di Walter Luzi
A giugno fu assunto. A giugno se ne va in pensione. Nel mezzo trentotto anni filati di lavoro per la Barilla. La sua Barilla. Domenico Cannella aveva ventitrè anni nel 1982, quando iniziò a lavorare nella prestigiosa azienda emiliana, che apriva una nuova unità produttiva nella terza Zona Industriale di Ascoli, quella di Campolungo. Un rapporto di lavoro che, nel suo caso, travalica gli aspetti puramente economici e giuridici, per investire quelli di una etica professionale rigorosa, intesa proprio nel senso letterale della parola. Dal greco èthos: carattere, modo di comportarsi. Una dedizione assoluta al suo lavoro, quella di Domenico Cannella, unanimemente riconosciuta, e riconoscibile, dopo che a lui, a pochissimi altri, che ha legato, indissolubilmente, la propria vita a quella dello stabilimento ascolano della Barilla.
LA TERRA DI CAMPOLUNGO – Piana, fertile, ricchissima di acqua grazie al fiume Tronto e ai canali di irrigazione costruiti negli anni Cinquanta, aveva sempre sfruttato, e sfrutta ancora oggi, sia pure in minima parte, la sua straordinaria vocazione agricola. Potenzialità mortificate dalle scelte politiche miopi di sviluppo economico del territorio. Ed amaramente rimpiante nei decenni successivi, con il progressivo inaridimento dei livelli occupazionali. Proprio da li’, dalla terra, viene Domenico. Famiglia contadina. Con orgoglio. Con fierezza del sapere antico, tramandato, con lo scorrere immutabile delle stagioni, di padre in figlio. Con valore e fatica. Tanta fatica. Con amore mai tradito, o rinnegato. Questo è lavorare la terra. Il padre Filippo e la mamma Giovanna, con l’aiuto dei vecchi di famiglia, ne coltivano parecchia proprio lì, a Campolungo, sopra il Villaggio del Fanciullo.
Qualche anno dopo, nel 1986, si trasferiranno poco più a monte, sui terreni delle Coste. Centoventimila metri quadrati coltivati per lo più a grano e fieno. Perchè di fieno Filippo Cannella, uomo generoso e mite, tenace e valente, signore di animo e di modi nonostante le umili origini, ne ha bisogno per i tanti animali della sua stalla. Ne arriverà a contare, fra le più ricche della zona, fino a una quarantina, fra mucche da latte e tori da ingrasso. Domenico, classe 1959, è il primogenito. Poi arriveranno Gabriele, oggi imprenditore edile, nel 1962, Pina, dipendente delle Poste, nel 1968, ed Enrica infine, oggi impiegata alla Pfizer, nel 1976.
FRA INDUSTRIA E AGRICOLTURA – Domenico Cannella frequenta il triennio all’Istituto professionale ex Inapli, specializzandosi in elettromeccanica. Trova subito lavoro. Prima con la Emic, che lo spedisce anche in giro per l’Italia, e poi, nel 1980, alla ArchLegno. Nel mezzo, 1978, il servizio di leva militare obbligatoria, in Aeronautica, fra Taranto, Pratica di Mare e Potenza Picena.
L’INIZIO – Il 7 giugno 1982 fa il suo ingresso in Barilla nel gruppo dei venticinque primi assunti per avviare le prove, quasi artigianali, di prima produzione. «In quei giorni – ricorda Domenico – stavano montando i primi forni di cottura. Apparecchiature d’avanguardia di altissima tecnologia, all’epoca, nel settore, e che ancora oggi, dopo quasi quarant’anni, continuano a sfornare quarantamila merendine all’ora. Di quel primo gruppo siamo rimasti in azienda ancora in quattro: io, Maurizio Simonetti, Ennio Fioravanti e Luciano Corimbi. Frequentammo corsi di formazione, soprattutto igienica, sanitaria e sicurezza fino a metà luglio, poi entrammo nel vivo della produzione. Rompevamo le uova a mano per i primi impasti. Non è come oggi che ce le portano, già pulite, a dieci quintali per volta. E così sfornammo le prime crostatine dello stabilimento».
