Una bella storia nel peggiore dei momenti, dove il Coronavirus è stato relegato a spunto per raccontare di come una famiglia già unita, di un piccolo paese dell’entroterra marchigiano, si stringe intorno ad una di loro, Agostina, che si ammala.
Motivo per ricordare a tutti quanti sia difficile vivere la malattia, tra tanti dubbi e timori per qualcosa che si conosce ancora troppo poco.
Occasione per scoprire, e volerla condividere, la grande umanità che si cela dietro tute, cappucci, occhiali e mascherine del personale sanitario del ospedale Covid del Piceno, il “Madonna del Soccorso” di San Benedetto.
Momento da sancire perchè oggi, 3 maggio, Agostina ha compiuto gli anni e li ha festeggiati nel reparto dei non critici dell’ospedale, di cui pochi giorni fa aveva sperimentato la fase più dura, in terapia intensiva. Con l’abbraccio virtuale, che la sua famiglia non le ha fatto mancare, e quello reale di chi l’ha curata.
Ecco la testimonianza integrale di un componente della famiglia di Agostina.
«Metti un paesino sperduto dell’entroterra marchigiano, dove si parla come Neri Marcorè quando legge un post di “Degrado Post-mezzadrile”, dove le famiglie hanno un soprannome e ci si conosce con il nome della casata piuttosto che con il proprio cognome.
E poi metti una numerosa famiglia unita, fortemente legata da un sincero e profondo affetto.
Una grande famiglia dove lo zoccolo duro sono cinque fratelli: Agostina, Renata, Rita, Paola e infine Sandro (affinché non arrivava il maschio in famiglia non si smetteva di provarci!).
Infine metti il Covid 19. Che nessuno in quel paesino sperduto avrebbe mai creduto arrivasse e ancor meno i cinque fratelli. Invece il Coronavirus inaspettatamente arriva e colpisce la prima sorella. La reazione a questa notizia è stata naturalmente unirsi di più, più di quanto questa famiglia non lo fosse già.
Lo abbiamo sentito dire tante volte ai telegiornali, ai concerti dalle proprie case, durante gli applausi sui balconi ma viverlo… Eh mbe’… Viverlo è diverso.
Ci siamo stretti davvero come potevamo. Messaggi e chiamate fino a notte inoltrata. Ricerche di notizie da dentro l’ospedale, cercando canali anche non ufficiali per sapere qualcosa. Tutti con il cuore sospeso ma con una grande speranza. Poi arriva la notizia che i parametri non migliorano. Che continuano a fare ossigeno ad alti flussi e che la NIV non basta più. Si rende necessaria la terapia intensiva.
Solo che un posto in terapia intensiva nell’ospedale in cui è ricoverata non c’è. Va trasferita al primo ospedale limitrofo che ha un letto disponibile. Inutile dire che la speranza viva dei giorni precedenti si opacizza e la paura invece diventa sempre più nitida.
Poi finalmente sappiamo la destinazione, l’ospedale “Madonna del Soccorso” di San Benedetto del Tronto.
Se c’è qualcosa di veramente oltraggioso in questo virus è proprio la condanna di non potersi avvicinare nemmeno lontanamente al capezzale del proprio congiunto, vedere l’ambiente in cui è costretto ad essere ricoverato per via della malattia. Ma la voce di un’infermiera diventa per noi come acqua nel deserto.
Ci fa sapere che Agostina è arrivata e che è in mani sicure. Per noi è già tantissimo. La paziente migliora, ogni giorno le notizie sono una piccola luce in più e – sempre senza cantare vittoria – la speranza torna a caratterizzare le chiamate e i messaggi di noi parenti.
In questo ospedale. Il primario di terapia intensiva (Tiziana Principi, ndr) è una dottoressa determinata e competente di cui leggiamo buoni giudizi anche grazie ad un articolo di un quotidiano on line (il riferimento è all’articolo di Cronache Picene, leggi qui, ndr) che riporta notizie locali, uscito – combinazione – pochi giorni dopo il ricovero!
Il nostro spirito di gratitudine verso l’ospedale “Madonna del Soccorso” era già grande, anche perché la nostra cara esce dalla terapia intensiva e viene trasferita al reparto cardio pneumologia Covid, dove resta circa una settimana, e ieri , 2 maggio, al Geriatrico Covid.
Ed è qui che oggi, domenica 3 maggio, la nostra cara compie gli anni.
Non potevamo darci pace e non potevamo non mandarle un segno della nostra presenza e vicinanza. Tutti insieme abbiamo realizzato un video-messaggio di auguri e lo abbiamo girato alla mail dell’ospedale. Le infermiere del reparto lo hanno fatto vedere alla paziente e poi ci hanno rimandato delle foto e un video-messaggio di ringraziamenti e festeggiamenti per quanto possibile in un reparto Covid.
Questo scambio tutto virtuale ha scatenato in noi emozioni tutte reali. Abbiamo sentito la grandezza dell’empatia umana. Così palpabile!
Come può accadere questo anche tra perfetti sconosciuti? Come può l’uomo appassionarsi al destino di un altro uomo totalmente estraneo?
Se ci si sofferma a riflettere è veramente sorprendente e magnifico quando ci si riconosce intimamente fratelli in nome del Mistero che tutti ci abbraccia e ci vuole qui, ora.
Abbiamo tante volte ringraziato gli infermieri di questa guerra al Covid 19 ma ora per noi quegli infermieri hanno dei volti, sarebbe meglio dire “degli occhi” visto che il resto del volto era coperto dalle mascherine.
Ma dentro a quegli occhi abbiamo trovato una familiarità. Abbiamo trovato profonda, commovente, vera umanità».
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