto dove stare insieme. «I tecnici della Regione hanno individuato nella piazza principale la sede ideale per questo piccolo prefabbricato -vanno avanti i ragazzi di “Capodacqua viva”-. Sarebbe importante per noi, per avere un luogo in cui appoggiarci nel momento del bisogno, per ricongiungerci anche coi non residenti, per aggregare appunto. Abbiamo vitale bisogno di mantenere vivo il tessuto sociale e di non perdere contatto».
«Metà del paese -continuano- ha subìto la rimozione delle macerie ma a differenza di altri borghi qui non sono stati preservati conci e pietre storiche, trattate alla stregua delle altre; abbiamo perso parte di un patrimonio che per noi era importante». Importante lo era per tutti, verrebbe da aggiungere. Perchè Capodacqua era, ma scriviamo ancora con forza “è”, uno dei borghi più affascinanti insieme a tanti presenti nel comune di Arquata e non solo. Gemme uniche di un territorio unico. Da salvare, non solo a parole.
«I decreti attuativi non ci sono e le procedure vanno a rilento -ribadiscono i residenti-. Abbiamo tanti problemi, tra cui quello del ponte pericolante che unisce le due parti del paese, una delle quali è rimasta bloccata a tre anni fa. Il ponte è sotto vincolo, occorre cercare di sbloccarne la messa in sicurezza». Situazioni, sguardi e scorci che riportano tutti, inevitabilmente, a rivere i tremendi giorni del terremoto. Perchè quasi tutto è rimasto uguale ad allora.
«A Capodacqua sono interrotte le forniture di acqua, luce e gas dal 24 agosto 2016 e ovviamente non c’è più nemmeno la rete fognaria funzionante; l’unica cosa che continua a scorrere nello stesso modo è il nostro ruscello -è l’amara constatazione-. Occorre ricordare che una buona parte dell’acqua che arriva nelle case della provincia arriva da qui. Nonostante la situazione di disagio in molti, quasi quotidianamente, tornano per fare gli orti o per accudire gli animali».
Ma non solo, perchè questa gente meravigliosamente laboriosa e orgogliosa è fortemente legata alle sue tradizioni e cerca di portarle avanti in tutti i modi. Senza indugiare. Da pochi giorni si è celebrata la Madonna del Carmelo, con una piccola processione che è partita dall’oratorio della Madonna del Sole, con arrivo in piazza e messa in un gazebo allestito per l’occasione. Poi la deposizione della corona al monumento dei caduti, l’alzabandiera e un pranzo alla meglio in loco.
Capodacqua osserva lo scorrere di questa strana vita in maniera silenziosa. Ripensa ai giorni migliori ma non li vuole dimenticare. Si aggrappa ai ricordi per provare a scrivere il futuro. E osserva le sue macerie con il cuore che piange. Anche se lì crescono i fiori.
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