INDUSTRIA, MITI E METEORE – Era stato Pietro Barilla in persona a volere questa fabbrica. La prima di bakery del gruppo lontano da Parma. Per chi odia gli anglicismi parliamo di prodotti da forno, merendine. A Rubbiano facevano solo pani speciali e grissini. Quella di Ascoli rimarrà l’unica fabbrica nel centro Italia dei nove siti produttivi Barilla oggi attivi nel nostro Paese. Sulle terre fertili di Campolungo, ora Terza Zona Industriale in fortissima espansione, sorgono già solo la Manuli, la Archlegno, la YKK, e il Maglificio Allieri.
Nella seconda, quella di Marino del Tronto, stanno entrando nella storia dell’economia del territorio la Farmitalia Carlo Erba e la Sabelli. Sono passati vent’anni dalla inaugurazione della prima zona industriale, quella di Castagneti, una sorta di via Gluck ascolana violentata dal catrame e dal cemento sotto la spinta dell’Industria che irrompe. Qui pochi i miti, come la Ceat, che pure chiuderà di lì a poco anche lei, traumaticamente, i battenti. Più spesso meteore occupazionali, sirene ammaliatrici, portatrici di un benessere economico per il territorio troppo spesso disatteso. La Barilla è invece fra le poche grandi aziende destinate a lasciare il segno con investimenti, assunzioni, crescita verticale di produzione e fatturati.
I RICORDI – Andrea Zanforlin è stato il primo direttore dello stabilimento ascolano. Lo guiderà, come ogni capo dovrebbe imparare da lui a fare, fino al 1988, quando lo lascia per passare alla Direzione Generale del gruppo. Domenico Cannella lo ricorda senza nascondere una punta di emozione. Zanforlin, un altro mito della Barilla, veniva dalla Papà Barzetti poi acquisita dal gruppo di Parma, e si dilettava anche di pittura. Grintoso, decisionista, sempre sul pezzo in azienda è scomparso appena un mese fa. Oggi al suo posto, nona gestione del Plant in trentotto anni, c’è Alejandro Murillas. Largo ai giovani. I suoi due predecessori hanno stabilito primati in azienda. Francesco Grieco è stato il più giovane responsabile di produzione, a ventisei anni, e poi direttore del Plant, a trentuno. Cinzia Bassi la prima donna a capo di uno stabilimento Barilla in Italia. Tutti hanno raccolto eredità pesanti.
DOVE C’E’ BARILLA C’E’ CASA – Anche Federico Fellini ha contribuito, con la regia degli spot pubblicitari televisivi, alle fortune planetarie del marchio Barilla. Che fa capolavori anche nella Comunicazione. Lo stabilimento di Ascoli nasce per alimentare il fiorente mercato dei prodotti del Mulino Bianco. Quelli del piccolo mugnaio e del ritorno alle cose buone del passato, che furoreggiano sull’onda degli spot in tv, e vanno a ruba nei supermercati. «Dopo le crostatine di esordio in quella prima estate di lavoro del 1982 – ricorda ancora Domenico Cannella- a ottobre iniziammo con il pan carrè. La primavera successiva, nel 1983, sfornammo invece i primi saccottini, con le trottoline e i dondoli. A metà degli anni Ottanta, con la linea quattro, arrivano i prodotti pai: tortini di pastafrolla arrotolata sulla frutta a pezzetti. Nel 1988 usciranno i primi plum cake mentre nel 2007 partirà invece la linea biscotti. La progressiva automazione delle linee ridurrà purtroppo anche la necessità di operazioni manuali, con relativi, inevitabili, riflessi negativi sull’occupazione, soprattutto nel confezionamento dei prodotti». Negli anni Novanta la Barilla di Ascoli tocca il record di organico con trecentootto dipendenti. Oggi sono circa duecento. La linea pan carrè è fra le più potenti del mondo con una produzione di trentacinque quintali a ora. Nello stabilimento ascolano si sfornano un milione di crostatine ed altrettanti di nastrine e plum cake ogni giorno.
