di Gabriele Vecchioni
(foto di Nazzareno Cesari, Antonio Palermi, Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni)
Il termine autunno indica una stagione che i più qualificano come “triste”, associandola alla caduta delle foglie dagli alberi e all’imminente riposo invernale; la parola deriva però dal latino autumnus, da auctus, participio passato del verbo augère (aumentare, arricchire). L’autunno è, infatti, la stagione della raccolta dei frutti e dei semi, evento accompagnato da vistosi cambiamenti dell’aspetto fisico dei vegetali: proprio di queste trasformazioni si occuperà l’articolo.
Con l’arrivo dell’autunno, le giornate si accorciano e la temperatura dell’aria si abbassa: molte piante mettono in atto degli accorgimenti per prepararsi al periodo di riposo invernale; uno di questi è costituito dalla caduta delle foglie, fenomeno tipico dei vegetali della fascia temperata. Alberi e arbusti decidui, prima di perdere le foglie, attraversano un periodo durante il quale il fogliame cambia colore, assumendo una miriade di tonalità di tinte, a seconda della specie. Un evento spettacolare che in altre nazioni (esempio, sulla costa occidentale degli Stati Uniti) crea movimenti turistici importanti: è il fall foliage. Anche nella nostra zona la manifestazione è evidente, specialmente nelle aree collinari e di montagna, per la maggiore presenza di boschi; anche in città, però, è possibile osservare il fenomeno.
Prima di parlare dello straordinario fenomeno della colorazione autunnale delle foglie, poche frasi sul rapporto tra il bosco (e quindi gli alberi) e l’uomo nel corso del tempo, un legame ancestrale. Per millenni rifugio e fonte di sostentamento, per un lungo periodo il bosco è stato anche la sede eletta dove omaggiare la divinità, dove entrare in contatto con il sacro. Quest’ultimo aspetto è continuato, in forme surrogate, fino ai tempi moderni.
Il bosco sacro. In un articolo su una rivista di cultura locale, Stefano Longhi tracciava (2018) un lucido paragone tra il bosco sacro dei pagani (il lucus romano – da lux, la luce delle chiarìe, le radure della foresta) e le chiese cristiane, romaniche e gotiche. Scriveva infatti: «Lo stesso effetto riprodotto secoli dopo nelle chiese e nelle cattedrali dell’architettura romana e gotica. Le colonne della navata centrale raffigurano gli alberi di un bosco di pietra che nei capitelli, come chiome, nascondono insidiosi animali feroci».
Nel corso dei secoli, la deforestazione ha cancellato i boschi sacri, demonizzati dal Cristianesimo come luoghi pagani. Essi non venivano però abbandonati del tutto, tra gli alberi sorgevano gli eremi; nelle vicinanze della città picena ce ne sono due: San Marco e San Giorgio ai Graniti, entrambi oggetto di articoli precedenti (clicca per leggere).
Gli uomini moderni non hanno più l’approccio degli antichi verso il bosco, il sentimento di rispetto che essi avevano nei suoi confronti. Lo sguardo è frettoloso, non c’è più il tempo di fermarsi a guardare lo spettacolo gratuito della natura, la splendida tavolozza di colori che essa offre d’autunno. Eppure, un diverso avvicinamento, più partecipato, è possibile: è difficile non accorgersi dell’autunno. Già nel 1820, nello Zibaldone, Giacomo Leopardi scriveva: «Nell’autunno par che il sole e gli oggetti sieno di un altro colore, le nubi di un’altra forma, l’aria di un altro sapore. Sembra assolutamente che tutta la natura abbia un tuono, un sembiante tutto proprio».
I colori dell’autunno. Il cambio di colore delle foglie che si apprezza nella stagione di transizione tra l’estate e l’inverno è legato alla fisiologia delle piante: è un evento che si accentua con i primi freddi, con la diminuzione delle ore di luce. Quando si avvicina l’autunno, gli alberi spostano i nutrimenti contenuti nelle foglie nel tronco e nelle radici, per poterli utilizzare nel corso dell’inverno, quando la caduta delle foglie non consente la sintesi degli zuccheri mediante la fotosintesi clorofilliana.
