di Giovanni De Franceschi
Ce l’ha con i catastrofisti che avevano preventivato 150.000 persone in terapia intensiva a giugno. E che ora, a suo dire, stanno puntando sull’autunno. «Certo che potrebbe esserci una seconda ondata, ma un conto è stare attenti e un altro è quasi augurarselo, l’importante comunque è non farsi trovare impreparati come all’inizio».
Così Massimo Clementi, jesino, ordinario di Microbiologia e Virologia al San Raffaele di Milano. Abbiamo parlato con lui, in prima linea sin dall’inizio dell’emergeza coronavirus, della situazione attuale.
Professore, le Marche sono entrate nella cosiddetta fase zero. Possiamo stare tranquilli?
«E’ un ottimo segnale di sicuro, significa che il virus circola poco. In questa prospettiva direi che nei prossimi mesi siamo avviati a una riduzione notevole dell’epidemia. Poi però per arrivare alla fase di zero assoluto servono 28 giorni consecutivi senza alcun nuovo contagio. In Europa solo la Slovenia al momento ha raggiunto questo valore».
Quanto potrebbe incidere l’imminente apertura tra le regioni su una nuova diffusione del virus?
«Non inciderà se le persone rispetteranno le regole: distanziamento sociale, uso di mascherine e guanti, attenzione all’igiene. Certo i catastrofisti, quelli che dicevano che a fine giugno saremmo arrivati a 150mila malati in terapia intensiva, hanno dovuto battere in ritirata e stanno ripiegando sull’autunno come fase di una possibile ripresa».
A proposito di autunno, quanto è probabile una seconda ondata?
«Dovremo essere molto bravi, anche io sono in ansia per una possibile ripresa, ma un contro è essere attenti, un altro è quasi augurarselo come qualcuno fa. Questi tipi di virus non amano le temperature calde e i raggi Uv, quindi si abbassano nei mesi estivi e possono riprendere a circolare nei mesi più freddi. La differenza è che non dobbiamo farci trovare impreparati come la prima volta».
E come dovremmo prepararci?
«Dobbiamo essere pronti ad attivare le vedette sul territorio, isolare a casa e fare i tamponi a tutti i contatti per contenere i piccoli focolai che si potrebbero verificare. Fondamentali saranno i medici di base. Con queste attenzioni si potrà controllare l’epidemia qualora dovesse tornare».
E le Marche secondo lei sarebbero pronte?
«Credo di sì se questa strategia sarà programmata bene, ma non spetta a me decidere».
E’ possibile che questo virus stia mutando e diventando meno aggressivo?
«In primo luogo c’è da dire che un virus non appena arriva all’uomo dà il peggio di sé, poi si innesca un processo di co-adattamento tra virus e uomo. In secondo luogo c’è che questi sono virus che possono mutare, anche se ancora non abbiamo visto una mutazione così importante da farci dire che sia qualcosa di diverso da quello di questo inverno. Però stiamo vedendo che le infezioni di questi giorni hanno una carica virale molto più bassa e per questi virus significa che cambia anche la malattia che si associa all’infezione. Adesso non c’è la parte finale più grave dell’infezione, quella che portava per esempio alle polmoniti interstiziali. A metà marzo su 100 pazienti che arrivavano al San Raffaele, 80 andavano in terapia intensiva. Adesso ne arriva uno al giorno e lo rimandiamo a casa».
Per qualcuno sembra che la movida sia il male assoluto adesso, quanto è pericolosa in realtà?
«Dipende sempre dalla sensibilità di ognuno. Di sicuro non mi piace l’idea di questi controllori della movida, questi spioni che girano non si sa bene con quali compiti, cosa dovrebbero fare: moral suasion, prediche in mezzo alla strada ai ragazzi? Così come è stato brutto negare agli studenti anche l’ultima giornata di scuola, che si sarebbe potuta svolgere all’aperto con tutte le misure di sicurezza del caso e che sicuramente in un anno terribile come questo, sarebbe stata una bellissima occasione. Questo testimonia la mentalità repressiva che c’è alla base. Io lavoro da 40 anni con i ragazzi e li ho sempre trovati molto responsabili, quindi sarebbe stata meglio una campagna informativa come fu per l’Hiv piuttosto che gli spioni per strada».
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