di Walter Luzi
Ascoli, virus, terremoti e… cavallette. In tempi di moderne pestilenze e straordinarie misure di contenimento del contagio, tornano in mente le dieci piaghe d’Egitto. Qualche buontempone ci ha scherzato su anche con una mascherata in piazza del Carnevale 2017. Erano ancora vive allora, in ognuno di noi, le paure di tre forti terremoti patiti nell’arco di appena sei mesi, e un’ondata di gelo con eccezionali precipitazioni nevose che avevano a lungo isolato molte zone dell’ascolano. In quel Carnevale si cercarono, anche così, di esorcizzare tutte le paure, evocando appunto anche un’invasione di cavallette per completare il devastato quadro.
Oggi, in piena emergenza da coronavirus, la pericolosa e preoccupante piaga che ha colpito il mondo intero stavolta, anche una eventuale, paventata invasione di cavallette, torna d’attualità. Ma noi ascolani, che non ci facciamo mancare mai nulla, scopriamo che la millenaria Storia dell’ascolano riferisce anche di questo. Nei mesi di giugno e luglio del 1931 infatti alcune campagne dell’ascolano ne registrarono una invasione senza precedenti a memoria d’uomo. Non c’era un Egitto da punire stavolta, per non voler lasciare partire liberi gli Ebrei verso la terra di Caan nel 1400 avanti Cristo. Un evento narrato sia nella Sacra Bibbia nel Libro dell’Esodo, che nel Corano (Sura 7, versetti 107,131,136) che torna a materializzarsi ancora, quando dal cielo di Ascoli arriva, inatteso e imprevedibile, il biblico flagello. I più colpiti furono i campi dei poveri contadini delle zone che vanno dai calanchi dell’Ascensione fino a Campolungo. I terreni, per lo più coltivati a grano ancora da mietere, di Porchiano, Colle del Gallo, Appignano, Case Rosse fino a Poggio di Bretta, Fosso Riccione e Cartofaro furono invasi da giganteschi sciami di fameliche locuste. I venti mediterranei avevano eccezionalmente spinto i celiferi ortotteri dal nord-Africa fino al Meridione italiano.
Qualche eccezionale nugulo di cavallette si spinse dalle campagne fin nel cielo del centro di Ascoli, dove si mobilitarono fra i primi Settimio Armellini e Nino Aleandri per aiutare con le loro conoscenze i contadini delle zone colpite a liberarsi degli sgraditi ospiti. I due avevano fatto esperienza in materia attraverso le pubblicazioni propagandistiche di regime delle Cattedre ambulanti dell’agricoltura successivamente divenuti Ispettorati agrari. La lotta per salvare i raccolti dalla voracità delle locuste si protrasse per mesi mettendo in campo diverse armi di difesa e sterminio. Pattuglie di tacchinotti e galline faraone, ghiotti di questi insetti, furono sguinzagliate sui terreni di battaglia. L’utilizzo nefasto dell’arma a doppio taglio chimica nelle coltivazioni era ancora di là da venire, ma si pensò anche alla nafta come difesa, diluita nell’acqua e quindi irrorata a protezione delle colture. Ma in virtù dell’antica saggezza contadina di allora, furono preferite da tutti i coltivatori le catture degli insetti con sacchi a strascico.
Giacomo Pichinelli, che aveva una armeria in via Trento, assoldò diversi giovani “mercenari” per affiancare i contadini nei rastrellamenti sui terreni. I dannosi nemici invasori così imprigionati a migliaia nei sacchi di iuta, venivano quindi tostati per farne mangimi per le galline. Una bella lezione di sviluppo ecosostenibile ante litteram. Una soluzione ecocompatibile che non viene dai professoroni di Cambridge, ma dai contadini analfabeti, dalle scarpe grosse e cervello fino, di Poggio di Bretta. Testimonianze dell’epoca, raccolte dal benemerito mensile di vita picena Flash edito da Vincenzo Prosperi, racconteranno dei forti rumori, simili a quegli degli opifici, quelli prodotti da miriadi di cavallette intenti a pasteggiare nei campi. Una lotta che ebbe seguito poi nel distruggere anche le uova delle cavallette, ad evitare successive infestazioni autoctone.
Lodato Sant’Emidio da Treviri, pluridecorato nei millenni sul campo per la protezione della città dai terremoti, scampati alla locuste, quando un vaccino vincerà, finalmente, anche questo maledetto Covid19 che ci opprime, resterà poca roba da fronteggiare delle altre bibliche piaghe d’Egitto. E il genere umano, contateci, sarà così bravo a costruirselo da solo, in casa, qualche altro nuovo e letale autoflagello. Niente altro gli riesce così bene da quando ha scoperto il Progresso.
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