di Marzia e Gabriele Vecchioni
(foto di Gabriele Vecchioni)
Percorrendo le strade collinari abruzzesi è possibile imbattersi in croci metalliche decorate in maniera insolita: sono le Croci della Passione, che recano sui bracci diverse miniature che ricordano il martirio di Gesù Cristo, testimonianza della devozione popolare e del legame antico dell’uomo con il divino. Sono abbastanza comuni in altre località italiane (in Liguria e nella Toscana settentrionale); in Abruzzo, croci lignee simili erano esposte in diverse parrocchie, materia di riflessione sulla Passione di Cristo. Le predicazioni erano tenute dai frati Passionisti, ricercati per le loro cólte omelie: l’Ordine, fondato da San Paolo della Croce e approvato da Papa Benedetto XIV nel 1741, ha il “compito”, secondo il lascito del fondatore, di «promuovere, nei cuori della gente, una vera spiritualità della Passione». A Colledara, sotto la mole del Gran Sasso, c’è un importante Santuario dedicato a San Gabriele dell’Addolorata, frate passionista molto venerato.
Le croci lignee, alte 2 metri circa, erano costruite per poter essere portate in processione. Quelle metalliche non hanno una forma standardizzata ma sono di dimensioni tali da essere notate senza problemi, anche perché posizionate ai bordi delle strade, spesso vicino a incroci. A volte, sono sistemate davanti alle chiese, come nel caso di quella di Spinetoli, collocata alla fine del Novecento nella piazza davanti all’edificio parrocchiale.
Prima di analizzare i diversi simboli della Croce, una breve riflessione sulle immagini sacre ubicate ai bordi delle strade o in prossimità dei crocicchi. Già nell’antichità romana, ai limiti dei campi e ai crocevia, venivano costruiti tempietti con simulacri di divinità agresti perché proteggessero raccolti e percorsi: erano le aediculae, ipocoristico di aedes (tempio). La nuova religione cristiana le (ri)utilizzò, riadattandole alle proprie esigenze: il simbolo potente della Passione e la valenza catechistica degli elementi aggiunti alla croce favorirono l’accettazione da parte del popolo e questi importanti punti di riferimento sociale, soprattutto per un abitato sparso, diventarono componenti caratteristiche del paesaggio rurale.
Per quanto riguarda le usanze locali, lo studioso Paolo Schiavi racconta che nei paesi della zona erano presenti croci metalliche in entrata e in uscita dal borgo, perché il viandante avesse sempre la protezione del simbolo cristiano. Nel caso di Spinetoli, sono situate sulla provinciale che attraversa l’incasato, in località ‘u ‘alle (il gallo) e vicino al cimitero.
I simboli delle croci. Le Croci della Passione riproducono i simboli, facilmente riconoscibili dalla pietà popolare, del patimento di Cristo e, di solito, fanno riferimento al racconto dei vangeli; alcuni elementi sono però spuri, “aggiunti” dalla tradizione e senza riscontro nei testi sacri. Nel repertorio dei simboli, sarà rispettata la cronologia evangelica; per ultime, saranno analizzate le figure non legate alle Scritture.
I segni del tradimento. Giuda Iscariota tradisce Cristo per «trenta sicli d’argento» (Matteo), rappresentati dalla borsa che li conteneva. La lanterna ricorda quella usata da Giuda per guidare le guardie mandate dai sacerdoti al giardino dei Getsèmani per arrestare Gesù.
Il gallo è l’immagine che rammenta il tradimento di Pietro (Matteo: «prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte»). Le croci liguri sono chiamate spesso Croci del Gallo perché il simulacro è posizionato in cima all’asta verticale, una collocazione che si ritrova anche in molte croci abruzzesi.
I simboli della Passione. La mano è simbolo di incredulità (Tommaso vuole toccare la ferita del costato di Cristo) e di tradimento (Luca: «la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola») ma simboleggia anche quella del servo giudeo che schiaffeggia Gesù quando risponde al Sommo sacerdote Ananìa.
Gesù fu insultato e poi flagellato. Nelle croci, spesso, i flagelli sono due, posti alle estremità dell’asse orizzontale della croce per ragioni di simmetria estetica. La corona di spine è uno dei simboli più intensi; talvolta, è il solo elemento che accompagna la croce. I soldati condussero Gesù nel Sinedrio, lo spogliarono per rivestirlo con un mantello color porpora (simbolo regale), una canna (lo scettro) e la corona di spine (Matteo: «intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: “Salve, re dei Giudei!”»).
