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Il drammatico racconto
di un medico del Piceno,
in prima linea al “Torrette”:
«Le mani dei Covid, ora immobili,
erano in grado di stringere e lavorare»

EMERGENZA CORONAVIRUS - La toccante testimonianza di Francesco Corradetti, anestetista in servizio ad Ancona ma originario di Castel di Lama: «La situazione si fa ogni giorno più dura e per un po’ due termini ci hanno egoisticamente rassicurato: patologie pregresse. Come se tutti fossimo sani e prestanti ed abbiamo finito per considerare “patologia pregressa” anche avere i capelli bianchi o qualche chilo di troppo»
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Il dottor Francesco Corradetti di Castel di Lama, anestesista rianimatore al “Torrette” di Ancona

Il Coronavirus sta coinvolgendo medici e infermieri per il gran lavoro che la diffusione del contagio comporta. Un mondo nuovo, in parte anche per loro, da scoprire giorno dopo giorno e adeguarsi alle richieste sempre più pressanti. Da medici e infermieri. Che però sono anche esseri umani, messi davanti ad altri esseri umani distesi su un letto di ospedale, lucidi e impauriti o intubati e in fin di vita, per un nemico ancora troppo sconosciuto per potersi permettere previsioni sul decorso della malattia e rassicurare. In prima linea all’ospedale “Torrette” di Ancona c’è il medico anestesista rianimatore Francesco Corradetti, di Castel di Lama.

E’ il suo lo sfogo per queste persone che assiste ogni giorno, lontane da casa e dai familiari anche stretti che non si possono avvicinare al loro capezzale nemmeno se la fine è vicina. Pazienti che giacciono in un letto di ospedale senza il conforto di nessuno accanto, mani ferme che attendono di tornare a stringere quelle dei propri cari. Sta tutto nelle parole del dottor  Corradetti il sentimento di chi lotta per salvare queste vite aggredite dal Coronavirus, con il pensiero a chi resta a casa aspettando notizie su di un familiare che non può vedere.

Il giovane medico ha lavorato sino al 2016, nel reparto di Chirurgia a Macerata ed ha descritto le sue sensazioni insieme con l’amico Pierpaolo Peroni, docente di Lettere. Le parole sono accompagnate da foto di Marco Latini, pure loro amico, che ha immortalato le mani di amici e familiari, come a voler ribadire quanto sono preziose.

«I Covid sono tutti uguali – scrive il medico – sì, gli infetti da Coronavirus in Rianimazione li chiamiamo tutti così, “Covid”, come se fossero una nuova specie, una via di mezzo tra esseri umani e propaggini di un’entità impalpabile, che si percepisce perché rende simili tra loro tutti i vivi che contagia. I Covid sono più uomini che donne, hanno perso la loro individualità, sono difficili da distinguere gli uni dagli altri: se non sono sdraiati a faccia in giù, infatti, hanno il volto mascherato da cerotti, tubo, sondino nasogastrico e sonda della temperatura. I Covid – continua Corradetti – si trovano in una stanza chiusa, con accesso limitato, tutti sedati. Niente nome, niente parenti in visita, sono solo numeri: letto 1, letto 2, letto 3 e così via. Ogni giorno il numero sale». Il progredire di una situazione che si fa di giorno in giorno più dura, è così espresso dal dottor Corradetti.

«All’inizio due termini hanno accompagnato il progredire dei numeri: patologie pregresse – evidenzia – La ricerca di una spiegazione per una situazione così grave per un po’ ci ha egoisticamente rassicurato, come se tutti fossimo sani e prestanti ed abbiamo finito per considerare “patologia pregressa” anche avere i capelli bianchi o qualche chilo di troppo: “I Covid stanno così male perché stavano male già prima, se sei sano e prestante a te non tocca, e comunque non finisci in rianimazione”.

I Covid – continua il medico – sono tutti uguali, hanno tutti patologie pregresse, hanno tutti un numero, hanno tutti delle mani robuste. Si proprio cosi, mani robuste, che sono uguali a quelle di chi lavora ed è ben nutrito. Sono i muscoli delle mani, quelli che si chiamano interossei, a risentire prima e maggiormente dello stato di salute di una persona». Le mani dei malati libere da supporti medici, restano ferme e visibili. «Allora se queste mani sono piene e fino a qualche giorno fa erano in grado di stringere con forza e di lavorare – sottolinea – forse queste patologie pregresse interferivano poco con lo stato di salute. Queste mani forti, tutte uguali fra di loro, sono a me familiari, perché sono le stesse dei miei genitori e di quelli che, come loro, hanno contribuito a costruire il nostro Paese. Di chi ha lavorato una vita, di chi merita le migliori cure possibili. Sono mani che hanno scritto più che digitato, coperte di calli più spesso che di creme, e che ora sono vuote, svuotate del contatto con le persone care, perché il contatto è pericoloso». L’appello, dunque, è quello di rimanere a casa.

«Il contatto – conclude Corradetti – va evitato, perché a oggi l’unica arma che abbiamo contro il Coronavirus è l’isolamento sociale. Osservate le mani dei vostri genitori; stringetele; sentite se sono calde o fredde, ruvide o lisce, morbide o dure. Osservate le vostre mani, perché i Covid iniziano ad esser meno vecchi e senza l’alibi delle “patologie pregresse”. Il contatto va evitato. Guardate le mani delle persone a cui volete bene, guardate le vostre mani, guardate le mani di uno sconosciuto e pensate a tutto ciò che è davvero indispensabile, pensate a quali sono davvero le cose per cui vale la pena rischiare che quelle mani rimangano vuote, mani sole. Restate a casa».

 

 


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