Il softair dei “Blackwater”, tra guerra simulata e dialogo con le istituzioni

ASCOLI - Da diversi anni l’associazione Blackwater contribuisce alla diffusione del softair, nella sua versione “Mil-Sim”, sul territorio. Grazie al presidente Alessandro Egidi, conosciamo più da vicino le caratteristiche di questa particolare attività, che da tempo si batte per un riconoscimento che tarda ancora ad arrivare
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di Federico Ameli

Da qualche settimana a questa parte, l’obiettivo di “L’altro sport” è quello di andare scavare nell’ampio e spesso sottovalutato patrimonio sportivo locale per dare voce a tutte quelle attività ed esperienze che in genere fanno fatica ad emergere. Questa volta, però, cercheremo di fare un’ulteriore passo avanti, una sorta di “strappo alla regola” per raccontare una disciplina che avrebbe tutte le carte in regola per far parte della nostra rubrica, ma che tuttavia da anni ormai vive confinata nel limbo tra il mondo dello sport e quello del semplice associazionismo.

«No, al momento il softair non è considerato uno sport in Italia – conferma, con un po’ di rammarico, Alessandro Egidi, presidente dell’Asd Blackwater Tactical Simulation Team Soft Air di Ascoli, una delle principali associazioni presenti sul territorio – in quanto la legge impone che uno sport, per essere tale, debba avere un regolamento vagliato dal CONI e che sia uguale in tutta Italia, requisiti che al momento il softair non può garantire, in parte per le tante varianti di gioco diffuse, in parte per la natura molto particolare dell’attività, dato che fucili e mimetica non sono stati ancora sdoganati nel nostro Paese».

Una certa incertezza a livello di regolamento e una società non ancora pronta a riconoscere nella guerra simulata una componente che vada oltre il semplice aspetto ludico rappresentano quindi i principali ostacoli che si frappongono tra il softair e l’esclusivo club delle attività sportive. Eppure, negli ultimi tempi qualche passo avanti è stato fatto. «Qualche anno fa – spiega Egidi – è stato istituito il registro del Coni, di cui abbiamo necessariamente dovuto far parte per non perdere dei benefit. La nomenclatura ufficiale ora è “tiro dinamico sportivo con arma air soft”, di fatto si tratta ancora di una disciplina non regolamentata, ma della cui esistenza il CONI ha preso formalmente atto. Esistono diverse associazioni che dialogano con il Comitato e le istituzioni, come ad esempio lo CSEN, che ha una divisione softair di cui noi la Blackwater fa parte, ma ancora siamo lontani dal giungere a una soluzione».

In una situazione giuridica piuttosto complessa, sarebbe da augurarsi che, quantomeno a livello pratico, le cose diventino più semplici. Beh, non è esattamente così. «In base all’approccio e alle sfumature che si vogliono dare al gioco – prosegue Alessandro –  il softair si divide in tre branche: la prima è quella esclusivamente ludica, tipica del gruppo di amici che, anziché giocare a calcetto, scelgono di passare una domenica a sparare col fucile a pallini. Una seconda tipologia è quella estremamente “sportiva”, in cui la componente simulativa e militaresca è minore rispetto all’attenzione data all’attività fisica. Dotati di fucili più piccoli e leggeri, si affrontano scenari per lo più montuosi e si gioca per quattro o cinque obiettivi da quindici minuti ciascuno, con la parte dedicata allo scontro a fuoco che conosce una sensibile riduzione. Una sorta di “trekking col fucile”, come lo definiamo a volte anche noi per scherzare».

E arriviamo infine al softair dei Blackwater, il Mil-Sim. «Si tratta di un approccio più tecnico – ci dice Alessandro – sviluppatosi ormai da qualche anno negli Stati Uniti e che negli ultimi tempi sta prendendo piede anche da noi. Lo spunto viene dalle simulazioni militari – Mil-Sim, appunto – messe a punto dalle compagnie militari private e dallo stesso esercito americano per le esercitazioni delle truppe, dando vita a degli scenari realistici con trame cinematografiche o tratte dal mondo dei videogiochi. In questo modo viene meno la componente agonistica, dato che a fine partita non viene decretata la vittoria di una o dell’altra squadra, ma ne guadagnano la tecnica e l’aspetto simulativo».

