di Walter Luzi
Ciao Bruno. L’addio a Bruno Di Carmine, il fotografo, si consuma nella chiesa dei Santi Simone e Giuda della sua parrocchia di Monticelli. Ma con le sue foto si può rivivere tutta la storia di quasi un secolo della sua città. Cronaca, costume, colore, sport. La storia di Ascoli e dell’Ascoli. La sciarpa bianconera adagiata sui garofani rossi del feretro testimonia tutta la sua passione di sportivo e di professionista. Racconta mezzo secolo di scatti da dietro le porte del “Del Duca” pronto a cogliere l’attimo decisivo del gol o del calcio di rigore. Le gioie e le delusioni dei protagonisti, in campo e sugli spalti. Non è un caso che molti ex giocatori bianconeri, di ogni epoca, abbiano chiamato in questi giorni il figlio Alberto per condividire il suo dolore. Perchè Bruno Di Carmine, il fotografo, se lo ricordano tutti. Con quel suo sorriso sornione che affiorava sempre, alla fine, sopra ogni atteggiamento burbero.
A salutarlo sono arrivati, fra gli altri, Ivo Micucci e Giuliano Torelli, vecchie bandiere bianconere di un calcio di altri tempi. Quando le maglie ti restavano impresse nel cuore per tutta la vita e valevano molto di più dei mille tatuaggi sulla pelle esibiti dai narcisi di oggi. Quando si doveva correre subito in camera oscura, alla fine della partita, a sviluppare il rullino e portare, sempre di corsa, le foto ancora umide e profumate di reagente, sul tavolo della redazione. Per la scelta delle migliori da pubblicare, spesso per i complimenti, qualche volta anche per i bonari sfottò, quando qualcuna era venuta un po’ “mossa”. Perchè le macchine fotografiche non erano quelle di oggi, che puoi scattare anche ad occhi chiusi che tanto fanno tutto da sole. Perchè l’emozione di quegli attimi, immortalata da quegli scatti in bianco e nero, consegnati alla storia cittadina era soprattutto l’emozione di chi pigiava, in quel momento, l’indice sul tastino.
Bruno e Ginesio Di Carmine, i fotografi di Ascoli. E poi Alberto a raccogliere il testimone e gli insegnamenti. Un rapporto il loro che è stato molto più di un normale rapporto fra padre e figlio. Una sorta di simbiosi. Un affetto viscerale che si è fatto ancora più profondo negli ultimi quaranta giorni. Quando in un letto di ospedale, vicini come sempre, uniti come sempre, giorno dopo giorno, hanno condiviso anche il progressivo spegnersi di ogni speranza. Tanti gli ex colleghi venuti a dire addio a Bruno. Fra di loro anche Adriano Cellini, omologo della redazione di San Benedetto del “Messaggero” degli anni d’oro.
Quando neppure si immaginava che i display dei telefonini avrebbero potuto un giorno ammazzare la carta stampata, quando le redazioni erano luoghi di incontro e confronto, quando appartenere a una testata come “Il Messaggero” costituiva un orgoglio. Bruno ha lavorato poi, con la stessa passione, anche per altri giornali. Li ha ricordati tutti il nipote Igino Cacciatori a nome della famiglia. La moglie Marisa, un amore lungo sessant’anni, i figli Alberto e “Stefy” Stefania, i nipoti Sara e Luca. Ginetto ha ripercorso le tappe della sua vita professionale, ricordato le sue doti umane, la passione e dedizione per il suo lavoro. Come ha osservato anche don Giampiero nella sua omelia, Bruno ci teneva alle cose che faceva. Ci mancherà.
Ascoli piange Di Carmine, il veterano dei fotografi Giovedì il funerale a Monticelli
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