di Walter Luzi
25 Aprile. Giorno di festa e della Memoria. Soprattutto dei giovani martiri che hanno scritto, con il loro sangue, la Storia della Resistenza. Ma le loro storie, come quella di Emidio Rozzi, spesso non raccontano di ardimentose imprese belliche. Ma “solo” di amore per la Libertà e di grande coraggio. Come tantissimi altri caduti della Resistenza Emidio Rozzi non ha visto riconosciuto il proprio estremo sacrificio con una via, o una scuola, o una piazza che porti il suo nome. Fino a quei primi, fatali, giorni di ottobre del 1943 non aveva mai imbracciato un fucile e, forse, nessuno nel consegnarglielo, gli aveva neanche spiegato bene come andava usato.
A San Pietro di Colle San Marco furono in molti i giovanissimi come lui a rispondere senza esitazioni al richiamo romantico, periglioso ed eccitante della Resistenza. Il suo antifascismo fino a quei giorni si era limitato ad una profonda antipatia per il federale del paese, un prepotente legittimato dalla sua ostentata camicia nera ad ogni abuso. Ma ora c’era da difendere la propria terra dai tedeschi invasori, provare a rialzare la testa, ritrovare l’orgoglio, la dignità, riconquistarsi, soprattutto, la libertà. La miseria era tanta a casa di Emidio Rozzi. Il padre Guido e la mamma Domenica erano contadini. Proprio in quel periodo avevano avuto la concessione di poter coltivare nuovi terreni sul pianoro di Colle San Marco. Una speranza condita di fatiche immani per tentare di sfamare i tanti figli: Maria la primogenita, e poi i più piccoli Vincenzo, Luciano, Luisa, Rinaldo ed Ernesto. La prima ha ventitre anni, l’ultimo tre.
Emidio ne ha ventidue, e grazie ad un posto di lavoro che si è trovato al Palazzo dei Capitani dà una bella mano in famiglia. I fratellini gli corrono incontro festanti quando ogni sera torna a piedi dalla città, perchè nella sua bisaccia riporta sempre, per loro, qualche pagnottella di pane. Lungo le tante mulattiere che salgono verso Colle San Marco si arrampicano, guidati da fascisti ascolani, anche i tedeschi, quel 3 ottobre del 1943. Sono truppe scelte del battaglione Goering, gebirgsjäger, cacciatori di montagna, molto esperti e altrettanto bene armati. Il loro accerchiamento a tenaglia è una morsa mortale per i partigiani ascolani trucidati alle Vene Rosse, in località La Croce e per i contadini di San Pietro sorpresi alle spalle sul pianoro di Colle San Marco. Emidio Rozzi quel pomeriggio era stato mandato a fare rifornimento d’acqua alla fonte di Picc’ Rusc’, dietro alla casa che porta lo stesso nome, vicino al fosso Gran Caso. In quella casa Domenico e Cristina Calcagni hanno già iniziato ad aspettare il ritorno del loro Giovanni che dal fronte russo non tornerà mai più. Hanno sentito rumori di autocarri e polvere salire dalla valle, e voci sicure di tedeschi in arrivo. Sono a caccia di banditen, come li chiamano loro.
Cristina prova a dissuadere Emidio che torna dalla fonte carico di borracce piene di acqua fresca. «Non tornare al pianoro, mettiti in salvo – lo scongiura – i tedeschi stanno arrivando. Nasconditi finchè sei in tempo». Emidio non sta nemmeno a sentirla. Sul pianoro ci sono i suoi amici che lo aspettano, con le sue borracce piene di acqua fresca per dissetarsi. E poi, finalmente, ci sarà il nemico da affrontare. Corre Emidio con le sue borracce piene e il suo moschetto che non userà mai, giù per il sentiero verso il pianoro. E verso il suo destino. In quella casa di Picc’ Rusc’, quello stesso giorno, il partigiano Carlo Grifi, un medico a letto in preda alla febbre, verrà freddato a colpi di pistola da un sottufficiale tedesco. Sotto quel letto, nascosti e terrorizzati, insieme ad altri bambini, c’erano anche Rinaldo, Vincenzo ed Ernesto Rozzi, i fratellini di Emidio.
Catturato, Emidio Rozzi verrà fucilato insieme ad altri partigiani il giorno dopo a Pagliericcio, nel vicino teramano. I loro cadaveri li ritroveranno vicini, otto giorni dopo, in un fosso. Le spoglie di Emidio riposano nel cimitero di Ascoli, insieme a quelle di tutti i martiri della Resistenza ascolana. La meglio gioventù ascolana di quegli anni. Che seppe scegliere subito la barricata giusta, senza calcoli di convenienza, senza aspettare di vedere prima come si metteva, senza porsi il problema di come sarebbe potuta andare a finire.
25 aprile. Giorno di festa e di commemorazioni solenni. Almeno prima del Coronavirus. Stavolta niente cerimonie ufficiali, discorsi, piccheti d’onore, corone d’alloro. Una sola, deposta dall’A.N.P.I. al Sacrario di Colle San Marco basterà. Ma l’onore dovuto ai martiri della Resistenza è un dovere morale da tramandare ai nostri bambini.
Il Covid-19 ha cancellato gran parte di una generazione che vissuto sulla propria pelle quegli anni. Quella che ha scritto, forse senza neanche saperlo, o immaginarlo, le pagine della Storia più edificante del nostro Paese. Scavato le fondamenta della nostra Costituzione. La Memoria deve essere tramandata. Resistenza ora e sempre. Ieri al nazifascismo, oggi alle stesse ideologie che hanno solo cambiato nome e look. Ora e sempre, nel ricordo e salvaguardia di quei valori, nobili e irrinunciabili, che hanno ispirato la rinascita, civile e democratica, del nostro Paese dopo l’ultima guerra mondiale. Fa strano parlare di Libertà, in questo giorno, in tempi di Covid-19. Il virus ci ha privato proprio di lei, il bene principale, ma, anche in questo caso c’è di che riflettere. Colle San Marco oggi si sarebbe riempito fino all’inverosimile, come ogni anno, di orde chiassose e indisciplinate di giovani e giovanissimi.
I prati sarebbero rimasti, alla fine, completamente coperti di rifiuti di ogni genere. Ma in pochi, pochissimi avrebbero saputo riferire almeno qualche nome dei tanti partigiani caduti, o di qualche fatto della Resistenza picena di settantasette anni fa. Quelle due medaglie d’oro al valor militare che nobilitano i gonfaloni del Comune e della Provincia tutta di Ascoli Piceno, rischiano di rimanere senza alcun valore se dimentichiamo. Il silenzio e la pace senza precedenti di Colle San Marco in questo giorno, devono aiutarci a ricordare meglio, ora e sempre, il sacrificio, e gli ideali, di tanti giovani di allora. Come Emidio Rozzi.
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