di Walter Luzi
Uno dei tanti contrasti, ricorrenti, in questa storia di recupero di luoghi e della loro Memoria. Di amore incondizionato per un territorio e per la sua Storia. Rocchetta. Paesaggio aspro e antica potenza. Passata nell’arco di seicento anni dalla floridezza economica al completo abbandono. Simone Mariani. Giovane e brillante imprenditore attratto dalla campagna, dalla montagna, fin dall’infanzia. Oggi, dopo l’impegnativo cammino di recupero edilizio dell’intera frazione acquasantana intrapreso, Simone e Rocchetta sono diventati una cosa sola. Inscindibile.
«Ero solo alla ricerca di una casetta – esordisce il quarantatreenne capitano d’industria – dove potermi ritirare nei fine settimana oppure ospitare in libertà gli amici». Comincia così a camminare sul nostro Appennino alla ricerca del suo buen retiro, di località speciali, suggestive. E’ un amico ad indirizzarlo verso l’Acquasantano, e Rocchetta in particolare. Un paese fantasma. Completamente disabitato da cinquant’anni. Dal fascino un po’ spettrale, ma di grande presa emotiva. La Natura ha modellato nei secoli il territorio. Rocce erose, plasmate, levigate dal succedersi immutabile delle stagioni, sotto pioggia, sole, vento e neve. L’uomo vi si è adattato, per un millennio almeno, ma certamente più, fra gli stretti sentieri e le pareti a strapiombo. Simone ci arriva con la sua auto. E’ la prima volta. Di mattina presto, prima di recarsi al lavoro, come ogni giorno, nel suo ufficio. Rocchetta sta sopra Tallacano, una decina di chilometri da Acquasanta, una trentina da Ascoli.
«Fu subito amore a prima vista – racconta Simone – rimasi come folgorato da questo paesino completamente abbandonato. Cercavo solo una casa, come detto, all’inizio. Il lavoro per rintracciare tutti i proprietari di quelle che potevano interessarmi è durato anni. Perchè i comproprietari, o eredi, sono molti, e spesso vivono in città lontane, in qualche caso all’estero. L’appetito, come si dice, viene mangiando, e così pian piano si è fatta strada l’idea di rimettere a nuovo l’intera frazione».
Di pari passo comincia studiare, a documentarsi sulla storia di questo antichissimo borgo. Arriva a spulciare persino nei fornitissimi archivi vaticani, da dove vengono fuori cose interessanti. «Intorno al 1600 – rivela sempre Simone – la Villa Rocchetta, perché un tempo quello era il suo rango, superiore, tanto da meritarsi appunto l’appellativo di “Villa”, era il centro più popoloso dopo Acquasanta. Oggi può apparire incredibile che possa aver ospitato fino a quattrocento residenti, o meglio, per dirla con il pio lessico papalino di allora, quattrocento anime».
Il suo legame affettivo, intimo, con questi luoghi si rinsalda sempre più. «Mi ha fatto anche sognare in questi anni – prosegue sempre Simone Mariani – pensare a queste persone che sovente vivevano, di fatto, anche in alcune grotte, perché non potevano questi antri, chiusi dalla sola parete aperta con un muretto di pietre, essere considerate delle vere e proprie abitazioni. Ma caverne murate. Un po’ rimesse di animali, un pò abitazioni. A volte entrambe le cose. Una vita a stretto contatto con gli animali, utilizzati così anche come… impianto di riscaldamento durante la stagione fredda».
Parte il progetto di recupero, intanto edilizio, dell’agglomerato. «Interesserà – illustra sempre Simone – una dozzina di unità immobiliari fra piccole e qualcuna anche molto grande. La più grande di tutte è appartenuta alla famiglia Giachini, che fino al 1900 ha espresso anche il parroco. Al suo interno vi trovava posto anche la scuola di Rocchetta, le botteghe del fabbro e di altri piccoli artigiani».
