di Maria Nerina Galiè
Da ieri, 17 marzo, in risposta dalla direttiva regionale del 12 marzo, l’ospedale “Madonna del Soccorso” di San Benedetto è un Covid Hospital, nel gergo diventato familiare in un tempo troppo breve per credere che sia reale. Al “Mazzoni” di Ascoli convergono tutte le altre patologie. Ad iniziare da Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza che, ad Ascoli, tratta emergenze e urgenze per l’intera provincia per cittadini che però non hanno sintomi che possano far sospettare un contagio da Coronavirus. E’ la stessa Area Vasta 5 a fare appello alle persone che spontaneamente si recano al Pronto Soccorso (se inviati dal 118 o dal medico di famiglia il problema non si pone) di non sottovalutare febbre, tosse o affanno. In questo caso, il centro di emergenza e urgenza a cui rivolgersi è quello dell’ospedale della Riviera, dove rimane comunque attiva un’unità per rispondere alle situazioni gravi, a rischio di vita, senza gli oramai noti sintomi da Covid-19.
Margine di “errore”, nel giudizio dei cittadini di non considerarsi potenziali positivi, o sovraffollamento per dover gestire pazienti provenienti da tutto il Piceno, non spaventano Gianfilippo Renzi, direttore dell’unità ospedaliera complessa Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza del “Mazzoni”, né gli operatori che da settimane sono in trincea, ancor più del solito.
«Dover affrontare eventi imprevedibili, dando risposte immediate ed efficaci è insito nel nostro lavoro» commenta il dottor Renzi. «Ci siamo subito calati dentro la gestione dell’emergenza – aggiunge – rimboccandoci le maniche. Certo sarà dura adesso, ma è necessario affrontare il momento». Nel reparto operano 11 medici, più il primario e una sessantina tra infermieri e Oss. Il direttore riferisce che nessuno, in questi giorni, ha chiesto ferie o congedi particolari, sono tutti in campo. Di fronte ad un carico di lavoro destinato ad aumentare, si rischia di essere in pochi anche perché da qualche mese il personale medico è sotto organico.
«Tra essere pochi e in grado di affrontare la situazione – commenta il primario – in mezzo ci passa l’essere capaci e preparati». Ma intanto arriva la buona notizia: al team si unirà il chirurgo Giorgio De Santis, ex dirigente medico del “Mazzoni”, uno dei quattro professionisti in pensione che hanno detto sì alla proposta di rientrare in servizio per la grande emergenza in corso.
Il Coronavirus si è già affacciato al Pronto Soccorso del “Mazzoni”, dove da due settimane ormai vengono fatti tamponi per pazienti pure risultati positivi e non sarà il nuovo assetto della sanità picena a far abbassare il livello di guardia. «Ad ogni turno – spiega Renzi – ci sono sempre stati e continueranno ad esserci un medico ed un infermiere preposti ai tamponi. Non possiamo avere la certezza, anche ora, di sapere che quadro avremo di fronte».
Né vengono meno i sistemi di sicurezza adottati nelle fasi immediatamente successive ai primi segnali di diffusione del contagio. «Il pre triage continuerà ad avere un ruolo fondamentale – afferma – e consiste nel bloccare all’esterno del Pronto Soccorso (ora nei container montati davanti all’ingresso, ndr) tutti i pazienti. Si valutano le condizioni generali e si effettua l’intervista epidemiologica al paziente ma anche all’eventuale accompagnatore. Se si ravvisa anche solo il sospetto, si seguirà lo speciale protocollo per il Coronavirus. Se no, solo a quel punto si dà il via libera all’accesso alla struttura».
In questa fase non è ancora possibile fare previsioni sull’afflusso di persone che richiederanno le prestazioni del Pronto Soccorso di Ascoli. Certo è che in un momento come questo, in molti potrebbero preferire di andarci solo per stretta necessità. Anche le disposizioni fin qui impartite potrebbero subire dei cambiamenti dovuti all’evolversi del contagio.
Non cambierà invece il fatto che sono stati e rimarranno i medici e gli infermieri del Pronto Soccorso in prima linea contro la diffusione del contagio da Covid-19, figure professionali indispensabili per evitare il collasso di un sistema sanitario ora messo a durissima prova. «Non c’è mai stata paura o reticenza tra gli operatori addetti ai tamponi – racconta il direttore del Pronto Soccorso – hanno solo voluto essere rassicurati di avere i dispositivi di protezione, imposti dalla normativa tra l’altro». Nel caso si ammalasse un operatore sanitario, o se soltanto fosse messo in quarantena, non ce ne sarebbe per la sostituzione. Non c’è poi da dimenticare che tutti a fine turno tornano a casa, dove hanno una famiglia, persone da tutelare e che magari hanno timore di riabbracciare per paura di trasmettere il temuto virus.
Medici, infermieri e Oss dovrebbero essere ben protetti, per loro stessi e per la popolazione che assistono. Certo è che i dispositivi di protezione individuale scarseggiano anche negli ambienti ospedalieri, dove contrariamente a quanto dovrebbe essere, se ne deve fare un uso parsimonioso.
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