di Federico Ameli
Una nobile realtà dello sport ascolano, con un passato glorioso alle spalle e un promettente futuro davanti a sé. Il presente, però, ha i tratti di una disciplina che negli ultimi anni ha gradualmente perso visibilità e seguito, rischiando di finire nel dimenticatoio a beneficio di attività più gettonate o con un maggiore supporto economico alle spalle. Pane per i denti di “L’altro sport” quindi, che questa settimana ha il piacere di avere come ospite Francesco Fratini, presidente e giocatore della VFL Virtus Ascoli, storica società che dal 1949 pratica il tennistavolo, forse più conosciuto come ping pong. A questo proposito, Francesco ci tiene a mettere subito le cose in chiaro «“Tennistavolo” è la dicitura ufficiale del nostro sport – spiega – e riguarda l’aspetto professionistico, “ping pong” invece solitamente designa il gioco che si fa in compagnia degli amici a livello amatoriale, in spiaggia o in qualunque altro luogo. Ad ogni modo, possiamo dire che da qualche anno ormai “ping pong” ha preso piede anche nell’ambiente».
Una volta archiviata la questione, possiamo addentrarci nel mondo del tennistavolo ascolano. «Sebbene il nostro non sia uno sport molto conosciuto a livello locale – rivela Fratini con un certo e giustificato orgoglio – nei suoi anni d’oro la nostra società ha calcato il palcoscenico della Serie A1. Non solo: oltre ad aver ospitato in tre occasioni la Nazionale italiana, con i suoi 1.000 biglietti venduti in occasione dell’esordio nella massima serie contro il Torino allo stadio Squarcia, la Virtus Ascoli è la società ascolana che ha fatto registrare il maggior numero di spettatori paganti in città, ovviamente dopo l’Ascoli Calcio».
Numeri di una certa importanza per una realtà molto blasonata del nostro territorio, che ha vissuto i suoi momenti migliori a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 e che deve le sue origini alla passione portata avanti già qualche decennio prima da don Giuseppe Fabiani e dai ragazzi di San Pietro Martire. «Il fondatore del tennistavolo ascolano – rivela Fratini – all’incirca negli anni ’30, è stato proprio don Fabiani: è stato lui a portare per primo il nostro sport ad Ascoli, dopodiché nel giro di pochi anni in città si è iniziato a respirare ping pong, specialmente nella zona di San Pietro Martire, il cuore pulsante del tennistavolo ascolano. È lì che sono nato ed è lì che ho iniziato a vedere le prime partite e a giocare in prima persona in una chiesa sconsacrata».
«Ognuno di noi – prosegue – aveva la propria racchetta, è un po’ come se il ping pong ce l’avessimo nel sangue. Arrivato ai 15 anni, sebbene me la cavassi bene anche a calcio, ho deciso di proseguire su questa strada e fortunatamente sono riuscito a togliermi qualche soddisfazione: ho trascorso gran parte della mia carriera ad Ascoli, prima di spostarmi per due anni a Brindisi e per una stagione a Teramo. Alla fine sono tornato in città e ho continuato a seguire da vicino le vicende del tennistavolo ascolano, fino a diventare presidente della società nel 2007».
Una passione che viene da lontano quella di Francesco, uno degli artefici della storica promozione in Serie A1, che adesso dirige da dietro la scrivania – e non solo, dato che la racchetta non l’ha ancora appesa al chiodo – i suoi circa cinquanta tesserati. «Tutti possono giocare a tennistavolo – dichiara Fratini – dato che non ci sono limiti di età. C’è chi, come me, lo fa solo per hobby, ma ci sono anche ragazzi più giovani che possono ancora proseguire sul loro percorso di crescita. In questo senso, siamo davvero fortunati a poter usufruire di una struttura all’avanguardia grazie ai finanziamenti erogati qualche anno fa dalla Federazione Italiana Tennistavolo. Ci alleniamo nell’ex chiesa di Sant’Andrea in corso Mazzini (zona Porta Romana), una “palestra” che mezza Italia ci invidia. Da programma, sono due gli allenamenti tassativi a settimana, il martedì e il giovedì, ma chi vuole prepararsi in modo più approfondito è sempre bene accetto. Parquet, riscaldamento a pavimento, illuminazione e 500 metri quadrati di spazio a disposizione: c’è davvero tutto, anche degli splendidi affreschi che sono stati restaurati nel corso delle operazioni di ristrutturazione, cercando di unire lo sport al recupero del patrimonio artistico della città. A questo proposito, colgo l’occasione per ringraziare i vari assessori allo Sport che si sono avvicendati nelle diverse amministrazioni, che ci hanno sempre offerto un grandissimo sostegno».
A questo punto la curiosità sembrerebbe essere lecita. Campo di gioco molto ristretto, nessun limite di età e un livello tecnico che per forza di cose è andato a calare con il passare degli anni. A cosa serve investire così tanto sull’allenamento in una disciplina che chiunque è in grado di praticare, pur tra alti e bassi, senza una preparazione specifica? Anche in questo caso è bene fare subito chiarezza.