LA FAMIGLIA – Nel 1977 Domenico conosce una ragazzina di Cimagallo, dalle parti di Fonte di Campo. Lui è appena maggiorenne, lei ha sedici anni e il suo stesso sorriso. Timido, ma caldo e genuino. Si chiama Anna, e lavora anche lei la terra. Facce pulite e stesse profonde radici li accomunano e li legano subito. Anche lei ha cominciato a guidare un trattore agricolo quando con i piedi riusciva a stento ad arrivare a premere i pedali. Anche lei è cresciuta gattonando sotto le pance delle mucche nella stalla. Si piacciono. Si innamorano. Si sposano nel settembre di cinque anni dopo. In Cattedrale arriva anche il direttore Zanforlin a fare di persona gli auguri. Lui e Cannella si conoscono solo da tre mesi, ma si stimano reciprocamente, come se lavorassero insieme da sempre. Questione di feeling. E poi Domenico è il primo dipendente della Barilla di Ascoli a sposarsi. Nel 1983 nascerà Stefano, oggi conducente delle ambulanze del 118 e consigliere comunale. Tre anni dopo arriva anche Barbara, che ha una attività di estetista. Entrambi hanno gli occhi azzurri di nonno Filippo. E da lui non hanno preso solo quelli. L’altruismo, la generosità, il buon cuore sono patrimonio di famiglia. In quegli anni la Barilla raddoppia superfici e linee produttive. In contemporanea anche il papà di Domenico si trasferisce nella nuova casa immersa nella campagna di Poggio di Bretta. Anna rimane la sua principale collaboratrice nei vari lavori agricoli. Immense la considerazione reciproca e la passione per la terra che accomunano suocero e nuora. Soddisfazioni che cancellano ogni più dura fatica. Uomo di altri tempi Filippo. Quando bastava solo guardarsi negli occhi e stringersi la mano per siglare un contratto. Quando, veramente, essere valeva molto più di avere. Morirà prematuramente in circostanze tragiche nel 1993. Fra le vittime di un misterioso incidente dalla dinamica oscura, troppo frettolosamente stabilita, ma mai del tutto chiarita e accertata. Due morti durante un taglio di alberi, nel fitto di un bosco dell’Acquasantano. Una macchia impenetrabile che ancora custodisce il segreto di quelle morti. I dubbi, mai fugati, su una presunta verità di parte. Che hanno aggiunto ancor più rabbia impotente allo strazio per la tragedia.
CAPOTURNO – Nel 1987 Domenico Cannella viene promosso Capoturno. La sua vita cambia. Il lavoro con la nuova mansione lo assorbe infatti ancora maggiormente. Sei giorni su sette e spesso anche di più. Le ore lavorative possono dilatarsi anche fino a dieci, e qualche volta non bastano. E poi c’è sempre da dare una mano anche in campagna nel poco tempo libero che resta. «Con la modernizzazione si sta un po’ “americanizzando” tutto -commenta Domenico- la nostra azienda è sempre stata una grande famiglia. Da parte della proprietà, la famiglia Barilla, Pietro, ma anche i suoi figli Guido, Luca e Paolo, c’è sempre stato un occhio di riguardo per i dipendenti, soprattutto per gli operai. Ma il mondo cambia e quindi cambiano anche le aziende. Il nuovo porta a settorializzare le attività. A restringere i campi di competenza. Una volta invece tutti facevano tutto, e dovevano saper far bene tutto. Vengo da una scuola in cui sotto il Direttore di stabilimento erano in pochi: Qualità, Officina, Personale e i Capiturno per la Produzione. Basta. Queste poche figure dovevano occuparsi di tutta la vita dello stabilimento. Oggi si sta burocratizzando un po’ troppo, come fosse una specie di Ministero. Noi capiturno durante le notti invece eravamo responsabili di tutto ciò che accadeva nello stabilimento: qualità e quantità delle produzioni, sicurezza degli operatori, materie prime, confezionamento, spedizioni».
IL RICAMBIO GENERAZIONALE – Con il ricambio generazionale mutano inevitabilmente anche le mentalità degli operai e dei dirigenti in Barilla. Ci vogliono anni e anni, secondo Domenico, per riuscire ad acquisire l’esperienza necessaria in ogni frangente.
