di Walter Luzi
Le radici più forti di tutto. Anche di terremoti e pandemia. Francesco Eleuteri ne è la prova. Il quarantanovenne attore romano da dieci anni è venuto a vivere stabilmente a Montegallo. Una scelta di vita, si dice così, ma, nel suo caso, anche professionale. Oddìo, in realtà lui nella “sua” Montegallo ci è sempre tornato fin da piccolissimo, in estate. Ogni anno e in ogni festa comandata.
Qui ci sono tutti i nonni da riabbracciare ogni volta. Quelli paterni, Francesco, dal quale ha preso il suo nome, e Caterina. E quelli materni, Paolo Matteucci e Marianna Mattioli. Tutti con forti e profonde radici, da secoli, piantate nel montegallese. Gente di montagna. I suoi genitori erano emigrati a Roma nel 1961, con una delle frequenti e ricorrenti ondate migratorie economiche verso le città, responsabili dello spopolamento dei piccoli centri di montagna. Il papà Antonio, originario della frazione Forca, è un tecnico di microelettronica che lavora anche agli impianti radar della Marina Militare, mentre la mamma, Anna Maria Matteucci, nata nella frazione Pino, è sarta.
Vanno a vivere a Pomezia, dove Francesco nasce dieci anni dopo.
Talento precoce quello di Francesco. Che si mette presto in luce come imitatore, già all’oratorio della parrocchia di San Michele Arcangelo, primo palcoscenico della sua carriera. «Erano sciocchezze, cose da ragazzi – ricorda Eleuteri – quelle mie prime imitazioni. Una vocazione che già covava in me forse, ma io scoprirò strada facendo di essere interessato molto più alla scrittura che alla recitazione».
Anni intensi quelli della sua adolescenza con i tanti amici e le mille iniziative sociali in parrocchia. Ma poi si cresce. A sei esami dalla laurea molla la Facoltà di Lettere alla “Sapienza”. Il classico colpo di testa. Il primo. A ventiquattro anni, anche abbastanza tardi se vogliamo, si iscrive all’Accademia Internazionale di Teatro di Roma.
«Non avevo alcuna velleità di attore – ricorda ancora Francesco – ero solo curioso di guardare a questo mondo da “dentro”. Invece mi diplomo con il massimo dei voti. Dicevano, loro, fossi anche bravo, e quindi mi ritrovo a fare l’attore. Questo mestiere strano, che faccio per altro con grandissimo piacere».
Una scelta di vita. La prima. Con Montegallo sempre là, fra i monti dell’Appennino marchigiano, ad aspettarlo. Ma ora c’è una carriera di attore da sognare. «E’ una via che ho scelto per essere uomo libero – spiega sempre Francesco – mi piaceva questo senso di libertà che si aveva, rispetto a quello che era canonicamente considerato un lavoro sicuro. Il mitico posto fisso. Questo lavoro è quanto più precario possa esistere, ma mi dava grande libertà. Tutto nasce, ripeto, per amore della scrittura. Che ho continuato a praticare anche durante le mio percorso di attore».
Una vita che non spegne, anzi alimenta ancor di più, il suo amore per i luoghi delle proprie origini.
«Casa, a casa mia, è stata sempre identificata con Montegallo – racconta ancora Francesco – anche se il mio atteggiamento nei confronti della vita è profondamente romano, Montegallo mi regalerà una qualità della vita che è stata una nuova scoperta. Una scoperta tardiva se vuoi, fatta a quarant’anni, per una scelta che prima non avrei mai fatto. Roma era la mia città. Era naturale stare lì, perché gli stimoli di cui hai bisogno, quando sei giovane, sono diversi. Soprattutto se vivi di teatro, di cinema o televisione».
