di Renato Pierantozzi
Un ricorso di quasi 80 pagine per chiedere alla Suprema Corte di Cassazione di annullare il provvedimento con cui il Gip di Rimini, Benedetta Vitolo, lo scorso 11 luglio, ha disposto il sequestro del Cristo ligneo attribuito a Michelangelo. Lo ha depositato l’avvocato ascolano Francesco Ciabattoni che assiste il proprietario della statuetta (Angelo Boccardelli) dopo che il magistrato riminese ha accolto la richiesta della Procura romagnola avanzata tramite il pm Davide Ercolani che ne aveva chiesto la confisca. Il ricorso di Ciabattoni è molto articolato e punta su molteplici aspetti. Dalle prove “incontrovertibili” sulla proprietà privata del bene al fatto che lo Stato non ha mai avanzato pretese “rivendicatorie” visto che, tra le altre cose, l’opera è stata rinvenuta in Libano, nel monastero di Aint-Traz, e non Italia. Inoltre il legale fa presente che i proprietari non hanno mai avuto l’intenzione di “celare o commercializzare” l’opera e che il procedimento aperto dalla Procura di Rimini è durato sette anni prima di prescriversi e, quindi, senza giungere ad una condanna che la legge prevede per procedere al sequestro. La confisca invece è arrivata quando tutto sembrava essere stato sbloccato, dopo anni di cause e intrighi internazionali, con il via libera all’estradizione in Italia anche grazie all’intervento della diplomazia tricolore. Di diverso avviso, invece, è apparsa la Procura di Rimini che ha chiesto ed ottenuto la confisca del crocifisso dal valore inestimabile in base alla legge che prevede il ritorno in possesso da parte dello Stato delle opere d’arte esportate all’estero. Il Cristo ligneo attribuito a Michelangelo era atteso in città l’ 11 luglio, proprio il giorno in cui è stato reso noto il provvedimento del Gip, per poi essere esposto al Battistero di piazza Arringo.
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