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Io, infermiere sul fronte Coronavirus
«Il momento più brutto?
La nostra collega contagiata»

GIORNATA DELL'INFERMIERE - Sante Cicconi, responsabile della Posizione organizzativa del Dipartimento di Emergenza, racconta la sua esperienza umana e professonale. «Penso che tutte le componenti di Area Vasta abbiano lavorato bene. Il volto distrutto dopo 4 ore con mascherina e scafandri. Nessuno si è tirato indietro. La professione dell'infermiere è bellissima»
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Sante Cicconi (al centro) con la dottoressa, la caposala e le colleghe del Pronto Soccorso del “Mazzoni” di Ascoli

di Franco De Marco

Ma lei consiglierebbe a un giovane la professione infermieristica anche dopo il Coronavirus?

«Certo che sì. E’ una professione bellissima anche se, dal punto di vista economico, non è molto gratificante. I medici curano la malattia, il cuore, il cervello o un altro organo, noi infermieri curiamo la persona a 360 gradi anche da un punto di vista umano e non solo sanitario. La gratificazione nel dare aiuto ad una persona che ha bisogno è infinita».

Risponde con queste significative parole alla domanda Sante Cicconi, 59 anni, fino al 2010 caposala del Pronto Soccorso di San Benedetto, per oltre 20 anni, poi responsabile della Posizione organizzativa del Dipartimento di Emergenza Ascoli-San Benedetto dell’Area Vasta 5.

Nell’emergenza Coronavirus è in prima fila. Da lui, in sostanza, dipende la gestione di oltre 300 operatori, tra infermieri, oss e altre figure non mediche. Oggi, 12 maggio, nella “Giornata internazionale dell’infermiere”, Cronache Picene ha raccolto le impressioni di Sante Cicconi che ha vissuto, giorno dopo giorno, l’emergenza Coronavirus dai momenti più drammatici a quelli odierni in cui i reparti di terapia intensiva si stanno svuotando,  tanti contagiati guariscono i nuovi positivi sono a zero.

L’infermiera Giuseppina lascia l’ospedale festeggiata da tutti i colleghi

In questo periodo ha mai avuto paura? «Certo. Ho avuto paura. Soprattutto perchè il Coronavirus era uno sconosciuto. Però se difronte al pericolo la reazione comune è scappare, noi infermieri siamo tarati per la gestione delle situazioni più difficili. E quando sei difronte ad un malato pensi solo alla sua salute. Anzi più grave è la situazione più ti senti impegnato. Una sfida alla malattia».

Come ha vissuto l’emergenza Covid 19 sotto il profilo umano e professionale? «Beh, è stata una sfida che penso che abbiamo vinto grazie al buon lavoro di tutti: dalla dirigenza dell’AV5 ai medici, agli infermieri e a tutte le altre figure. Nel Piceno siamo stati fortunati ad aver avuto più tempo rispetto ad altri territori per prepararci. Grazie al contributo di tutti c’è stata un’efficace organizzazione».

«A San Benedetto abbiamo subito destinato la stanza 19 ad accogliere i malati sospetti, sono stati installati due container, organizzato al meglio il reparto di Terapia intensiva diretto dalla dottoressa Tiziana Principi . Siamo stati tutti reattivi. Ho visto colleghi distrutti dopo che per 4-5 ore di lavoro avevano portato mascherine, scafandri e altri pesanti dispositivi di sicurezza. Ma nessuno si è tirato indietro. Anzi molti si sono offerti di lavorare sul fronte Covid-19. Tutti si sono impegnati al massimo».

«Dal punto di vista umano è stata un’esperienza molto gratificante. Più che in altre occasioni  noi infermieri ci siamo dovuti occupare dei malati come persone con l’impossibilità, per i ricoverati, di vedere i familiari e anche di comunicare con i propri cari. Siamo stati molto vicini a questi pazienti. Un’esperienza bellissima dal punto di vista umano».

rianimazione ospedale Covid

Il reparto Rianimazine del “Madonna del Soccorso”

Il momento più brutto? «Quando abbiamo saputo che una nostra collega (Giuseppina, ndr),  un’infermiera esperta, è risultata contagiata. Contagiata non all’interno dell’ospedale, dove  non si sono verificati contagi, ma quando è andata a prendre a casa un malato che non aveva i sintomi del Covid-19. Siamo stati tutti molto vicini a lei. Le abbiamo dimostrato tanto calore. Giuseppina ce l’ha fatta. L’altro giorno ha lasciato l’ospedale e abbiamo festeggiato il momento».

Questa infermiera è diventata un po’ il simbolo della vittoria sul Coronavirus. Sante Cicconi non pronuncia mai la parola “eroi” ma medici e infermieri sono davvero “eroi” senza enfasi.

Dal punto di vista organizzativo, per il suo ruolo, qual è stato il momento più delicato? «Il reperimento dei dispositivi di protezione. All’inizio, con i primi casi, non c’era alcun protocollo. Poi però sì. Posso dire che nessun operatore del Dipartimento di emergenza ha dovuto lavorare senza protezione. Non è stato facile. Penso con tutta sincerità che dal punto di vista organizzativo, parlo naturalmente di tutta l’Area vasta, non si poteva fare di più.Tutti hanno lavorato bene».



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