Un po’ come in un vero e proprio gioco di ruolo, le diverse fazioni in gara si calano alla perfezione nella parte, cercando di ricreare in tutto e per tutto la reale atmosfera degli scontri armati. E se l’immedesimazione è fondamentale, con tanto di abbigliamento ed equipaggiamento ad hoc – non è strano assistere, dopo qualche ora di gioco, a scenari radicalmente stravolti rispetto alla trama di partenza. Un po’ come avveniva ne “Il gladiatore” di Ridley Scott, in cui i cartaginesi di Massimo Decimo Meridio riescono ad avere la meglio sulle truppe di Roma, con buona pace dell’imperatore Commodo. «Nelle nostre partite – spiega il presidente dei Blackwater – non c’è un arbitro vero e proprio, ma una direzione evento che, qualora il gioco dovesse ristagnare, agisce da vera e propria terza fazione dando una scossa agli equilibri in campo. Può succedere di tutto: non sono esclusi tentativi di corruzione, ribellioni e accordi col nemico, l’unico limite è quello posto dalle norme di sicurezza».

Tra le principali, sono proibite azioni isolate, è obbligatorio essere sempre essere in compagnia di un altro operatore ed è necessario indossare degli occhiali protettivi per evitare che uno dei proiettili di plastica biodegradabile, di sei millimetri di diametro e altrimenti innocui, possa procurare danni irreparabili alla vista. Accortezze che nel 2020 i Blackwater sono ben felici di osservare pur di portare avanti la loro passione, che nel caso di Alessandro va avanti ormai da 16 anni, quando il rapporto tra il softair e la legalità era molto più incerto e precario di quanto non lo sia oggi.

Alessandro Egidi

«Avevo 16 anni e praticavo karate con un certo successo – racconta il presidente – tanto da allenarmi con ragazzi più grandi di me. Attualmente gestisco un negozio di informatica e già all’epoca adoravo mettere le mani su computer e affini: uno dei compagni con cui avevo legato di più, da poco maggiorenne, mi chiede di installare un videogioco sul suo computer. In quell’occasione ho conosciuto sua sorella, che poi è diventata la mia ragazza, e qualche mese più tardi, esattamente l’8 giugno 2004, hanno iniziato a parlarmi del softair. All’epoca eravamo al limite della legalità, ma non perché non volessimo rispettare le regole, bensì perché il decreto a cui facciamo riferimento oggi è solo del 2010. Esistevano però le associazioni: siamo entrati formalmente a far parte di un gruppo di ragazzi più grandi, pur continuando a giocare da soli. Tutto è iniziato nella Casa Santa Maria di Pagliare, su un campo gentilmente messo a nostra disposizione da Padre Dino, che in un’occasione, per difenderci dalle lamentele che iniziavano a circolare in Chiesa, ci ha anche definiti “i soldati del Signore”».

Lezione di teoria del presidente Alessandro Egidi

Una volta chiuso il cassetto dei ricordi, è tempo di parlare del presente e del progetto Blackwater. «Il nome nasce da una compagnia militare privata americana – ora nota come Academy -, abbiamo preso spunto da loro anche perché in questo modo abbiamo risparmiato tempo e fatica per la creazione di logo e affini, troviamo già il loro materiale brandizzato nei negozi» scherza, ma fino a un certo punto, Alessandro. «Siamo una quindicina di ragazzi e ragazze sparsi in tutta la Vallata; la sede legale dell’associazione invece è a Controguerra per poter competere nel campionato organizzato dalla Federazione Italiana Giochi Tattici, che è su base regionale, con i nostri amici abruzzesi, che hanno una visione più simile alla nostra rispetto ai colleghi delle Marche, dove la variante “trekking” è più diffusa».

La cura dei dettagli, si sa, fa la differenza, e in questo i Blackwater non transigono: «Lo scopo della nostra attività – spiega Egidi – è quello di perfezionare e padroneggiare la tecnica in tutto ciò che facciamo: una gara Mil-Sim può durare dalle 6 alle 45 ore e arriva a coinvolgere anche 150 persone su un campo di battaglia, per cui è fondamentale prepararsi nel migliore dei modi a ogni evenienza: non basta solo tirare il grilletto, bisogna sapere quando e come farlo. Per questo motivo, all’interno della nostra associazione abbiamo dato vita a un vero e proprio percorso didattico di dieci livelli – una rarità nel panorama nazionale – una prassi che abbiamo preso in prestito dalle arti marziali. Gli operatori più esperti tengono delle lezioni alle reclute, che poi vengono valutate ad ogni livello con un esame che prevede una parte teorica e una parte pratica, entrambe valutate su una scala che va da 1 a 15. Un po’ come all’università, per essere promossi bisogna totalizzare 18 punti, assegnati da un’apposita commissione interna. Per fare un esempio, io sono un assaltatore e negli anni mi sono appassionato alla componente “urbana”, che racchiude tutto ciò che avviene in un edificio: irruzioni, porte, finestre, cambi d’arma e angoli, ho scritto anche dei manuali per l’associazione. È vero che per legge, non essendo il softair uno sport riconosciuto, non esistono istruttori qualificati, ma dopo sedici anni di pratica credo di avere qualcosa da dire».

