testo e foto di Gabriele Vecchioni
Il patrono di Ascoli Piceno è Sant’Emidio da Trèviri (attuale Germania), primo vescovo della città picena e martire della cristianità. Alla memoria del protettore della città sono dedicati, oltre alla cattedrale (il Duomo), altri due edifici sacri, di piccole dimensioni ma assai significativi: il tempietto di Sant’Emidio Rosso, edificato sul sito della decapitazione del santo (303 DC), e quello di Sant’Emidio alle Grotte (le catacombe cittadine), dove il martire fu sepolto.
Emidio, dopo l’esecuzione della condanna, avrebbe raccolto la propria testa e l’avrebbe portata, camminando per circa trecento passi, fino al luogo di sepoltura, nelle catacombe di Ascoli. Sant’Emidio è uno dei circa venti santi (e sante) cristiani cefalofori, cioè portatori della propria testa, il più antico dei quali è San Giovanni Battista. I santi decapitati sono tutti personaggi di grande carisma e seguito popolare (uno è San Paolo) che hanno subìto: «Il simbolico taglio della testa, quasi per annientare la mente e la persona con un gesto irrevocabile che tronca un’esistenza fisica, intellettuale e spirituale (Carlo Lapucci, 2009)». Ma la fede «nega il valore implicito in questo gesto dicendo: no, la testa è troncata, ma l’essere continua a vivere. Le due parti rimangono in comunicazione e il messaggio continua ad espandersi nel mondo, nella memoria e nella vita eterna».
Ma torniamo alla nostra storia. Nell’articolo saranno analizzate alcune realtà cittadine, vicine dal punto di vista topografico, legate agli ultimi momenti della vita terrena del santo: è possibile effettuare un breve “percorso emidiano”, toccando punti significativi della città, legati alla storia agiografica del santo.
La prima tappa è la Fontana monumentale di Sant’Emidio, attuale lavatoio pubblico. Per la vicinanza di luoghi consacrati al ricordo del martire è lecito supporre che fosse uno dei posti dove Emidio esercitava il suo magistero e dove, probabilmente, battezzò Polisia e altri compagni di fede. La voce popolare narra che Emidio, già vescovo di Ascoli, avesse convertito numerosi abitanti della città e, volendo battezzarli, facesse scaturire un getto d’acqua percuotendo un sasso. La sorgente è quella che, ancor oggi, alimenta il lavatoio di travertino, nelle immediate vicinanze del ponte romano di Borgo Solestà.
Nei primi anni del Seicento fu costruito un’elegante costruzione a cinque arcate, utilizzando una preesistente struttura del secolo XII. Nel corso dei secoli, il paesaggio urbano è cambiato e nel 1905 il piano stradale fu sopraelevato, ottenendo l’attuale configurazione, con il lavatoio “incassato” tra gli edifici.
Dalla fontana una strada sale ripida tra le case, subito rimpiana e arriva al Tempietto di Sant’Emidio Rosso, così denominato per il colore rosso con il quale è dipinto esternamente, chiara allusione al martirio del santo che in questo luogo fu decapitato.
Il piccolo edificio a pianta ottagonale non è che una cappella votiva con, all’interno, un altare sormontato da un dipinto con una rappresentazione oleografica del martirio del Santo. Lungo le spoglie pareti, sedili di legno offrono ristoro ai devoti. Il tempietto fu eretto nel 1633, per volontà del vescovo Donati, nel luogo dove si trovava l’antica Cona de Santo Migno (l’icona di Sant’Emidio) sulla Via Cappuccina, punto di riferimento per i viandanti e i pellegrini che entravano in città. Sotto l’altare, la pietra dove il vescovo Emidio avrebbe appoggiato la testa per essere decollato.
L’edificio, inconfondibile per forma e colore, è ormai circondato dalle case ma mantiene intatto il fascino legato alla sua storia.
Tornando indietro, raggiungendo Viale Marcello Federici e seguendo le indicazioni, si arriva al terzo luogo “emidiano”, il Tempietto di Sant’Emidio alle Grotte, così denominato perché l’interno è costituito da una grotta naturale dove i cristiani, all’epoca delle persecuzioni, seppellivano i loro morti. Qui arrivò Emidio, trasportando la sua testa: un modus operandi attestato in diverse agiografie di santi cefalofori, che così indicavano ai fedeli il luogo dove volevano essere seppelliti e, in seguito, onorati. Il corpo di Sant’Emidio rimase in loco fino al secolo XI, quando i resti furono traslati nella Cattedrale, a lui intitolata.
Il monumento era già inserito nelle guide della città a fine Ottocento: «Merita di essere visitata una chiesa a poca distanza intitolata s. Emidio alle grotte, perché costruita sul davanti di alcune grotte cavate nel tufo le quali, secondo la tradizione, servirono di oratorio e di tomba ai primi cristiani. Fu architettata da Giuseppe Giosafatti che ne eseguì anche le sculture, e venne compiuta nel 1710».
La splendida facciata barocca che tampona e decora la grotta fu eretta nel 1721 per ringraziamento degli ascolani verso il loro patrono che li avrebbe salvati dal devastante terremoto del 1703. In realtà, nonostante il racconto sia perfettamente “in linea” con la tradizione che vuole Sant’Emidio protettore dai terremoti, c’è un’altra versione, descritta dal rev. Cardarelli (1970): «Agli inizi del sec. XVIII, a compimento di un voto degli ascolani per essere liberati dalla peste, l’arch. Giuseppe Giosafatti vi costruì in elegante e sobrio stile barocco la facciata che più che ripetere le arditezze berniniane si rifà ai più corretti canoni di Pietro da Cortona». Per inciso, Pietro da Cortona (nato Berrettini) fu, con Bernini e Borromini, una delle figure eminenti del Barocco italiano.
L’architetto (e scultore) ascolano s’ispirò, per la sua opera, alla chiesa romana di Santa Maria della Pace; alto sul cupolino che sovrasta il bel portico ellittico, fu inserito uno scudo lapìdeo con l’arme del pontefice dell’epoca, il marchigiano Clemente XI. Alle estremità della parete di travertino, due angeli reggono foglie di palma, simbolo del martirio. All’interno, l’altare è dominato dalla statua marmorea di Sant’Emidio in abiti vescovili, anch’essa opera del Giosafatti. Un’angusta, breve galleria scavata nella roccia tufacea conduce all’area delle catacombe, dove furono sepolti il Santo e i suoi compagni, anche loro martirizzati.
La tradizione popolare vuole che sulla tomba sia nata una pianta di basilico: per questa ragione, il giorno della festa di Sant’Emidio (5 agosto) sul sagrato della cattedrale, a Piazza Arringo, vengono venduti vasi di queste piantine profumate.
Proprio di fronte al Tempietto si trova l’edificio, in stile romanico, dell’ex-chiesa di Sant’Ilario, eretta nel Medioevo vicino alle catacombe che ospitavano il corpo del Santo. Il corpo originario della chiesa era anteriore al secolo XI, edificato dai benedettini dell’abbazia reatina di Farfa, particolarmente devoti a Sant’Emidio. Nell’edificio sono rinvenibili anche frammenti lapìdei decorativi romani che danno corpo alla tradizione che lo voleva costruito sui ruderi di un tempio pagano.
Sant’Ilario ha avuto, nel corso dei secoli, una storia lunga e variegata; è stata anche hospitale per viandanti e pellegrini sulla strada per Fermo e, data la sua vicinanza alla Porta Solestà, uno degli accessi alla città.
Attualmente l’edificio, di proprietà comunale, ospita “Il Centro Studi emidiani” e l’interessante Emygdius Museum.
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