di Andrea Pietrzela
Probabilmente si sarebbe trasferita lo stesso prima o poi, ma un cambio così repentino non lo immaginava neanche lei. Oggi Lucia Piccinini è un tecnico sanitario di laboratorio biomedico dell’Azienda ospedaliera universitaria di Padova. Ieri, Lucia lavorava nel laboratorio biomedico dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli, la città in cui è nata e cresciuta. Poi il Covid 19 ha reso necessario il suo contributo altrove.
Circa un mese fa, quasi da un giorno all’altro, Lucia ha salutato colleghi, amici e parenti ed è partita per abbracciare una realtà totalmente nuova e sconosciuta: «Non c’è niente di coraggioso nella mia scelta – ha spiegato – certo non ero contenta di lasciare il laboratorio di Ascoli né tutti i miei affetti. Ma non avevo paura del Coronavirus, perché diciamolo: è più o meno presente, ma è ovunque. Sapevo solo che questa era la scelta giusta da fare».
Molto decisa e con le idee chiare. Lucia è stata così anche con noi: con chiarezza e disponibilità, ci ha raccontato come si svolge la vita in un laboratorio biomedico durante un periodo di pandemia come questo. Lucia ci ha spiegato come si analizza un tampone Covid, ci ha illustrato i problemi che ci sono attualmente con il tracciamento dei contagiati si è soffermata sull’importanza delle misure di prevenzione.
I TAMPONI – «Io, nello specifico, mi occupo di immunometria. I miei nuovi colleghi sono stati molto disponibili e mi hanno fatto sentire a mio agio sin da subito, in un ambiente per me totalmente nuovo. Dopo la prima settimana, è stata chiesta a tutti la disponibilità per effettuare quella che è la fase “preanalitica” dei tamponi Covid, in quanto i soli settori di microbiologia e di biologia molecolare non riuscivano a smaltire moli di lavoro così elevate. Io ho dato la mia disponibilità, così come il 90% di tutto il laboratorio».
Le moli di lavoro esattamente quanto sono elevate in un periodo come questo? Quanti tamponi Covid vengono analizzati ogni giorno?
«Non conosco esattamente i numeri perché non sono di quel settore, ma penso che si arrivi all’analisi giornaliera di circa 5.000 tamponi».
Come viene analizzato ogni tampone all’interno di un laboratorio?
«La prima fase, una volta completata quella preanalitica che è composta da verifiche di prassi, è quella dell’inattivazione del virus, che permette poi l’estrazione dell’acido nucleico (RNA) del virus del tampone. La fase di inattivazione viene effettuata da tecnici che devono gestire “manualmente” il campione, quindi con le dovute precauzioni, mentre dalla fase di estrazione in poi si utilizzano strumenti di ultima generazione. Mentre l’RNA viene estratto, si prepara il “mix di reazione”, cioè la fase che permette di amplificare l’eventuale presenza del virus. Una volta eseguita l’amplificazione, si può verificare la presenza o meno del Covid andando ad incrociare i risultati con quelle che vengono definite le “curve di amplificazione” specifiche del Coronavirus».
L’INCIDENZA – Per Lucia i tamponi non sono la soluzione a tutti i mali. Anzi al “male”. «Purtroppo ancora non si ha visibilità su una delle variabili più importanti della ripresa dell’epidemia che è l’incidenza, ovvero il numero di casi quotidiani. I casi accertati non sono una misura reale del fenomeno, ma dipendono soltanto dal numero dei tamponi che vengono fatti ogni giorno». È impossibile dunque riuscire a contare tutti coloro che il virus colpisce: i tamponi ne rappresentano soltanto una parte. Per questo Lucia predica prudenza. «Bisogna tornare alla normalità con il rischio più basso possibile. Sarebbe un disastro per tutti se le misure di distanziamento sociale venissero eliminate e se l’epidemia ripartisse da capo. Serve molta pazienza da parte di tutti».
LA PREVENZIONE – Lavorare a stretto contato con un virus che ha ucciso migliaia di persone non deve essere facile. Ma per Lucia «la paura non c’è dal momento in cui si fanno le cose con la testa. È importante essere coscienti di qualsiasi cosa si faccia. Nel momento in cui si utilizzano e si rimuovono correttamente i dispositivi di protezione come mascherine e guanti, si rispettano le distanze, si lavano spesso le mani e si tengono gli ambienti puliti, come facciamo in ospedale, il rischio a mio parere si abbassa notevolmente. Paradossalmente – continua Lucia – il problema per noi si pone di più nel momento in cui lasciamo l’ospedale, quando si vedono persone senza mascherina o con la mascherina sotto al mento o persone che usano i guanti per qualsiasi cosa senza mai gettarli. Ogni protezione non ha un’efficacia eterna, bisogna cambiarli il più possibile. Inoltre invito tutti a non uscire senza una reale necessità. Posso capire che sia snervante stare chiusi in casa da un mese a questa parte, ma al momento è l’arma di difesa migliore che abbiamo contro il diffondersi di questo virus». Parole d’oro che diventano ancora più forti se dette da chi ogni giorno si trova faccia a faccia con il Coronavirus.
Ma Lucia non è solo solo biomedicina. Durante la Quintana, da anni sfila come arciere nel corteo della Piazzarola, il suo Sestiere. «In cuor mio spero che presto si risolva tutto. Sarò la prima a ripartire per partecipare alla Quintana. Sempre forza Piazzarola!».
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