di Gabriele Vecchioni
(foto di Claudio Ricci e Gabriele Vecchioni)
In questi tempi difficili, con la popolazione chiusa in casa per difendersi dall’epidemia del Coronavirus, viene spontaneo pensare a come si difendevano i nostri antenati dalle malattie: nel corso della storia, infatti, l’umanità ha sofferto (abbastanza spesso, in verità!) di morbi epidemici dai quali non sempre è riuscita a proteggersi in maniera efficace. Una delle “difese” era costituita dalla preghiera rivolta a protettori celesti, mediatori che dovevano intercedere presso l’Ente supremo perché ponesse fine alla “punizione”.
Tradizionalmente, ci si rivolgeva, oltre che alla Vergine e al Crocifisso, ad alcuni santi “speciali”: San Sebastiano, San Rocco, San Michele Arcangelo, Sant’Antonio abate, San Cristoforo e Santa Rita. In questo articolo ci occuperemo di alcuni di loro, principalmente dei primi due.
La figura della Madonna del Soccorso (o della Misericordia), che protegge i fedeli sotto il suo manto, è una figurazione che si ritrova negli edifici sacri nel periodo di maggior diffusione della peste (secc. XV-XVI). In realtà, già a metà del sec. XIV, una terribile, prolungata epidemia aveva colpito l’intera Europa, durando fino a metà del ‘600: nel breve periodo compreso tra il 1348 e il 1351 erano morte 30 milioni di persone (circa un terzo dell’intera popolazione del continente), soprattutto nelle città, per la maggiore densità di abitanti. Nelle Marche i centri più colpiti furono Ascoli e Macerata, che videro la loro popolazione dimezzata. L’unica difesa contro il male incurabile sembrava la fede e la preghiera: vennero edificate numerose ecclesiae contra pestem, le cosiddette “chiese devozionali”, erette fuori dalle mura cittadine per impedire agli appestati di entrare in città, riducendo così il rischio di contagio.
Il Gesù Crocifisso viene considerato un protettore “generico” ma, in zona, abbiamo un esempio di devozione verso l’icona legata proprio a un’epidemia (il Cholera morbus) che a metà dell’Ottocento, colpì l’area, da San Benedetto del Tronto, sulla costa, fino ad Arquata, ai piedi deli Monti Sibillini. Il borgo fu salvato, secondo la tradizione popolare, proprio per la protezione accordata dall’immagine sacra; la popolazione volle ricordare l’evento incoronando il simulacro con un serto d’argento (1855), tuttora in sede.
La figura di San Michele Arcangelo (l’Angelo) di solito non è associata alla protezione contro calamità naturali o epidemie ma, già grandemente popolare per il fatto di aver combattuto vittoriosamente contro Satana, è ricordata per la leggenda medievale relativa a un episodio che ha come protagonista Gregorio Magno. Nel 590, il Papa, in testa a una processione indetta per invocare la protezione divina contro la pestilenza che stava decimando la popolazione, “vide” l’Arcangelo Michele che, sulla sommità del Mausoleo di Adriano (che diventerà Castel Sant’Angelo dopo l’episodio), rinfoderava la spada, a significare la protezione accordata e la fine della pestilenza.
Ma torniamo ai “nostri” santi (delle altre figure avremo modo di occuparci in un’occasione diversa).
San Rocco è uno dei santi più popolari, venerato dalla chiesa cattolica e da quelle ortodossa e anglicana: a lui sono intitolate, in Italia, circa tremila chiese e cappelle. Nella nostra zona sono diversi gli edifici sacri dedicati al Santo, ubicati principalmente nell’area montana dei Sibillini ma anche nel comprensorio dell’Ascensione. Anche a Spinetoli, centro d’altura della Vallata del Tronto, c’è un oratorio a lui dedicato (articolo precedente, leggilo qui).
Notizie relative alla biografia del santo (sec. XIV) sono facilmente reperibili in rete e nella letteratura agiografica; è interessante mettere in evidenza la rapida diffusione del culto, dopo la consacrazione (la parola “santo” viene dal latino sancti, cioè “sanciti”, riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa) avvenuta nel 1584. La devozione si diffuse celermente perché Rocco era considerato un santo taumaturgo: i fedeli erano convinti che il santo proteggesse contro la peste, il terribile morbo che tanti lutti aveva provocato nell’Italia del Medioevo, fino al secolo XVII). Col tempo, il suo potere si estese anche sugli animali: San Rocco diventò così un “santo rurale”.