Ma la sua terra di origine già lo ispira. Ha vent’anni quando, a quattro mani, con il suo amico e compaesano Fabrizio Rossodivita, che di anni ne ha dieci di più, scrivono il De bello Montegallico. Raccontano dei loro ritorni a casa d’estate, di personaggi locali che si esprimono in vernacolo montegallese. Il dialetto locale, ricco di consonanti e povero di vocali, come valore aggiunto ad esperienze, favole e canzoni popolari riadattate con ironia tipicamente giovanile. Un gioco per loro riunire nell’opera uno zibaldone di aneddoti. Tutto il ricavato verrà devoluto in beneficienza all’asilo infantile di Montegallo per l’acquisto di materiale didattico-artistico. Come il sipario del teatrino, i microfoni di amplificazione per le recite scolastiche. Il primo impegno a favore della sua terra. A Montegallo Francesco Eleuteri fonda anche una associazione culturale, “Buona la Prima”, composta da amici artisti che si sono innamorati anche loro di Montegallo. Musicisti, attori, di ogni provenienza, a cui Francesco ha saputo trasmettere l’amore per queste montagne.
«Ho portato qui tanti amici del mio ambiente che ignoravano persino che esistesse Montegallo – continua sempre Eleuteri – da Luciana De Falco a Gianluca Ansanelli, da Massimo Massimi a Sergio Viglianese, a Barbara Foria.Una piacevole scoperta per tutti loro. Ho tentato almeno di fare conoscere, in qualche maniera, questa terra. Tentato, perché alla fine reperire fondi per la cultura è sempre più difficile e da solo non ce la fai a portare avanti manifestazioni di un certo livello».
Il contributo di Francesco Eleuteri per la valorizzazione del territorio montegallese è soprattutto artistico. Come il “Premio Fabrizio Rossodivita”, intitolato alla memoria dell’amico prematuramente scomparso nel 2006 a soli quarantasei anni. Rossodivita era stato responsabile delle Teche Rai, e in qualità di grande appassionato di musica aveva lavorato anche a Rai Stereo Notte. Il Premio Fabrizio Rossodivita viene istituito a Montegallo nel 2006, cinque mesi dopo la sua morte. «Il riconoscimento al valore musicale è destinato agli artisti del Piceno più meritevoli – racconta sempre Francesco – che individuavamo nel corso dell’anno». Va avanti per dieci anni, fino al 2016, quando il terremoto prima e la pandemia poi lo bloccano. Ora si conta di riprendere il prossimo anno in occasione del quindicesimo anniversario della sua istituzione.
«La scomparsa di mio padre segna una svolta nella mia vita – continua Francesco – Ero nel pieno della mia attività attoriale, ma avevo già cominciato a rompermi un po’ le scatole. Succede quando, a un certo punto, non fai quello scatto, quel salto di qualità. Mi spiego. Da un punto di vista artistico il Teatro è il massimo, e sotto questo aspetto non mi posso lamentare. Ma si comincia a guadagnare molto di più se fai cinema, o televisione. Cinema io ne ho fatto pochissimo. Televisione qualcosa. Qualche parte in fiction. Distretto di Polizia, via Zanardi. E poi Zelig, qualche ospitata al Maurizio Costanzo Show. Tutte esperienze non precisamente di altissimo livello. Alla fine quello di cui vado più fiero è l’essere finito tre volte su Blob in occasione delle mie partecipazioni al Costanzo show. Si creavano delle situazioni comiche o di scontro che poi sono state riprese, più volte, dagli autori di Blob. Da un punto di vista professionale questo non è molto qualificante, ma ne ho sempre riso».
IL RITORNO A CASA – «Nel 2010 decido di stabilirmi a Montegallo e di darmi totalmente alla scrittura – ricorda sempre Francesco – non voglio più andare in scena. Lascio anche la mia agente, Donatella Rimoldi, mamma del regista Matteo Garrone. Resisto alle sollecitazioni del mio amico Elio Germano che vorrebbe dissuadermi. Qui scrivo tre romanzi di cui uno “Il sangue dei Sibillini” verrà tradotto e pubblicato anche negli Stati Uniti». La Regione Marche gli commissiona un progetto sull’educazione al bere. Alcool. Lui lo trasforma in spettacolo teatrale. Va in scena per la prima volta nel marzo del 2016. Anno fatale.
«Il terremoto ci rompe le uova nel paniere – ricorda – faccio in tempo a beccarmi a Montegallo entrambe le scosse, di agosto e di ottobre. Una vicenda drammatica che ispira anche il mio nuovo racconto “Il Terremoto di Mario”. Ma ormai io non faccio più l’attore. Non mi interessa più. Divento solo un narratore di queste storie. Che è poi l’essenza del Teatro. Ci sono diverse stagioni nella vita di ciascuno di noi».