Il processo di pieno restauro di Rocchetta, ancora in corso, sarà, comunque, lungo e impegnativo. «Reperite le proprietà – prosegue – è indispensabile la ricerca di supporti economici, finanziamenti, perché si tratta di un investimento molto importante. Stimabile nell’ordine di milioni di euro. E che, detto in maniera molto onesta, non ha, al momento, un ritorno economico, realistico e immediato, per gli investitori. Ci muove l’amore, la passione, non certo il business. Abbiamo iniziato il recupero del paese con una sola abitazione, per altro molto bella, che proprio di recente, è stata punto di ritrovo anche per una tappa del Festival dell’Appennino che è tornato a Rocchetta dopo otto anni. E dopo il lockdown».
La Compagnia dei Folli è voluta tornare con il suo spettacolo nella stessa stretta gola di Rocchetta, tappa obbligata lungo l’anello di trekking che la collega con Agore e Piandelloro, tutto all’ombra del monte Ceresa. La gola dei Ciliegi, una location irrinunciabile per due magie, quella della Natura e quella dell’Arte, che si fondono. Le altissime pareti di arenaria, disegnate e scolpite da millenni di erosione, a fare da fondale vivo al palcoscenico naturale della gola. E alla leggenda dei Folli.
«La conclusione dei lavori di restauro a questa prima abitazione – continua Simone – è stato senz’altro il momento più emozionante di questi primi quindici anni di impegno. Solo un primo passo, ma un bel momento davvero».
E il momento più brutto? «Sicuramente dopo gli ultimi terremoti. Le due abitazioni precedentemente ristrutturate ad Agore sono state completamente rase al suolo. Qui avevamo fatto un restauro solo conservativo ma bellissimo, che si era conquistato anche visibilità sulle pagine patinate della rivista specializzata Casantica».
Per Rocchetta si aspettano novità invece sul fronte dei sisma-bonus. «Se ne saprà di più nelle prossime settimane – spiega ancora Simone Mariani – per ora è solo una speranza di apertura di uno scenario che faciliterebbe l’iter finanziario per il recupero edilizio. Io lo definisco minore rispetto ai grandi centri urbani, ma che al tempo stesso è tipico, rappresentativo, caratterizzante dell’Italia».
L’Italia dei borghi e dei piccoli paesi di provincia, che tanto successo riscuotono fra i turisti stranieri. Rocchetta, il sogno di Simone. «Evidentemente vedere lì i miei figli che passano belle giornate insieme ai figli di tanti amici impegnati come me in questa impresa. In estate e in inverno, in un contesto che possa, magari fra dieci anni, tornare ad essere vitale. Popolato come un tempo. Il posto è incontaminato, meraviglioso, e ci puoi fare di tutto: escursioni, passeggiate, raccolta di funghi, tartufi, frutti di bosco. Puoi scarpinare, arrampicare, scorrazzare in mountain bike. Se quando rientri hai anche la connessione a Internet, allora sei in Paradiso. La recente necessità di smart working durante il lockdown ha aperto un mondo nuovo nel lavoro a distanza. L’accesso alla Rete è diventato un’esigenza irrinunciabile».
Come siamo messi sotto questo aspetto a Rocchetta? «Dovrei rispondere con una parolaccia a questa domanda, ma mi limito a dire che siamo messi male. Molto male. E anche telefonicamente parlando non è che le cose vadano meglio. Campo per i telefonini ce n’è solo nelle zone più alte e scoperte del colle. Una nota positiva però c’è . Dopo quindici anni siamo riusciti a farci allacciare alla rete elettrica dall’Enel e, presto, molto presto, grazie all’impegno diretto e concreto del presidente Pino Alati, avremo, finalmente, anche l’acqua potabile. Fino ad oggi siamo andati infatti avanti e indietro con le cisterne riempite in Ascoli anche per le attività dei cantieri. Come i primi pionieri della civiltà».
