di Federico Ameli
Dopo aver analizzato due romanzi “ascolani”, seppur per motivi diversi, come “L’acerba vita” di Franco Cordiale e “Gli occhi degli orologi” di Giorgia Spurio, ci spostiamo in Riviera per conoscere più da vicino le sorti, quantomeno locali, di un genere letterario che nella nostra società non sta certo vivendo i suoi giorni migliori, ma non per questo privo di esponenti brillanti e valore, la poesia.
Lo faremo in compagnia di Enrico Maria Marcelli, poeta ventisettenne nato a San Benedetto e stabilitosi ormai da qualche tempo nella vicina Martinsicuro, che a fine 2018 ha dato alle stampe la sua prima silloge poetica, “Il verso libero li ha stanati tutti!”, pubblicata da Arsenio Edizioni, che gli è valsa diversi riconoscimenti importanti, tra cui il premio di miglior giovane poeta nella decima edizione del Premio letterario nazionale “Città di Grottammare” 2019 e, proprio qualche mese fa, il Premio Letterario Internazionale “Salvatore Quasimodo”.
Laureato in Lettere e Filologia moderna all’Università di Macerata, Enrico coltiva per la poesia una passione sbocciata sui banchi di scuola. «Mi considero un grande amante dell’arte, in tutte le sue forme» racconta l’autore. «La mia vocazione poetica è un’eredità della mia infanzia e adolescenza, mi sono innamorato della poesia anche grazie ai miei familiari, che erano soliti leggermi dei componimenti. Ho avuto la fortuna di avere degli insegnanti esigenti ma molto competenti, in particolare al liceo, con la mia professoressa di italiano e latino che ha avuto il merito di farmi scoprire il mondo dei classici.
Poi, una volta all’Università, mi sono appassionato alla poesia novecentesca: ogni secolo porta con sé una ventata di innovazione nelle modalità espressive dell’arte, ma personalmente ritengo il Novecento il secolo di rottura per eccellenza, in cui hanno trovato espressione discorsi poetici inediti e in un certo senso rivoluzionari».
Una raccolta ricca e composita, che consta di oltre cinquanta componimenti in cui riescono a trovare collocazione alcuni tra i temi più noti e gettonati del genere poetico, rivisitati, ovviamente, dal punto di vista di Marcelli.
«Le tematiche sono quelle tipiche della poesia lirica classica» conferma il poeta «ma c’è spazio anche per qualche elemento più spiccatamente “contemporaneo”».
Accanto all’amore, all’amicizia e alla morte, trovano spazio infatti anche componimenti dedicati ad una riflessione sul genere poetico, vere e proprie metapoesie che non risparmiano qualche attacco, neanche troppo velato, alla critica letteraria moderna e alla maniera di fare poesia che più va di moda al giorno d’oggi.
La posizione dell’autore nei confronti di alcuni suoi colleghi più o meno illustri è evidente già dal titolo piuttosto emblematico scelto per la raccolta, “Il verso libero li ha stanati tutti!”.
«Attraverso il mio libro ho cercato di prendere le distanze da un certo tipo di poesia “graziosa”, come l’ho definita nel secondo componimento della silloge, che oggi è particolarmente in voga. Ritengo che, rispetto a un tempo, la poesia sia stata svalutata, e le responsabilità vanno ricercate anche nell’universo della critica letteraria, che ormai preferisce appoggiarsi su basi solide e sicure, rifiutandosi di continuare a ricercare la novità o particolari tipologie espressive e di scrittura. In questo senso, per me il verso libero riveste un ruolo fondamentale nella storia della poesia.
Sono stato anch’io un appassionato di scrittura metrica e mi sono cimentato in prima persona con quella “barbara”, ma sono fermamente convinto che, a dispetto di quanto si possa pensare, sia molto più facile seguendo uno schema metrico piuttosto che facendo ricorso al verso libero. Quest’ultimo impone al poeta di confrontarsi con il ritmo e le sillabe, dando agli autori una maggiore libertà di espressione ma allo stesso tempo affidando loro il compito di far convivere all’interno di uno stesso componimento versi di diversa lunghezza, il che è tutt’altro che semplice».
Stando alle parole del giovane poeta sambenedettese, il verso libero è in grado di mettere a nudo le opinioni e i sentimenti di chi scrive, ritagliando un ruolo chiave per le figure di suono e, più in generale, per il ritmo del componimento.
A proposito di ritmo, la capacità di Marcelli di conferire ai suoi testi una spiccata musicalità è stata notata anche da Filip po Davoli, che ha curato la prefazione della raccolta.
«Ho apprezzato molto le parole di Davoli» afferma Enrico «sia dal punto di vista letterario che da quello più strettamente personale. Certo, il ritmo è una componente importante all’interno della mia poesia, ma credo molto di più nell’importanza del messaggio veicolato dal testo piuttosto che nella sua musicalità.
In quest’ottica, condivido il pensiero di Ugo Foscolo, “sdegno il verso che suona e che non crea”: si può anche far suonare un verso, ma evitando di concentrarsi solo su questo aspetto, come fanno invece i verseggiatori della domenica. Il mio primo obiettivo resta quello di creare, e in questo mi sento molto vicino ad Amelia Rosselli, le cui poesie hanno una musicalità estremamente funzionale alla condivisione di un messaggio con il lettore».
Lo stesso Davoli parla di un vero e proprio percorso di maturazione del poeta che si snoda tra le pagine della raccolta, in cui sono confluite esperienze letterarie diverse e composite. «Se dovessi indicare i miei punti di riferimento nel panorama nostrano» dichiara Marcelli «farei senza dubbio il nome di Dante e Petrarca, i capifila della nostra tradizione letteraria. Ho seguito tutto lo sviluppo della poesia italiana, ma come ho già avuto modo di dire da qualche anno a questa parte sto approfondendo più da vicino i poeti novecenteschi.
Volendo fare qualche nome, Vittorio Sereni, Camillo Sbarbaro, Alfonso Gatto e Salvatore Quasimodo, oltre alla già citata Amelia Rosselli, sono i miei autori italiani di riferimento, ma da vero e proprio “ghiotto” di arte e letteratura guardo anche alle letterature degli altri Paesi. In particolare, apprezzo molto gli esponenti della Beat Generation americana, così come le poesie dei “maledetti” francesi, gli haiku giapponesi e, più in generale, tutte le esperienze neoavanguardiste».
Nonostante la grande emozione che, anche a due anni di distanza dalla pubblicazione della silloge, traspare dalle sue parole, Enrico non si nasconde, anzi, svela l’intenzione di dar vita a una seconda raccolta di poesie. «Non ho mai smesso di scrivere componimenti poetici e a breve spero di arrivare a un numero congruo per poter poi procedere a una selezione da proporre agli editori. Ci tengo a precisare che non ho mai fatto poesia per vivere: mi rendo conto che, come per la filosofia, il mio settore non sia tra i più fortunati in questo periodo e l’obiettivo non può essere certo quello di un ritorno economico. Con le poesie sono cresciuto e, indipendentemente dalla fama o dal denaro, voglio continuare a crescere: mi basta sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo e riconosce un qualche valore alle mie parole». E di fronte a un entusiasmo e a una passione tanto forti, non possiamo che augurare le migliori fortune artistiche e personali a un giovane come Enrico, nella speranza che nel prosieguo della sua carriera possa continuare a togliersi importanti soddisfazioni, scrivendo versi “che creino” piuttosto che limitarsi a “suonare”.
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