di Gabriele Vecchioni
Nella “puntata” precedente abbiamo iniziato un percorso virtuale delle principali piazze ascolane, cominciando da Piazza Arringo. In questo pezzo tratteremo delle altre due realtà storico-architettonico, iniziando dalla piazza più conosciuta, apprezzata in tutto il Paese.
Piazza del Popolo è il famosissimo, celebrato spazio dell’incontro e della socialità cittadina. La Piazza non soffre per il traffico, essendo posizionata in un’area non strategica per la viabilità cittadina e appare al visitatore in tutta la sua bellezza, senza distrazioni, soprattutto se raggiunta da Piazza Roma.
È stata set cinematografico, televisivo e location di spot pubblicitari ed è considerata il “salone di rappresentanza” della città («Raccolta e tranquilla, isola pedonale e cuore del centro storico, è il salotto e il palcoscenico all’aperto della città – Antonio Rodilossi, 1983»).
Guido Piovene, nel suo citatissimo “Viaggio in Italia” (1957) scrisse che Piazza del Popolo è «la piazza italiana che insieme con quella di San Marco a Venezia dà più di un’impressione di sala, cinta da porticati, chiusa dalla stupenda abside di San Francesco».
La spazio aperto, sorto a poca distanza dall’incrocio tra gli assi viari principali della città romana (il cardo e il decumanus), era in origine quadrato, “diventò” rettangolare a metà del Trecento, con la costruzione della chiesa di San Francesco, la cui parete laterale la chiude verso settentrione. Il lato occidentale è dominato dalla mole possente e severa del Palazzo dei Capitani e dall’edificio del Caffè Meletti, storica struttura commerciale, strettamente legata alla vita sociale e culturale della città.
La configurazione attuale risale all’inizio del sec. XVI, quando il governatore della città, su disposizione di Papa Giulio II, ordinò la costruzione, intorno alla piazza già pavimentata (già nel Quattrocento), del porticato con colonne di travertino e volte di mattoni. Solo successivamente, i privati poterono rialzare le loro costruzioni ai lati della piazza; le finestre dovevano però rispondere a una tipologia precisa («riquadrata con timpani tondi e decorazioni a palmette»), su disegno di Alberto da Piacenza, l’allievo del Bramante che stava lavorando alla Cartiera Papale di Ascoli (articolo precedente, leggilo qui).
Del Palazzo dei Capitani del Popolo (cha dà il nome della piazza) hanno scritto tutti gli storici locali ed è facile reperire notizie al riguardo. Qui si riporta solo una notizia raccontata da Antonio Rodilossi nel suo “Ascoli Piceno, città d’arte”. Riguarda le due campane allocate sulla torre civica: la più grande (denominata “Pacifica”) fu rifusa nel 1547; quella più piccola è uno dei simboli dell’antica rivalità tra gli ascolani e i fermani: infatti, fu sottratta alla città del Girfalco.
Piazza del Popolo era ed è l’immagine identificativa della città, sede di eventi e, fino a qualche anno fa, punto esclusivo di ritrovo e di socializzazione della città; fotografatissima e “postata” innumerevoli volte sui social media dagli ascolani, che hanno un rapporto speciale con essa. La piazza è «Ben lastricata, ben illuminata, riparata dai venti per le fabbriche che la circondano, dalla pioggia a mezzo dei portici, è luogo di comodo ritrovo, come è il centro il più frequentato di affari e del commercio (Guida della Provincia di Ascoli Piceno, 1889)».
Sullo sfondo della piazza, il fianco meridionale della chiesa [di San Francesco], con gli alti finestroni gotici e il monumentale portone laterale «produce nell’insieme – come scrisse Gustavo Strafforello (1898) – un effetto grandioso e molto scenografico, specialmente guardandone la sfuggita prospettica dal crocicchio del Trivio».
Sulla parete laterale del monumentale edificio, spicca l’edicola in stile neoclassico (sec. XVIII), di Lazzaro Morelli, futuro assistente del Bernini. In realtà, studi recenti hanno corretto l’attribuzione: ora l’opera viene ascritta allo zio del Morelli, il maestro scalpellino Silvio Giosafatti. In origine, ospitava un dipinto (la “Madonna di Reggio”) sostituito, nell’Ottocento da una terracotta del Paci. La tradizione vuole che l’edicola fosse legata al rituale dei condannati a morte che, prima di essere condotti a Campo Parignano (il luogo dell’esecuzione della pena capitale era “fuori porta”), sostavano qui per l’ultima preghiera.
