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Alla fonte del sacro:
gli eremi rupestri
della Montagna dei Fiori

ASCOLI - A ricordare i romitori di quello che una volta era chiamato Monte Polo sono rimaste le cavità che li ospitavano; di alcuni si sono perse le tracce e resta solo la memoria nel toponimo. Prima parte del viaggio alla scoperta di siti simbolo, dalla Grotta Margherita a quella dedicata a Sant'Angelo
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Così vedevano Ascoli i monaci della grotta-eremo di San Marco

di Gabriele Vecchioni

(Foto di Giovanni Fazzini e Gabriele Vecchioni)

Le Marche confinano, a sud, con l’A­bruzzo, caratterizzato da un territorio montano per due terzi circa della sua superficie; tra le sue montagne risaltano il massiccio isolato della Majella, la poderosa catena del Gran Sasso e il grup­po del Velino-Sirente. Una menzione particolare la merita la piccola dorsale dei Monti Gemelli, prossima alla costa adriatica. La sua natura calcarea ha permesso la formazione di numerosi ipogei: qui, nel Medioevo, si concentrarono numerosi eremiti, attratti dai luoghi im­pervi e desiderosi di salvare sé stessi e gli altri con una vi­ta di penitenza e di pre­ghiera. Niente di paragonabile a quelli della Majella, “montagna sacra” per eccellenza (la domus Christi di Francesco Petrarca), ma pur sempre numerosi, testimonianza del forte potere attrattivo esercitato da questo luogo nel periodo altomedievale.

Luci e ombre nel suggestivo ambiente delle Gole del Salinello

L’articolo vuole fare il punto sull’argomento. Per stilarlo, è stata utilizzata parte del materiale raccolto, a suo tempo, insieme con l’amico Narciso Galiè, per la realizzazione della Guida escursionistica dei Monti Gemelli.

Le grotte come spazio sacro. Le tante cavità della Montagna dei Fiori (nell’Ottocento, il medico e paleontologo abruzzese Concezio Rosa ne contò 45) sono state frequentate fin dal Paleolitico (circa 10.000 anni fa), come testimoniano le tracce lasciate nella grotta di San­t’An­gelo a Ripe, ne­l­l’angusta valle del Salinello. La caverna è una delle più rilevanti testimonianze della preistoria italiana: al suo interno, una parete stratigrafica alta 3 m ha restituito punte di frecce, cilindretti d’osso, raschiatoi e le più antiche ceramiche dipinte e impresse del Paese.

Lo straordinario ambiente della grotta-eremo di Sant’Angelo

Era l’epoca della nascita dei riti propiziatori e la caverna, con la sua particolare conformazione e l’aura misteriosa, aveva, più di ogni altro luogo, le qualità per ospitare rituali ma­gici per sconfiggere paure sconosciute. Era il posto ideale per celebrare la ierogamia, l’unione sacra tra il principio fe­condatore maschile (simboleggiato dalla luce che penetra al­l’in­terno) e quello fem­minile (la caverna stessa, utero della Madre Terra). Più tardi, le grotte, specie quelle dove c’era una sorgente d’acqua (al­l‘interno o nelle vicinanze), furono sede di culto per il semidio Ercole, divinità prediletta dagli antichi pastori-guerrieri; dopo la cristianizzazione della società, Ercole fu “riciclato” in un altro eroe, l’Arcangelo Michele, principe delle milizie celesti.

L’altare all’interno della grotta. A sinistra, una foto di qualche anno fa, quando era ancora presente la statua in legno e gesso dell’Angelo, attualmente delocalizzata; a destra, l’immagine moderna che l’ha sostituita (ph. I luoghi del silenzio)

Il culto. Negli eremi rupestri le pratiche devozionali si sono succedute quasi senza soluzione di continuità, “passando” dal paganesimo al cristianesimo; i romiti si stabilirono in luoghi che le popolazioni locali consideravano già sacri: il fatto favo­riva la devozione dei fedeli. A partire dall’Alto Medioevo la Chiesa insediò, negli antichi santuari pagani, lenta­mente ma in maniera capillare e costante, santi propri, con caratteristiche simili a quelle degli dèi sostituiti, con le stesse virtù prodigiose e una iconografia equivalente. Esempio pregnante è quello di San Michele; nella de­vo­zione popolare, il santo aveva la figura di un giovane guer­riero (la giovi­nezza simboleggiava la perfe­zione), uccisore del drago, simbolo delle forze del Male; un eroe come l’Ercole precristiano, che aveva scon­fitto un altro drago, l’idra a sette teste (per altri, la figura dell’Angelo discende da quella di un dio altrettanto “bello”, Apollo, vincitore del serpente Pitone).

