di Gabriele Vecchioni
(foto di Nazareno Cesari e Gabriele Vecchioni)
Il Pianoro di Colle San Marco, “giardino” delle cento torri a pochi chilometri dal centro storico. In questo articolo, la descrizione di questo posto straordinario, una peculiarità naturalistica (e non solo) che poche città italiane possono vantare.
Ascoli Piceno e il suo territorio hanno una storia antica, con una stratificazione di testimonianze archeologiche e monumentali che hanno creato un unicum di grande rilievo culturale. L’esteso centro storico, posizionato su un’area pianeggiante sopraelevata, alla confluenza del fiume Tronto e del suo affluente Castellano, è costruito con la pietra locale (il travertino) che gli ha dato un’impronta caratteristica. A sud, la città è dominata dal rilievo della Montagna dei Fiori, che si allunga nell’altopiano tabulare del Colle San Marco, splendido balcone panoramico sulla città e il territorio circostante. Il valore paesaggistico del territorio è alto, per la bella vista sulla bassa vallata del Tronto fino al Mare Adriatico.
Le ripide pareti di travertino e i fitti boschi di castagno, visibili da ogni parte del centro abitato, costituiscono il suggestivo paesaggio che fa da sfondo alla città. Gulio Gabrielli, nella sua Guida della città e dintorni (1882), scriveva che «Il touriste, l’artista, lo scienziato che visiteranno Ascoli Piceno non si appaghino dei monumenti racchiusi nella cerchia delle sue mura: debbono visitarne i contorni ricchi di memorie, e di scene così variate, così pittoresche, da ripetere con sorprendente fedeltà i bei contrasti di linee ed il vigoroso chiaroscuro delle studiate composizioni di Paesaggio dell’antica scuola francese ed italiana». Riferendosi all’area dell’eremo (leggi l’articolo), consigliava di visitarlo per «godervi uno stupendo panorama, specialmente se osservasi nelle ore prossime al calare del sole. Stanno a levante le valli della Vibrata, e del Tronto, ove si contano non solamente i villaggi sulle colline che degradano via via fino all’Adriatico, ma si riconoscono eziandìo, le case di campagna, e la diversa coltivazione nella pianura. Al basso, la città di Ascoli che si disegna come in un piano a rilievo».
Il Pianoro del Colle San Marco. A circa 14 chilometri dalla città, l’enorme tavolato del Pianoro sovrasta Ascoli con i suoi 700 metri sul livello del mare, costituendo l’appendice settentrionale della catena calcarea dei Monti Gemelli. L’area, geograficamente e storicamente legata alla città picena, è raggiungibile con facili escursioni e presenta emergenze storiche e naturalistiche di grande rilievo. In particolare, il Medioevo ha lasciato importanti tracce archeologiche, relative all’eremitismo e alla nascita dei movimenti monastici (dal sec. VIII). Dal Pianoro, una ripida scala conduce ai ruderi del Convento di San Lorenzo in Carpineto. La fondazione del convento risale al 750, sotto il magistero del vescovo Auclere, in un luogo (davanti allo sperone roccioso noto come Dito del Diavolo) dove era già presente un romitorio. La struttura, abitata dai monaci benedettini per cinque secoli, fu abbandonata nel XIII secolo. Verso la metà del ‘200, il convento “diventò” francescano (dei Minori Osservanti); la tradizione vuole che abbia vissuto a San Lorenzo Girolamo Massio, il futuro Papa Nicolo IV. Con lui, fu presente nel convento anche Corrado Miliani dei conti Saladini, che avrebbe legato il suo nome alla vicina Grotta del Beato Corrado, dove morì nel 1289.
Il 25 aprile (festa dedicata all’evangelista Marco ma anche festività civile che ricorda la Liberazione) gli ascolani, tradizionalmente, si ritrovano sul Pianoro per una giornata “fuori porta”. È l’occasione per ricordare il sacrificio dei giovani che si opposero (nel 1943) alle truppe tedesche, pagando un alto prezzo in vite umane. Ad essi sono dedicati il monumento all’ingresso dell’area e il Sacrario, sede dell’annuale commemorazione.
Il travertino. Il Colle San Marco è costituito da calcari marnosi del Mesozoico che coprono una formazione di travertino di colore grigio di elevato spessore. Il deposito di San Marco ha una forma a cuneo, largo più di 1 chilometro e con un’altezza di circa 100 metri, di cui 60 in parete verticale esterna.
Nelle Marche il travertino si trova solo in determinate zone: nel Fabrianese (Gole del Furlo), nello Jesino (Gole della Rossa) e nell’Ascolano (all’interno del bacino imbrifero del Tronto). La zona più nota è quella di Acquasanta Terme; la seconda area è situata nella valle del Castellano, e comprende le località di Castel Trosino e di Rosara, il Colle San Marco e San Vito di Valle Castellana. I depositi di travertino sono spesso piastroni cuneiformi con pareti a picco, isolati o a gradoni. In aree vicine, notevole è la collina di Civitella del Tronto, sfruttata per la costruzione dell’imponente Fortezza (leggi l’articolo).
