di Francesca Aquilone
Oggi “Senti come” sposa il gusto della cucina francese poiché ci porta a scoprire il giovane talento dei fornelli Mattia Tarli, 24 anni, partito da Ascoli per coniugare l’amore per la cucina e la passione per le lingue.
Mattia, dove hai studiato?
«Ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Ascoli. Alle medie mi piacevano le lingue, volevo fare il linguistico ma c’era sempre da considerare lo spettro di un lavoro futuro. Mi piaceva cucinare e alla fine ho deciso di coniugare le due cose.
Ad Ascoli c’è un po’ l’idea che l’Alberghiero sia una scuola di serie B, che non si studi abbastanza e non sia paragonabile alle altre: la passione e l’impegno fanno davvero la differenza e questo vale per tutte le scuole, quindi partire con un pregiudizio così forte è sbagliato».
Com’è nata la passione per la cucina?
«Il merito va sicuramente a zia Iolanda, che non c’è più e alla quale sono molto legato. Immaginatela come una tipica nonnina ascolana che si immerge nei fornelli durante le festività. Da lei ho imparato i piatti tipici tradizionali marchigiani e ascolani. Le sue pietanze erano talmente buone che decisi di riprovare a cucinarle per mia sorella a casa e poi la passione è esplosa».
Come sei arrivato in Francia?
«Un po’ grazie alla mia professoressa di francese, la Di Marco dell’Alberghiero, una persona dal cuore d’oro che ha innescato qualcosa in me. Dall’altra parte voglio essere uno chef e la cucina francese, dopo quella italiana, è la più raffinata, ricercata, e ha una pasticceria imbattibile.
Per arrivare dove sono ora mi sono spaccato la schiena e lo dico con orgoglio. A 19 anni subito dopo la maturità mi sono goduto l’ultima estate e a novembre, 4 giorni dopo gli attentati, ho deciso di venire a Clermont-Ferrand, capoluogo della regione di Alvernia. Sono rimasto 6 mesi il primo anno, ero giovanissimo e sono durato sei mesi».
Come mai?
«Nel primo lavoro ho avuto degli italiani come titolari e non si sono comportati bene, mi hanno preso in giro, essendo per me la prima esperienza. Ero pagato in nero, rimandavano il contratto tanto che me ne sono andato durante un servizio.
A quel punto ho portato il mio curriculum a mano perché all’estero è importante farsi vedere. Ho trovato un posto come commis, la base della piramide gerarchica in cucina, in un locale italo-spagnolo. Mi è stato utile per la lingua, poiché parlavano solo francese e inoltre, dopo tre mesi, volevano farmi un contratto a tempo indeterminato ma non ero pronto, volevo tornare in Italia anche perché avevo lì la ragazza».
Tornato in Italia cosa hai deciso di fare?
«Ho lavorato in Trentino e successivamente sono tornato ad Ascoli e qui ho preso un po’ di batoste. In Francia mi ero abituato a certe cose come un tot di stipendio e il rispetto del monte ore.
In Italia la cucina è un settore dove tutti vengono indottrinati a pensare di dover lavorare h24 per una miseria e non è assolutamente così! Secondo la mia esperienza c’è la cultura dello schiavismo, soprattutto nelle riviere. Un esempio? Mi avevano proposto di lavorare come chef a San Benedetto senza avere mai nemmeno un giorno di riposo in 6 mesi di attività.
Non esiste che un essere umano possa lavorare in questo modo, e non si tratta di accontentarsi!».
Dove lavori ora?
«Sono secondo cuoco presso Auberge du Lac de Guéry – Hotel Mont Dore, nella regione dell’Alvernia dove ho fatto due stagioni di otto mesi. Ero aiuto cuoco e poi sono diventato secondo chef».
Il sistema meritocratico mi ha portato a guadagnare di più e a sentirmi realizzato, in 4 anni ho fatto qualcosa e ne sono felicissimo».
Parliamo appunto di cucina, un tuo cavallo di battaglia?
«Mi piace cucinare tutto e amo moltissimo la pasticceria. Diciamo che non si può scegliere tra le mille cose che esistono e che sai fare…è come se chiedessi ad un genitore 1 o genitore 2 qual è il figlio preferito».
Cucina italiana o cucina francese?
«Ora cucino piatto francesi e prettamente regionali, ma sono riuscito ad ammorbidire lo chef che viene dalla vecchia scuola francese e ha cucinato in grandi ristoranti come il Fouquet’s sugli Champs-Élysées. Ad esempio, ora in hotel si possono mangiare i miei ravioli fatti a mano ripieni.
Sto portando un po’ di influenza italiana! Durante le cene del personale mangiamo pizza pasta e ragù, ma ancora c’è un po’ di reticenza nell’inserire i nostri piatti per un pubblico francese.
Una cosa che faccio nello specifico per Ascoli qui in Francia è friggere le nostre olive e cremini alla festa delle associazioni di Massy, con la quale siamo gemellati. Negli ultimi due anni a settembre questa festa porta molte aziende ascolane ad esporre i propri prodotti come vino e olio».
Sogno nel cassetto?
«Per ora mi piace stare in cucina, ma prendo quel che viene: voglio fare più esperienza possibile, viaggiare, scoprire nuove culture, a tal proposito sono stato in Thailandia, Giordania, Europa. Se in futuro continuerò ad amare la cucina vorrei aprire qualcosa, ma non penso ad Ascoli perché è una realtà particolare, forse a Parigi».
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