«Come in ogni sport – spiega Fratini – anche nel tennistavolo l’allenamento è fondamentale. Forse dall’esterno non sarà così evidente, ma in partita si macinano chilometri e chilometri: ogni giocatore ha cinquanta metri quadrati da coprire in tutte le direzioni e in maniera successiva e rapida. Di conseguenza, diventa importante lavorare sulla corsa di base e cercare di potenziare il fiato e la muscolatura con esercizi aerobici e il sollevamento pesi, ovviamente senza esagerare. Inoltre, non bisogna sottovalutare la questione mentale: il tennistavolo è uno sport psicologico in cui servono una notevole forza mentale e una grande stima di sé stessi. Per questo motivo, una parte dell’allenamento è dedicata al training autogeno».
Nel nostro viaggio all’interno dell’universo sportivo piceno non siamo certo nuovi a realtà prestigiose, abituate a competere ad altissimi livelli, che però faticano a emergere nell’immaginario collettivo locale, dominato dal calcio e dagli sport “d’élite”. Nessuno è profeta in patria, si sa, ma in questo caso parliamo di una disciplina che vanta un seguito di tutto rispetto a livello mondiale e che in Italia, invece, pare condannata a restare confinata nel limbo degli sport di nicchia.
«Purtroppo – ci conferma Francesco – pur essendo lo sport che ha più tesserati al mondo, in quanto facile da approcciare e poco oneroso, in Italia è poco seguito e di conseguenza poco trasmesso in tv – o viceversa? – ma per fortuna non funziona così ovunque, anzi. Ti faccio un esempio banale: il tennistavolo è una disciplina olimpica e il portabandiera della Germania alle ultime Olimpiadi è stato Timo Boll, un giocatore di tennistavolo, per non parlare della Cina, che storicamente affida la propria bandiera ai pongisti. Da noi una cosa del genere sarebbe impensabile e anche a livello economico c’è un abisso: ai miei tempi c’erano più soldi, anche qui ad Ascoli, e si poteva guadagnare qualcosina, mentre adesso, pur parlando di alti livelli, difficilmente si riesce ad andare oltre lo stipendio medio di un operaio. All’estero, invece, le cifre sono su ben altro livello, specialmente in Paesi come Francia, Germania, Norvegia, Svezia e Danimarca. Qualche anno fa ho assistito a una finale mondiale tra Cina e Germania, c’erano 20.000 spettatori, cifre che in Italia possiamo solo sognare».
Nonostante ci sia ancora molto da fare per restituire la giusta dignità al mondo del ping pong, il presidente della Virtus Ascoli non ha comunque rimpianti per la sua carriera e può a buon diritto guardare con orgoglio al passato «A livello personale – sostiene – ti confesso che è stato un onore per me, ancora giovanissimo, iniziare a girare l’Italia e riuscire ad andare all’estero per giocare a tennistavolo. Negli anni d’oro avevamo l’attenzione della stampa, potevamo vantare uno staff con preparatori del calibro di Armando De Vincentis, come società abbiamo anche ricevuto una medaglia d’oro dal Coni».
Altri tempi, senza alcun dubbio, eppure anche a distanza di qualche anno la Virtus Ascoli continua a togliersi qualche soddisfazione, come la recente doppia promozione della prima e della seconda squadra, rispettivamente in Serie C2 e in D1. Un traguardo che, come ammette candidamente il presidente Fratini, è stato la diretta conseguenza dello stop ai campionati imposto dal coronavirus, ma che la compagine ascolana aveva messo nel mirino già ai blocchi di partenza.
«L’obiettivo dichiarato per la prima squadra era quello di salire di categoria. Avevamo tutte le carte in regola per vincere il campionato, ma abbiamo subito un paio di clamorose battute d’arresto che ci hanno relegato al secondo posto, alle spalle di Camerino. Sarebbe stupido negare che l’emergenza sanitaria e la conseguente promozione automatica delle prime due classificate ci abbiano favorito, ma nonostante qualche passo falso i ragazzi hanno comunque dimostrato di valere la categoria superiore».
Un risultato importante per la storica società ascolana, che in vista della prossima stagione promette di vendere cara la pelle e di proseguire nel percorso di crescita dei giovani pongisti ascolani.
«Stiamo iniziando a guardarci intorno per cercare qualche ragazzo che possa darci una mano. Ovviamente le risorse sono limitate, ma abbiamo sempre avuto dalla nostra la voglia di competere e una grande tradizione sportiva alle spalle. Oltre ai risultati della prima squadra, l’obiettivo resta quello della formazione delle nuove generazioni. Certo, non sarà semplice, anche perché nel mondo del tennistavolo si entra sempre quasi per caso; bisogna avere pazienza con i più giovani, cercando di dar loro gli stimoli e i consigli giusti per continuare a crescere. Quest’anno, ad esempio, abbiamo avuto con noi due ragazzi colombiani di 15 e 12 anni che ci hanno dato una grande mano. Vogliamo dare continuità al nostro settore giovanile nella speranza di riuscire ad allestire, nel giro di qualche anno, una squadra giovane che possa puntare a traguardi più ambiziosi: se ne avremo la possibilità, non ci tireremo certo indietro.
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