di Gabriele Vecchioni
(foto di Carmelita Galiè, Carlo Perugini e Gabriele Vecchioni)
Nella Descrittione di tutta Italia, Leandro Alberti, a metà del sec. XVI, scriveva: «[…] quivi si piega Italia nel mare Adriatico a simiglianza di un gómbito […]». Quel gómbito (gómito) era il promontorio del Cònero.
Il Monte Cònero, situato a sud-est di Ancona, è uno straordinario balcone roccioso proteso sull’Adriatico, unica propaggine costiera a picco sull’Adriatico, da Trieste fino al promontorio del Gargano. Il rilievo (572 metri) precipita in mare con falesie calcaree e pareti scoscese che terminano in faraglioni appuntiti (notevoli quelli delle Due Sorelle); spettacolare lo scoglio del Trave, un “molo naturale” lungo circa un chilometro, sul quale si trova il rudere del Casotto Fattorini, una vecchia postazione fissa per la pesca che ancora resiste alla forza dei marosi. La sua costa si apre in baie e calette: particolarmente interessante quella di Portonovo, sulla quale affacciano la storica Torre Clementina e la splendida chiesa romanica di Santa Maria.
Il territorio. Il Cònero è un fondamentale punto visivo di riferimento sia per chi naviga sul Mare Adriatico sia per gli abitanti dell’entroterra marchigiano. Oltre alla vicina città di Ancona (il toponimo deriva dal termine greco ankòn, gómito, che ricordava la forma “curva” del promontorio), il territorio offre bellissimi centri affacciati sul mare (Numana, Sirolo, Portonovo) e sulle colline vicine (Camerano, Osimo, Loreto).
Importante dal punto di vista paesaggistico, il Cònero lo è anche sotto l’aspetto naturalistico: è uno dei pochi siti con lembi relitti di flora mediterranea e un essenziale punto di riferimento per l’avifauna migratoria. Alle quote più basse si sviluppa una vegetazione a macchia mediterranea di lecci, ginestre, allori, lentischi, ginepri e corbezzoli, sostituita, nella parte alta, da boschi di conifere; è il limite nazionale settentrionale dove l’alloro vegeta in maniera spontanea. Il nome del rilievo deriva proprio dal termine greco del corbezzolo (kòmaros), una delle sue piante distintive, tanto che, nel Medioevo, il suo nome era Monte Cùmero.
L’area è inclusa nei confini di un Parco Naturale Regionale (uno dei 4 delle Marche): il territorio sotto tutela, esteso per circa 6000 ettari, comprende la costa da Mezzavalle fino alla foce del fiume Musone (confine tra i comuni di Numana e Porto Recanati) e una vasta fascia collinare interna, con luoghi di grande suggestione.
La geologia. Il Cònero è un’altura del Subappennino marchigiano ma, dal punto di vista geologico, appartiene alla catena appenninica: con la caratteristica forma a cupola asimmetrica, è un rilievo calcareo emerso dal mare verso la fine del periodo miocenico (compreso tra 25 e 7 milioni di anni fa), durante il processo di formazione dell’Appennino.
La storia geologica e la struttura dell’area derivano da un’articolata storia deformativa, origina dalla successione di processi tettonici differenti, correlati allo sviluppo della catena appenninica. Tra 5 e 2,5 milioni di anni fa (all’inizio del Pliocene), l’area del Cònero si trovò di nuovo sommersa dalle acque del Mediterraneo per poi riemergere, in più fasi, staccandosi dalla dorsale appenninica. L’emersione si completò nel Quaternario: 10.000 anni fa, nel periodo conclusivo della glaciazione, il livello del Mediterraneo si alzò di nuovo, facendo arretrare la linea costiera.
Lo stratotipo di Massignano. La presenza di cave dismesse (l’attività di estrazione è cessata nel 1970) permette di apprezzare queste ultime come un “libro aperto” della storia geologica della zona e dell’intera successione stratigrafica dell’Appennino umbro-marchigiano. Lo stratotipo globale di Massignano è una ex-cava attrezzata, forse deludente per l’escursionista ma di interesse mondiale per il passaggio temporale (il termine esatto è “limite cronostratigrafico”) Eocene-Oligocene, utilizzata dagli studiosi per le datazioni geologiche e per dimostrare le ragioni che portarono alla scomparsa dei dinosauri. Sembra che qui sia stata individuata la prova che l’estinzione dei dinosauri (avvenuta alla fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa) fu dovuta alla caduta, in America, di un gigantesco meteorite che avrebbe modificato il clima mondiale e lasciato tracce (minuscole sfere di iridio) anche in questo luogo. Cartelli didattici presenti nell’area aiutano a decifrare il complesso fenomeno.
La storia. Il Monte ha una storia antica, testimoniata da incisioni rupestri non databili ma attribuite all’Età del Bronzo. Alla civiltà dei Piceni appartiene la necropoli di Sirolo con tombe a circolo del sec. VI AC (reperti nell’Antiquarium di Numana) e all’epoca romana risalgono le suggestive “Grotte romane”, cave per l’estrazione di blocchi calcarei utilizzati per costruzioni.