Carenze che hanno aumentato le difficoltà ambientali e logistiche oggettive. «Si pensi che a causa delle ridotte dimensioni della strada di accesso, che non permette il transito di mezzi pesanti, abbiamo impastato a mano tutto il cemento necessario per i lavori. Un handicap ulteriore, ma, a dirla tutta, può stare bene anche così. Allargarla e rinforzarla avrebbe significato snaturarla. Così com’è ha anche il suo fascino. Per chi vuole vivere questa esperienza, ci sta questa sensazione di avventura, di pericolo quasi, per arrivarci. La prima volta risulta, in effetti, sempre un tantino impressionante. Ma gli altri servizi essenziali sono irrinunciabili. Una grossa mano ce l’ha data anche l’attuale sindaco di Acquasanta, Sante Stangoni, che ci ha messo tanto impegno per risistemare l’unica strada di accesso alla frazione. Un successo, considerando le tante problematiche presenti anche nelle altre, quasi cinquanta, frazioni del Comune».
Il lavoro. Nell’industria di famiglia ci ha messo piede diciannove anni fa, dopo la laurea in Economia alla “Bocconi” e un master in Strategia aziendale. Per passione, non per dovere. Il Gruppo Sabelli oggi ha unità produttive e piattaforme distributive in quattro regioni e in Slovenia. Fattura duecento milioni di euro ogni anno, e conta quasi seicento dipendenti. Anche se lui preferisce chiamarli collaboratori.
Così come preferisce la quiete incontaminata di Rocchetta, borgo amato e ritrovato, alle remote e lussuose mete esotiche per vip. Contrasti. Lo dicevamo in apertura. Gli spacci aziendali nello storico brand ascolano della Sabelli si chiamano “La Bottega di Archimede”. In tanti ignorano il perché di questo nome. Archimede Sabelli è il grande padre fondatore. Classe 1923, novantasette primavere. «E’ sempre il nostro faro, la nostra guida – ne parla così Simone con lo sguardo che si illumina – è stato per oltre mezzo secolo l’uomo che ha costruito, quasi dal nulla, questa azienda, e l’ha portata a dimensioni importanti. Speriamo di esserne all’altezza».
Archimede, di origini molisane, che eredita fin da bambino il patrimonio, invisibile ma inestimabile, dei segreti caseari dal papà Nicolangelo. Archimede, patriarca di altri tempi. Maestri e allievi, una mentalità soprattutto, una visione del mondo, alla Sabelli, di altri tempi. Le fondamenta delle fortune di una industria pure modernissima. Ancora contrasti, appunto. Le due figlie di Archimede, Gioconda e Maria Grazia sono al vertice del Gruppo. La prima, mamma di Simone, sposerà Marcello Mariani, oggi responsabile della produzione. La seconda invece Ermanno Galeati, oggi direttore commerciale.
La Storia della Sabelli di oggi. Con Simone in azienda anche la sorella Francesca, e il cugino, Angelo Davide Galeati. La terza generazione. Il futuro della Sabelli. I loro ragazzi non sanno ancora cosa faranno da grandi, ma sarebbe un peccato se il passaggio di padre in figlio di tradizioni, virtù e conoscenze dovesse interrompersi. La dinasty è tutta qua. E il prossimo anno Sabelli festeggerà degnamente, insieme alla città intera, il suo primo secolo di attività.
«Mio padre era nativo di Mozzano – continua Simone – e in questa frazione, alle falde dell’Appennino, io ho trascorso tutta la mia infanzia. Tanti bei ricordi spensierati di bambino a giocare nel verde avranno senz’altro contribuito a coltivare in me questo amore per la montagna. Mio padre e mia madre poi, in campagna coltivano ancora, con le proprie mani, di tutto. Dalla frutta al miele, alla verdura. Sono stati loro a infondermi, anche geneticamente penso, questa grande passione green».
Il legame e l’amore per la Madre Terra che non vengono mai meno. Industriali agricoltori. Il bello dei contrasti. Come le rocce chiare e lisce contro l’azzurro del cielo, nel verde silente di Rocchetta.
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