Le immagini della Crocifissione. La crocifissione avveniva inchiodando i polsi dei condannati a un palo ligneo trasversale e i piedi allo stipite infisso a terra. La testimonianza dell’uso dei chiodi è nel vangelo di Giovanni. Se presenti, i chiodi sono tre (nei crocifissi ortodossi sono quattro perché i piedi erano raffigurati inchiodati separatamente). Sulla croce, secondo il diritto romano, era fissato il titulus crucis, che motivava la condanna. Ancora Giovanni ci informa che l’iscrizione era in tre lingue (ebraico, latino e greco). Nelle Croci della Passione il titolo è sempre INRI (acronimo di Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, Gesù Nazareno Re dei Giudei).
Arrivati al Gòlgota (luogo dell’esecuzione), i soldati giocano a sorte la tunica di Gesù, probabilmente con i dadi.
Durante l’agonia Gesù fu dissetato con una spugna intrisa d’aceto, posta in cima a una canna (Matteo e Marco). Per accertarsi della morte di Gesù, un soldato, di nome Longino (citato in un vangelo apocrifo), lo colpisce con una lancia, procurandogli una ferita nel costato.
Simboli non riportati nelle Scritture. La scala a pioli è sempre presente, segno di una tradizione popolare radicata, anche se l’elemento è assente nelle Scritture. Nel supplizio della crocifissione il condannato veniva inchiodato a terra alla trave orizzontale che, poi, veniva posizionata sopra al palo che era già infisso nel terreno e arrivava a circa 2 metri di altezza. La precisazione dell’altezza è per spiegare che non c’era alcun bisogno di usare una scala per “salire”; nella tradizione popolare (e in molte opere pittoriche) la croce è molto alta, in maniera scenografica (e quella di Gesù è più alta di quelle dei due ladroni): ecco quindi la “comparsa” della scala.
Nella Guida alle chiese romaniche di Ascoli Piceno (2006), Furio Cappelli descrive un raro affresco presente nella chiesa di San Vittore: «[…] Gesù, contrariamente alla narrazione consueta, non viene inchiodato alla croce quando questa è ancora distesa a terra, ma sale di sua iniziativa con l’ausilio di una scala a pioli sulla croce già issata, sulla base del vangelo apocrifo di Nicodemo».
La presenza del simulacro di una colonna deriva dal fatto che le fustigazioni avvenivano dopo aver legato il condannato a un palo di legno o a una colonna. Anche in questo caso, manca il riscontro nei racconti evangelici.
Il martello e la tenaglia sono simboli frequenti di attrezzi, anch’essi non menzionati nelle Scritture. La pietà popolare ha inserito il martello, necessario per piantare i chiodi, e la tenaglia che Giuseppe d’Arimatea avrebbe usato per toglierli nella Deposizione.
Altre figurazioni. Qualche volta sono presenti figure e simboli citati nei vangeli o che appartengono al racconto popolare. Uno di questi è la spada di Pietro che, nei momenti concitati dell’arresto di Gesù, mozzò l’orecchio di Malco, il servo del sommo sacerdote, poi sanato miracolosamente da Cristo. Un altro oggetto è il bacile usato da Pilato per sciacquarsi le mani in segno di dissociazione per la condanna di Gesù alla crocifissione; non era una pratica romana ma il tipico gesto che i Giudei usavano per “purificarsi”. Un terzo simbolo associato alla croce della Passione, assente nei vangeli ma diffuso nella tradizione popolare (fin dal sec. VIII) è il velo della Veronica, il panno di lino con il quale fu asciugato il viso di Gesù, sporco di sudore e di sangue, durante la salita al Calvario: sul telo sarebbe rimasta impressa l’impronta del volto.
Spesso, a queste croci è fissata la sagoma di un simbolo “forte”, il calice. È il Sacro Graal, la coppa usata da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena; in quella stessa coppa, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo quando fu colpito al costato dalla lancia dal militare romano. Il calice, menzionato nei vangeli, è simbolo di speranza e di rinascita, allegoria del cammino verso Dio: nel rito della consacrazione durante la celebrazione della messa, contiene il vino che “diviene” il Sangue di Cristo. Il calice è spesso ornato da raggi di luce, metafora della Fede che illumina le tenebre e indica la via agli uomini.
Conclusioni. Le religioni hanno apparati simbolici che, per astrazione, ne rappresentano e mettono in evidenza aspetti importanti, facilitando così la memoria e la comprensione degli episodi narrati a chi “legge” il simbolo. Nel caso delle croci della Passione, i simboli sono focalizzati sulla sequenza degli eventi che portarono alla morte di Gesù Cristo, passaggio imprescindibile per arrivare alla Risurrezione.
È auspicabile il restauro (peraltro poco costoso) di queste testimonianze della pietà popolare e di una tradizione antica degna di essere tramandata.
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