II travertino (da lapis tiburtinus, pietra di Tivoli) è una roccia sedimentaria calcarea di natura chimica, costruitasi in tempi recenti (Quaternario) in ambiente continentale, per la precipitazione di carbonati in acque calde sovrassature, di origine profonda. Il travertino si forma in presenza di acque agitate (cascate, sorgenti) e di vegetazione, in ambienti tali da favorire la sottrazione dell’anidride carbonica, con conseguente precipitazione di carbonato di calcio insolubile. La pietra si presenta spesso vacuolare, per l’asportazione dei residui putrefatti di vegetali inclusi nella roccia; il colore va dal bianco al bruno, come il pregiato travertino oniciato di Rosara.
La lavorabilità e la resistenza agli agenti atmosferici ne hanno incentivato l’estrazione, in apposite cave, per l’uso come materiale di rivestimento e la costruzione di barriere frangiflutto. I Romani utilizzarono il travertino (quello delle cave laziali) per molte delle loro costruzioni, come il Colosseo e i muri di sostegno e il basolato della Via Salaria. Il centro storico di Ascoli Piceno è costruito interamente di questa pietra. Della città picena, Riccardo Gabrielli scrisse (1948) che «… il tempo l’ha patinata di quel color bruno-fulvo che tanta austera bellezza conferisce alle nostre antiche e superbe opere monumentali».
I boschi del Colle San Marco. Nell’area del Pianoro, fortemente antropizzata, è possibile rintracciare lembi dell’originaria vegetazione (l’orno-ostrieto, il bosco misto appenninico). Intorno al Sacrario dedicato ai caduti della lotta partigiana, è presente un querceto rado e, sul bordo della scarpata, lecci e ginestre; ai piedi della parete rocciosa, una macchia a càrpini e uno sviluppato castagneto.
Il fenomeno dell’inversione termica. Sul Pianoro vegetano specie tipicamente mediterranee (lecci, viburni) mentre alla base della rupe di travertino ci sono boschi di castagno, che dovrebbero trovarsi più in quota: ciò è dovuto all’inversione termica (la temperatura media dell’aria è maggiore nell’area del Pianoro, rispetto a quella sottostante). La manifestazione è più evidente nella stagione invernale: durante le notti serene (con alta pressione) e con scarsa circolazione dell’aria (assenza di vento), si forma, per la rapida perdita di calore dei livelli vicini al suolo, uno strato di aria fredda alle basse quote. Durante il giorno i raggi solari non riescono a riscaldare il suolo sia per la loro ridotta inclinazione sia per la minore durata delle giornate; l’aria a contatto con il terreno si raffredda rapidamente, raggiungendo temperature inferiori rispetto agli strati sovrastanti.
Boschi naturali e boschi artificiali. I rimboschimenti sono boschi artificiali: la cosa è evidente notando l’allineamento dei tronchi e la povertà numerica delle specie vegetali presenti. Un alto grado di biodiversità è, infatti, una delle caratteristiche del bosco naturale rispetto a quello artificiale.
I rimboschimenti. Sono le cosiddette “pinete”, un nome che deriva dalla presenza massiccia di pino nero, una conifera dall’aspetto compatto, specie “pioniera” molto usata per la sua frugalità, la resistenza a condizioni climatiche rigide e l’adattabilità a terreni poveri o degradati. Uno di questi impianti artificiali è la Pineta dell’Impero (rimboschimento storico, oggetto di un articolo precedente) ai margini della quale è situato (a quota 905) il Rifugio Paci della sezione ascolana del Club Alpino.
Il castagneto. Sotto l’alta parete di travertino vegeta uno sviluppato bosco di castagno, contiguo al vecchio impianto di resinose di alto fusto della Pineta delle Piagge (in realtà, si tratta di un rimboschimento misto, con begli esemplari di cupressacee e sviluppati abeti bianchi). Il castagneto è un bosco artificiale perché subisce l’intervento continuo dell’uomo, per ragioni colturali. In genere, un bosco caducifoglie ha una struttura stratificata ben differenziata (dal basso: strati muscinale, erbaceo, arbustivo e arboreo); nel caso del castagneto, la struttura risulta semplificata e il numero di specie è ridotto, per l’intervento continuo di ripulitura dell’uomo. Esso occupa la stessa fascia altimetrica del querceto e del bosco misto appenninico; è difficile incontrare un bosco puro di castagno, per la facile penetrazione di specie estranee (querce, càrpini, ginepri e ciliegi selvatici, dalle splendide fioriture primaverili) nelle ampie chiarìe.
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