Una esercitazione pratica

«Si tratta di un percorso finalizzato alla promozione e alla crescita dei ragazzi – prosegue Alessandro – la cui gerarchia ha poi ovviamente dei risvolti all’atto pratico, dato che, anche alla luce dell’elevato numero di persone coinvolte nella battaglia, c’è bisogno di una serie di figure di coordinamento sul campo. La nostra vision è quella di giocare con il giusto equilibrio tra lo spirito della tipica partita domenicale tra amici e la mentalità ultracompetitiva di alcune associazioni, che impongono ai propri ragazzi di prepararsi adeguatamente anche sul piano fisico. Noi personalmente la vediamo diversamente, ci piace perfezionare il gesto tecnico prendendo spunto dai più bravi, che sia studiando nel dettaglio azioni militari vere e proprie o anche solo guardando un film».

Un’attenzione ai particolari, quella messa in campo dai Blackwater, che inevitabilmente finisce per avere dei risvolti nella vita di tutti i giorni. Secondo Alessandro, «alcuni sviluppano una particolare mentalità logistico-organizzativa. Il softair ti mette continuamente di fronte a delle scelte e a delle situazioni complesse, per cui la capacità di problem solving è essenziale per poter andare avanti. Fare associazionismo ti porta ad avere a che fare con gli altri e a pensare sempre come parte di un gruppo e non come singolo operatore. Proprio per questo forse, e anche per il fatto che il denaro non è ancora riuscito a insinuarsi nel circuito, alla fine di ogni partita c’è sempre un terzo tempo fatto di divertimento e condivisione».

Visto che di sport si parla e che da anni ormai il softair lotta per un riconoscimento ufficiale da parte del CONI, viene da chiedersi quali siano le caratteristiche che avvicinano questa disciplina al mondo degli sport “ufficiali”. Il presidente dei Blackwater non ha dubbi, anzi, rilancia con un suo personale appello alle istituzioni, affinché la sua passione possa fare quello step atteso ormai da troppi anni. «Nel softair – spiega Egidi – si viene inseriti in una squadra in cui ognuno ha il suo ruolo specifico, come nel calcio o in altri sport di squadra. Per fare qualche esempio, tra noi c’è chi ha un equipaggiamento più leggero, tipico delle prime linee, e chi invece si occupa del fuoco di copertura. Ci alleniamo una volta a settimana – per recuperare il tempo perduto nel corso del recente lockdown, dopo l’ok dello Csen abbiamo aggiunto una seduta supplementare – in uno dei due campi a nostra disposizione, uno a Pagliare e l’altro al confine tra Appignano e Castignano, ci mettiamo impegno e passione.

È necessario però che il softair venga riconosciuto come sport, anche perché di discipline “violente” sulla carta ce ne sono già tante. Penso alle arti marziali: se fino a vent’anni fa si gridava senza motivo allo scandalo per i kimono, nel 2020 è stupido demonizzare le mimetiche per via delle guerre del secolo scorso. Viviamo in una società aperta, almeno sulla carta, in cui nessuno dovrebbe permettersi di giudicare lo sport praticato da un’altra persona sulla base di una violenza peraltro solo presunta. Per tranquillizzare i genitori dei minorenni abbiamo provveduto a stampare i casellari giudiziari di noi iscritti dimostrando che siamo tutti incensurati, ma la nostra è una situazione davvero insostenibile. Creiamo una commissione di esperti che stabiliscano un regolamento una volta per tutte, diamo una possibilità a tutti di diventare arbitri o istruttori, facciamo sì che il nostro diventi uno sport a tutti gli effetti». In attesa che le istituzioni si pronuncino in tal senso, il softair è riuscito a trovare spazio in una rubrica dedicata agli sport. Una magra consolazione, nella speranza che il futuro possa riservargli soddisfazioni migliori.

 

 

 


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