Tra ottobre e novembre, con la fine del ciclo vitale delle foglie, la clorofilla, la molecola che le “colora” di verde e permette la fotosintesi, degenera (in senso chimico) e rende evidenti altri colori, dovuti ad altre molecole: i carotenoidi (giallo-arancione), la xantofilla (giallo), gli antociani (rosso, azzurro, viola), i tannini (marrone). Tutti preludono al grigio, colore che indica la morte della foglia, la sua mineralizzazione e il suo rientro nel grande ciclo biochimico della vita.
Le incredibili gradazioni di colore che si manifestano sono legate, soprattutto, alla chimica interna dei vegetali ma anche alla temperatura esterna, favorite dalle “botte di freddo”, i cali improvvisi della temperatura dell’aria. I colori autunnali non sono luminosi, ma hanno una varietà straordinaria di sfumature. La magia dei colori autunnali fece dichiarare a Henri Toulouse-Lautrec, figura rilevante dell’arte francese dell’Ottocento che «L’autunno è la primavera dell’inverno». Albert Camus, Premio Nobel per la letteratura, espresse, con parole diverse, lo stesso concetto: «L’autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore».
Si tratta di una serie di reazioni assai complesse e non facilmente spiegabile in maniera divulgativa. Le basse temperature facilitano la distruzione della clorofilla, una molecola “fragile” già di per sé, e facilitano la produzione di antociani, responsabili delle colorazioni comprese tra il rosso e il blu, oltre che di quelle intermedie, come il viola. Non è ancora completamente chiaro perché gli alberi producano, in autunno, queste sostanze. Gli studiosi ritengono che i motivi siano più di uno; due in particolare sono affascinanti, anche perché le piante non hanno un sistema nervoso vero e proprio, che coordina e suggerisce comportamenti: la prima giustificazione sarebbe quella di attirare i volatili con colori “forti” per favorire la dispersione dei semi (con le deiezioni); la seconda, quella di “catturare” maggiore energia dal sole (per la pigmentazione tendente al rosso) e aumentare così la temperatura della pianta, permettendo una migliore resistenza al freddo. Altri studiosi attribuiscono alle antocianine anche la funzione protettiva nei confronti dei penetranti raggi ultravioletti. Altri botanici, infine, optano per una strategia difensiva. Il colore rosso verrebbe interpretato dai parassiti (soprattutto afidi e insetti) come un segnale di pericolo, evitando così una loro colonizzazione dell’ospite (l’albero). Sembra, poi, che ci sia una relazione fra le antocianine e le sostanze fenoliche, composti tossici che costituiscono una difesa chimica verso gli erbivori.
La tavolozza di colori della natura ha una gamma di sfumature infinita. Ogni specie ha una sua “colorazione autunnale” caratteristica, si passa dal giallo cromo e dal rosso degli aceri alle infinite tonalità del marrone, rosso ruggine per alcune querce, aranciato per l’orniello, bronzo per il faggio, giallastro per il castagno. Anche gli alberi ai bordi delle strade partecipano al caleidoscopio naturale, con il giallo vivo della robinia e l’ocra di altre essenze. Lungo le rive dei fiumi stacca il giallo luminoso dei pioppi. Nei giardini cittadini, sul tappeto di foglie brune, spiccano quelle chiare della gingko, autentico fossile vivente (risale al Permiano, 250 mln di anni fa). Intervengono alla festa di colore i sempreverdi, che mantengono il verde delle loro chiome. Il tutto è un’autentica epifania per gli occhi (una sorta di “gran finale” della natura prima dell’inverno) e provoca sensazioni gratificanti per lo spirito.
Conclusioni. Il bosco (ma, in generale, gli alberi) va considerato come un paesaggio culturale, minacciato dall’apparentemente inarrestabile isterìa proliferativa dell’urbanizzazione: abbiamo quasi sempre a che fare con panorami antropizzati. Occorre approfittare di ogni occasione per godere della bellezza del paesaggio naturale; è accertato che camminare nella natura o la semplice vista di fenomeni naturali riduce lo stress ed evita pensieri di depressione: un’occasione può essere quella di apprezzare “da vicino” il fall foliage delle nostre zone.
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