Da Piazza del Popolo, costeggiando l’elegante Loggia dei Mercanti, voluta dalla potente corporazione della lana (all’inizio del sec. XVI su disegno di Cola dell’Amatrice; alcuni adombrano la mano del Bramante), la chiesa di San Francesco e il suo chiostro maggiore (davanti alla facciata neoclassica del Teatro Ventidio), si arriva, in poche centinaia di metri, a Piazza Ventidio Basso, che ha subìto, recentemente, una “riqualificazione” che ha avuto il merito di impedire il traffico e la sosta selvaggia in questo spazio cittadino (anche se ha modificato l’antico, unitario impianto medievale); una misura, però, non ancora risolutiva per le esigenze della circolazione in città.
La piazza è intestata al condottiero di origini picene, luogotenente di Marco Antonio e vincitore dei Parti, nel sec. I AC; essa ha, ai lati, due dei monumenti più importanti della città, la splendida chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio e quella di San Pietro Martire che vi si affaccia con la parete laterale (sulla quale sembra sia intervenuto Cola dell’Amatrice) e l’abside monumentale.
Fin dall’epoca romana (e fino al sec. XVI) è stato il centro commerciale della città. Per gli ascolani era la piazza de li femmene (delle donne), dove si svolgeva un attivo mercato manifatturiero legato alla lana e, in generale, alla tessitura. La memoria delle attività svolte in questo spazio è murata sulla parete della chiesa di San Pietro Martire: una lapide (la Gabella della Staterola, 1613) con le regole commerciali da rispettare.
Giorgio Giorgi ha scritto (2018) che «L’antico mercato della città ospitava ben cinque edifici religiosi di grande rilievo storico-artistico e, soprattutto, devozionale per l’intenso flusso di pellegrini che frequentavano la chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio, con le acque miracolose di San Silvestro, protettore dalla lebbra; la basilica di S. Pietro Martire, con annesso convento domenicano; la chiesa di S. Margherita con il monastero delle Dominae di clausura, apprezzata per gli affreschi, perduti, di Cola d’Amatrice; la chiesa di S. Giovanni ad Templum dei Gerosolimitani e, infine, ultima in senso cronologico, la chiesa di S. Rocco, taumaturgo francese, guaritore della peste)».
Il monumento più significativo è senza dubbio la chiesa romanica dedicata ai santi Vincenzo e Anastasio che «sorge in isola nella piazza»; la parte più antica della costruzione è datata al sec. IX, sui resti di un oratorio (secc. IV-VI). Il magnifico portale decorato ha, nella lunetta, un altorilievo del 1036 e una caratteristica, inusuale facciata decorata da 64 riquadri (sec. XIV).
«Entro le inquadrature della facciata erano altrettanti affreschi, che probabilmente rappresentavano le istorie dei santi titolari. Svaniti per le intemperie, potremo all’incontrario trovarne de’ conservatissimi scendendo nel sotterraneo (Guida della Provincia di Ascoli Piceno, 1889)». Antonio De Santis, nel suo “Ascoli nel Trecento” riporta le poetiche parole del Griffoni per descrivere la bellezza della decorazione: «L’ora incantata di Ascoli quando la fronte dei Santi Vincenzo e Anastasio diventa rosa. È un momento tra il meriggio e il tramonto, in cui tutti gli edifici di Ascoli assumono, se volti a ponente, un colore pieno di fascino».
Grande valore storico ha la cripta (antico oratorio dedicato a San Silvestro). Da Antonio Rodilossi sappiamo che «Vi si conserva una piccola vasca […] denominata “pozzo di San Silvestro” ove sfociava una sorgente d’acqua prodigiosa, adoperata per guarire la lebbra (nel sec. XIV) e, successivamente, dai sofferenti di rogna (sul finire del sec. XVI). Tale sorgente fu fatta deviare nel 1895».
Sulla stessa piazza dà la porta laterale (opera di Cola dell’Amatrice) di un altro magnifico edificio, la grande chiesa dedicata a San Pietro Martire, inserita in un complesso monastico (il secondo convento domenicano di Ascoli, dopo quello di San Domenico, nell’attuale sestiere della Piazzarola) e dedicata al predicatore veronese, presente in città nel 1250. La chiesa è considerata una delle principali manifestazioni del gotico marchigiano; all’interno, arricchito dalla presenza di un prezioso reliquiario di Nicola da Campli (sec. XV), contenente una Sacra Spina, sono presenti altari marmorei del Barocco ascolano.
Dalla piazza, in lieve discesa, si arriva alla Porta medievale e allo straordinario manufatto del Ponte Romano, dall’ardita arcata unica, uno dei pochi visitabili all’interno. Da lì, è possibile salire al Lungotronto (‘rrete li mierghe) o seguire un percorso emidiano (articolo precedente, leggilo qui), al di là del Tronto, in quello che, nell’Ottocento, era il Borgo (Solestà).
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