Le chiese e le cappelle dedicate al Santo erano isolate dai centri abitati: il motivo è di ordine pratico, per “tenere lontano” dalle case gli appestati che erano i principali frequentatori dei luoghi sacri a lui dedicati.
L’analisi dell’iconografia del santo (vestito con una corta tunica di colore verde, una mantellina – il sanrocchino – e con in mano il bordone – il bastone del pellegrino) e la data della festività (il dies natalis è il 16 agosto, sovrapponibile alle “idi di agosto”, le Feriae Augusti), porta a comporre un parallelo con la figura arcaica di Vertumno. Questa divinità etrusca, cooptata dai Romani, rappresentava il mutamento delle stagioni e la maturazione dei frutti. Diversi studiosi mettono in relazione la somiglianza dell’abbigliamento e la diffusione del culto di San Rocco tra la popolazione contadina con questa figura.
La devozione popolare verso il Santo pellegrino è sincretica, legata cioè alla convergenza di dottrine religiose inconciliabili, ma ha trovato terreno fertile tra la gente bisognosa di un patrono con poteri salutari che la aiutasse nella difficile quotidianità. La nascita di una devozione si origina molte volte dalla pressione popolare e non sempre è supportata da fatti storici: nella maggior parte dei casi, si avvolge di un alone leggendario. È riduttivo cercare solo la verifica dei fatti nell’origine di un culto; è intrigante, invece, considerare l’ininterrotta devozione popolare nel soprannaturale e la ricerca continua di un mediatore che interceda con il divino.
San Rocco è spesso associato, nelle rappresentazioni figurative devozionali, a San Sebastiano, come protettore contro le epidemie e le pestilenze. San Sebastiano, venerato dalle chiese cristiana e ortodossa, è uno dei santi più rappresentati dagli artisti, fin dalle epoche più remote. Anche la biografia di San Sebastiano è facilmente reperibile in rete; è uno dei primi santi cristiani, onorato fin dai tempi antichi. Il Santo fu martirizzato due volte; trafitto da numerose frecce tanto «da sembrare un istrice», si salvò miracolosamente ma non scampò a un secondo supplizio (fu fatto fustigare da Diocleziano).
Secondo l’agiografia, era un soldato romano convertitosi al Cristianesimo, che fu martirizzato dai suoi stessi commilitoni. All’inizio veniva rappresentato come un uomo di mezza età, barbuto e coperto da un’armatura; dopo l’anno Mille, cominciò ad essere rappresentato come un giovane denudato, legato a un tronco (o una colonna) e trafitto da frecce: questa raffigurazione venne consolidata dalla Legenda Aurea, raccolta medievale di agiografie del vescovo domenicano Jacopo da Varagine (sec. XIII).
Col tempo, si rafforzò il suo patronato, insieme con San Rocco, nella protezione verso la peste e a lui furono dedicate chiese, affreschi e pale d’altare. Il culto di questi due santi, spesso raffigurati insieme ai lati della Vergine, ebbe un grande sviluppo nel periodo medievale, quando il flagello della peste era particolarmente incisivo.
La tradizione vuole che San Sebastiano si sia salvato dalle frecce e san Rocco dalla peste: i due personaggi sarebbero quindi scampati a un supplizio a un morbo che generavano piaghe (sempre presenti nelle figurazioni). In tutte le immagini, San Sebastiano mostra il corpo trafitto dalle frecce – nelle quali è possibile “vedere” i bubboni della peste – e San Rocco indica la piaga della malattia sulla coscia. Per inciso, è possibile un parallelo con l’antichità classica: Omero, nell’Iliade, narra che il dio Apollo, adirato col re Agamennone, inviò una pestilenza nel campo greco, proprio lanciando frecce con «il suo arco d’argento».
I due Santi erano dipinti spesso sulle pareti delle chiese; nelle immagini a corredo dell’articolo, un piccolo repertorio di raffigurazioni rinvenibili nel nostro circondario. Una precisazione. In molte chiese i Santi venivano rappresentati più volte (nel Vissano, in un’aula ho contato sette San Sebastiano!): gli autori potevano anche essere gli stessi (e magari usavano lo stesso modello cartaceo) ma i committenti erano diversi… e le grazie richieste erano ad personam.
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