«Una cosa che dispiace è che i più giovani pensano di essere nati sapendo già tutto -commenta- non capiscono che ci vogliono anni per padroneggiare tutte le situazioni. Anche se sei un ingegnere. E che di imparare non si finisce mai. Non basta una laurea per vivere la fabbrica. Non bastano le conoscenze tecniche o scientifiche, bisogna anche saper rapportarsi con le persone. Soprattutto con i dipendenti più anziani, che avrebbero sempre da insegnartelo qualcosa».
Nel 1995 Zanforlin gli affida una missione impegnativa. Smantellare alcune linee produttive nello stabilimento di Verona e reinstallarle in quello di Castiglione delle Stiviere. Ovviamente senza penalizzare le produzioni. E’ la prova della piena fiducia che si è guadagnato sul campo. Ben riposta. Un “terrone” spedito a comandare fin lassù, nel profondo nord, con tutto ciò che ne consegue. Ma con Domenico il risultato, Zanforlin lo sa bene, è sempre garantito. Anche se non è laureato, e nemmeno diplomato. Basta metterci l’anima nel proprio lavoro. Che vale più di ogni pezzo di carta. Subito dopo Cannella deve fronteggiare anche qualche serio problema di salute, superati, con l’aiuto di Dio, brillantemente.
«Oggi credo si stia perdendo la passione per lo stabilimento -continua ancora Cannella- per il lavoro che si fa, per i prodotti. Lavoriamo tutti per vivere certo, per quello stipendio puntuale a fine mese, ma chi opera in Barilla, secondo me, deve avere anche passione. Soprattutto passione. Passione per un prodotto che finirà in bocca a un bambino, magari di due anni. E’ per questo che nel produrlo devi avere un’attenzione, o, meglio, oserei dire, un amore, particolare. Questo nessuna scuola te lo insegna, ma noi non produciamo bulloni. L’atteggiamento di un operatore, di qualsiasi livello, non può, non deve essere meccanico, ma, invece, quasi morboso. Una crostatina che finisce per terra deve farti male, come uno scarto eccessivo o una confezione difettata che sfugge al controllo. Perchè la tua svista potrebbe causare la perdita di un cliente, seccato e deluso proprio da quella confezione».
LA PENSIONE – Ora Domenico avrà più tempo da dedicare alla sua campagna, alla sua vigna, al suo uliveto, a cui hanno sempre continuato a badare Anna insieme alla mamma. Finché ha potuto. Giovanna ha raggiunto Filippo in Cielo cinque anni fa. Oggi invece tocca a Domenico tagliare un altro bel traguardo. La meritata pensione. Anna, bonariamente, sorridendo lo sfotte: «Ma che hai paura? Pensi che senza di te non le sfornano più le merendine?…». Ci ride amaro su anche lui. Sa che non sarà facile lasciarsi alle spalle qualcosa che si è profondamente amato. Qualcosa che, per lui, è venuto sempre prima di tutto. «No. Lo so. Ma dopo trentotto anni sarà dura per me non varcare più quel cancello, entrare in quella fabbrica che ho visto nascere e contribuito a far crescere». Paola Argia Ucci è abruzzese di Lanciano.
E’ la più giovane Responsabile delle Risorse Umane a ricoprire, a soli ventotto anni, questo ruolo alla Barilla di Ascoli. Al fianco di Cannella, ha vissuto la fabbrica solo negli ultimi anni, ma le sono bastati per farsi una sua idea precisa. «Domenico è la storia dello stabilimento. Ha contribuito con le sue conoscenze, con l’ingegno e la grandissima propositività a costruire questo plant così come è oggi. La sua grinta e il suo carisma nel tempo sono diventati l’esempio da seguire. Concreto, praticone e risoluto, ha fatto della passione per il suo mestiere e dell’attaccamento a questa azienda, la sua vita. Non sarà certo questo suo pensionamento ad allontanare da queste mura il profumo del suo sigaro. A cancellare lo spirito gioioso di questo Capoturno, sempre pronto a correre in aiuto di ogni collega che ne avesse bisogno. Con il camice bianco svolazzante, sempre a cavallo della sua bicicletta». Come un nobile cavaliere di altri tempi. Senza macchia e senza paura. Di lui, e delle sue imprese, si narrerà a lungo.
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