I suoi amici romani dell’ambiente artistico, che gli vogliono bene, dicono che ha trovato la sua cifra stilistica. Un po’ alla Marco Paolini. «Le proposte non mi sono mancate, ma in realtà faccio solo le cose che mi interessano – spiega Francesco – racconto storie, accadute davvero, come in Terremoto di Mario, o che invento io. Con qualche digressione. Quest’anno, a maggio, ad esempio, è uscito un film girato tre anni fa di cui sono coprotagonista e che ha partecipato anche al Festival del Cinema di Berlino. Tratto da Santa Giovanna dei Macelli di Bertolt Brecht si intitola Re Jeanne. Un po’ teatro e un po’ cinema insieme, con la regia di Mariano Aprea. Un film intellettuale che non ha avuto poi una grande distribuzione. In Ascoli sarebbe dovuto arrivare al cinema Piceno il 22 marzo. Ma, in piena emergenza Covid, è saltato tutto».
Terremoto prima e pandemia poi bloccano spettacoli live ed iniziative culturali.
«Per chi fa questo mestiere, anche da un punto di vista editoriale, questa situazione non è che sia il massimo». Sabato scorso è tornato in scena, grazie al Festival dell’Appennino, al Cantantonella di Astorara, due passi da casa sua, in una emozionante riedizione all’aperto de “Il terremoto di Mario” proprio nel luogo dove si sono vissuti i fatti narrati. Non senza una forte emozione generale.
«Il Festival dell’Appennino ha una grande qualità – commenta Eleuteri – cioè di portare gli eventi artistici in posti di montagna. Invertendo un trend che ha sempre favorito le località della costa per ospitare questo tipo di eventi. L’opportunità offerta dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini andrebbe però meglio supportata, più promossa dagli enti locali. Il problema di questi luoghi, a mio avviso, è che dovrebbero avere a disposizione una offerta diversificata di eventi. Non basta solo mangiare e bere. L’aspetto culturale, o artistico, ma anche semplicemente di intrattenimento andrebbero più incentivati e finanziati. Io, nel mio piccolissimo, ci ho provato e ci proverò ancora. Da ottobre 2017 ho dovuto vivere… in esilio ad Ascoli fino a giugno. Ma mi ci sono trovato benissimo, è una città che adoro, con una grande energia creativa. Alcuni le rimproverano di essere troppo isolata. Sarò un po’ anche vero, ma questa è la sua forza. Io non aspettavo altro che di poter tornare a stare nella mia Montegallo. Certo qui è un po’ difficile parlare di cultura se prima non c’è ricostruzione. E poi ci si è messa pure la pandemia».
Lunedì intanto tornerà in scena proprio ad Ascoli, nel quadro del festival “Pensare Altro” rassegna teatrale curata da Lucilio Santoni e pensata dall’Amat proprio nei mesi dell’emergenza Covid, con il supporto dell’assessorato alla Cultura del Comune. Riflettori accesi per Francesco Eleuteri, dopo quattro anni e una quarantina di repliche in tutto il centro Italia prima del sisma, su una ribalta notturna, suggestiva e poco valorizzata, come quella del Teatro Romano.
«In questo periodo di pandemia – ci tiene a sottolineare Francesco – in cui tutte le arti sceniche hanno gravi difficoltà, è ammirevole il coraggio dell’assessorato alla Cultura del Comune di Ascoli di voler tornare a far vivere la città con questo trittico di spettacoli serali all’aperto». Il lavoro si intitola “Alcool”.
«E’ un testo ironico, in quanto il bere appartiene al genere umano – illustra brevemente l’artista romano – fin dalla notte dei tempi. Le varie applicazioni serie del tema: filosofia, scienza, medicina, politica, sono rilette con la lente deformante dalla parodia e dalla satira. Racconto in maniera interessante e divertente questo rapporto vecchio come il mondo fra l’uomo e il bere l’alcool. O almeno l’intenzione è questa».
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