Nel Medioevo (sec. XI), vissero sul Conero numerose comunità religiose, che scoprivano in questo monte isolato e di difficile accesso un luogo dove realizzare il loro ideale di vita.
«Anticamente sopra la sommità di questo monte d’Ancona eravi il Tempio di Venere […]. Ora habitano sopra questo monte alquanti romiti, che vi hanno fatto un Monasterio con molte grotte, et capannuzze in qua, et in là per esso, a certi tempi ragunandosi però alla chiesa di detto Monastero (Leandro Alberti, 1550)».
Testimonianze sono presenti in riva al mare (chiesa romanica di Santa Maria a Portonovo), nell’area sommitale (San Pietro al Cònero, chiesa e monastero dei Camaldolesi) e nelle ripide pareti delle falesie (grotte-eremi, come il romitorio di San Benedetto alla grotta del Mortarolo). A Santa Maria di Portonovo fu monaco (sec. XI) Pier Damiani, santo riformatore dell’Ordine Cistercense, come ci racconta Dante che lo incontra nel Paradiso della sua Comedia (a lui il santo dice di essere stato «nella casa di Nostra Donna in sul lito adriano»); il fatto è ricordato da una targa commemorativa apposta all’interno dell’edificio.
Santa Maria di Portonovo, capolavoro del romanico marchigiano, è una chiesa con l’interno a tre navate absidate, con un tiburio su quella centrale; l’intera costruzione risulta inscritta in un quadrato. L’architetto Giuseppe Sacconi, progettista del Vittoriano a Roma, la definì «il più completo monumento lombardo che decori le coste adriatiche da Ancona a Brindisi». Al riguardo, Raimondo Fugnoli (I luoghi del silenzio) ha scritto: «Questa chiesa, col suo adiacente monastero (ora distrutto), era l’unico edificio di cui si ha notizia storica a trovarsi nella zona dei due golfi di Portonovo. Per circa 680 anni è stato così, poiché la torre di guardia (Torre Clementina), poco distante, venne costruita solo nel 1716 e il Fortino Napoleonico risale solo a dopo il 1811. Se s’immagina quindi questo scenario: monte, mare, chiesa, monastero; niente borgo, niente strade, se non un angusto sentiero che serpeggiava sul monte, aree paludose nelle vicinanze…, si descrive un ambiente certo non molto dissimile da quello che i monaci benedettini solitamente prediligevano per la costruzione dei loro edifici monastici».
La flora. Il Monte Cònero è rivestito, nella parte più elevata, da pinete e, a quote ridotte, dalla macchia mediterranea, caratterizzata dalla presenza di specie tipiche, già citate in precedenza. Nell’area del Parco sono presenti circa 1.200 specie e sottospecie di piante, un terzo circa dell’intero patrimonio floristico delle Marche (gran parte della flora della macchia mediterranea è costituita da piante protette).
Nelle stazioni più vicine alla linea di costa dominano i vegetali sempreverdi tipici della macchia mediterranea (leccio, corbezzolo, alloro). Il vicino centro di Loreto deve il toponimo al Lauretum, il bosco di allori (laurum in latino) che la circondava. L’ambiente delle falesie ospita le specie vegetali più rare (ginepro rosso, euforbia arborescente) e i più comuni arbusti (biancospino, ginepro, sanguinella e rosa canina).
Sul versante occidentale del Monte Cònero furono impiantate, all’inizio del Novecento, vaste pinete artificiali, utilizzando conifere e cupulifere alloctone (pino marittimo, cedro e cipresso). Attualmente è in atto la loro sostituzione con vegetazione autoctona, favorita nell’impianto dall’ex-Corpo Forestale e poi libera di svilupparsi in maniera spontanea.
La fauna. Il territorio presenta una grande varietà di habitat (falesie costiere, boschi, acque dolci, laghi salmastri retrodunali a Portonovo, campi agricoli, ambienti collinari e spiagge): questa caratteristica, insieme con la tutela offerta dal Parco, permette la presenza di 20 specie di mammiferi, 8 di anfibi e 13 di rettili. Sono però gli uccelli che costituiscono la parte più rilevante della fauna del Conero: sono più di 200 le specie censite, tra stanziali, svernanti e migratrici. Al riguardo, occorre fare una considerazione. Come già messo in evidenza, il promontorio del Cònero è un fondamentale punto di riferimento per le rotte dei migratori (come falchi e cicogne) che sorvolano il nostro paese due volte all’anno (andata e ritorno, con sosta) nei loro trasferimenti tra l’Africa e il Nord Europa e attraverso l’Adriatico (verso i paesi balcanici). L’istituzione del Parco, poi, ha permesso la tutela delle popolazioni di falco pellegrino (splendido rapace che può superare, in picchiata, la velocità di 300 km orari), grazie all’aumento numerico dell’avifauna che fa parte della sua dieta.
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