Escursionista all’interno dell’ampia cavità della Grotta Margherita (spiegazioni nel testo)

L’eremitismo (dal greco heremos, deserto) era una forma di monachesimo cristiano, caratterizzata dalla “fuga dal mondo” del singolo, per dedicarsi interamente a Dio mediante la ricerca ascetica. La solitudine passò poi dalla dimensione individuale a quella comunitaria, per costruire una società perfetta, strumento di realiz­za­zione e messaggio di salvezza per il popolo.

La geomorfologia della Montagna ha sicuramente “aiutato” chi cercava nei deserta, luoghi isolati e difficilmente raggiungibili, la solitudine e il silenzio ne­cessari per l’ascèsi: i luoghi selvaggi (intesi come primitivi, incorrotti) hanno sempre esercitato un forte richiamo sull’uomo; in particolare la montagna è sempre stata considerata, nelle diverse culture, la casa della divinità o il tramite per arrivarci. Al­l’ini­zio, gli eremiti vivevano in cavità e ripari naturali; costruirono poi strutture complesse, con un’area sacra e una zona abita­tiva, funzionale alle esigenze di una co­munità. Sorsero così romitori, cenobi, santuari e monasteri, per testimoniare l’av­vento di una nuova via di salvezza del­l’anima.

Oltre alla loro missione spiri­tuale, gli eremiti ebbero anche l’importante ruolo di “combattere” le antiche divinità nei luoghi più malagevoli e nei santuari delle indomabili tribù pastorali, attratte dalla sacralità senza tempo delle rocce e delle acque. La distribuzione capillare, nel­l’area dei Monti Gemelli, di luoghi di culto e aree sacralizzate va vista anche come una faticosa (ri)ap­pro­pria­zione del territorio.

Lo straordinario ambiente della grotta-eremo di Sant’Angelo

Gli eremi. In un precedente articolo (leggilo qui), sono stati considerati gli eremi più vicini alla città picena, quelli del Colle San Marco; in questo e in un successivo articolo saranno descritti brevemente quelli rimanenti. Prima, però, poche righe dedicate a una misconosciuta emergenza situata sotto le Vene Rosse (il nome deriva dalla particolare colorazione delle rocce), sul versante sud-orientale del Giam­matura, vicino a Colle San Giacomo e non lontano dal cippo commemorativo dei partigiani ascolani trucidati il 3 ottobre 1943, durante la lotta di Liberazione. Grotta Margherita è il nome della grotta-eremo che il papa ascolano Niccolò IV menziona (come S. Margherita de Vena Russa) in una lettera inviata il 7 dicembre 1289 al sacerdote Gismondo di Anserico, per informarlo della sua nomina a canonico. La grotta è stata, nel corso dei secoli, romitorio, rifugio di briganti e punto di appoggio per i combattenti partigiani, grazie alla sua posizione, “nascosta” dalla fitta vegetazione, e mantiene ancora il suo fascino selvaggio.

Le gole rupestri del Salinello viste da Ripe di Civitella

La gola degli eremi nascosti. Lungo le suggestive Gole create dal torrente Salinello, il corso d’acqua che separa le due entità morfologiche che costituiscono i Monti Gemelli (il Girella e il Foltrone) sono “allineati” ben sei ascetèri.

Sant’Angelo a Ripe si incontra qualche centinaio di metri dopo il parcheggio dal quale partono i sentieri che risalgono le Gole del Salinello. La struttura è dedicata all’Angelo, cioè a San Michele Arcangelo; è stata frequentata per usi cultuali nel corso dei secoli, già dalla Preistoria e fino al Medioevo, come testimoniano i reperti custoditi nel Museo Archeologico di Campli. La prossimità delle case di abitazione non ha però favorito la presenza continuativa degli eremiti.
Per un periodo, è stata anche la chiesa parrocchiale del vicino centro di Ripe. All’in­terno della caverna sono presenti due altari: una semplice tavola offertoria in pietra (sec. XIII) e uno, settecentesco, decorato da una statua in legno e gesso di San Michele ad ali spiegate nell’atto di uccidere un drago (da tempo trasferita, opportunamente, nella chiesa di San Pietro). Fino a qualche decennio fa, il 1° di maggio, la statua del santo veniva portata in processione fino alla suddetta chiesa, dove rimaneva esposta per tutta la durata del mese, per poi fare ritorno all’interno della cavità.

La Grotta di Sant’Angelo a Ripe si apre sull’alta parete strapiombante della sinistra orografica del Salinello; a destra, le pareti delle Gole mostrano la spinta possente delle forze orogenetiche

 


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